Filosofia
Massimo Cacciari e la lumpenfobia
Ho seguito oggi il convegno La discriminazione razziale fra diritto, etica e scienza presso l’Università di Siena. Mentre la sessione mattutina aveva un carattere tecnico giuridico, quella pomeridiana, su Politiche razziali, verità scientifica ed etica della dignità umana, comprendeva relazioni del genetista Telmo Pievani, del filosofo Massimo Cacciari e del giornalista Gad Lerner.
Non essendo né giurista, né scienziato, scrivo a caldo due righe sulla relazione di Massimo Cacciari. Il cui discorso per comodità sintetizzo nei seguenti punti:
1) Il razzismo è una ideologia. Qualsiasi dimostrazione scientifica sull’inesistenza della razza (sulla quale verteva il bell’intervento di Telmo Pievani) non coglie il punto. Ad una ideologia razzista bisogna contrapporre una ideologia antirazzista.
2) Questa ideologia antirazzista deve partire dalla dignità umana, che la nostra civiltà europea ha elaborato più di qualsiasi altra, sia nell’Illuminismo che nella tradizione teologica cristiana.
3) La dignità dell’uomo consiste nella sua possibilità di essere causa sui, nel suo non essere determinato dalla natura, ma di potersi scegliere liberamente.
4) Se la dignità umana consiste in questo, allora ogni volta che si chiude qualcuno in una definizione (tu sei questo) si sta offendendo la sua dignità. Ma il razzismo consiste appunto nel ridurre qualcuno alla sua presunta razza.
5) La libertà non è solo un diritto, ma un dovere. Io devo essere libero, devo corrispondere alla mia dignità.
6) La libertà non comporta alcun solipsismo. Io sono libero, ma presto scopro che non posso essere libero se non grazie e attraverso gli altri. Dunque non posso riconoscere la mia libertà senza riconoscere al contempo la libertà altrui.
Vediamo questi punti. Lasciamo per ora da parte il punto 1), e vediamo il punto
2) Le affermazioni sul primato dell’Europa o dell’Occidente in questo o quello celano pigrizia intellettuale, quando non sono espressione di semplice sciovinismo eurocentrico. Per dirne solo una: se la dignità dell’uomo consiste nella possibilità di essere, di prender forma liberamente, essa è già nel buddhismo, cinque secoli prima dell’era cristiana. Poiché esattamente come l’uomo di Pico, l’uomo buddhista può diventare di volta in volta animale o dio (letteralmente), o liberarsi del tutto dalle forme. Solo chi ignora (chi vuole ignorare) che la storia dell’Europa è stata una storia terribilmente violenta – una storia di violenza dell’europeo sull’europeo (le guerre di religione), ma soprattutto di violenza dell’europeo sull’altro (le crociate, lo schiavismo eccetera) – può ancora rivendicare per l’Europa la scoperta della dignità umana. Una dignità che evidentemente non è riuscita ad arginare l’orrore.
3) Che l’uomo possa essere causa sui, che possa essere realmente libero, è una affermazione che buona parte della tradizione filosofica occidentale – e non certo la peggiore – nega. In questa definizione, l’uomo è colto nella sua differenza dall’animale. Se l’animale può essere solo quello che la natura ha stabilito, l’uomo può scegliere di essere quel che vuole. Ora, questa operazione, che è in effetti tipica dell’Occidente, è pericolosa. Se la dignità dell’uomo consiste nell’essere diverso dall’animale, se ne deduce che l’animale non ha dignità. E se la dignità è ciò che dà valore, che rende una vita degna di rispetto, allora l’animale può non essere rispettato. E’ una operazione pericolosa, dicevo, perché storicamente è accaduto, e può sempre accadere, che la linea di separazione tra uomo e animale venga spostata, in modo da includere l’uomo stesso. Nel conflitto l’altro uomo è degradato ad animale: e se l’animale è l’essere non degno di rispetto, allora l’uomo animalizzato può essere ucciso. E’ quello che accade ordinariamente in guerra. Più che ribadire l’eccezionalità dell’uomo, bisognerebbe piuttosto attaccare la linea di separazione, che finisce per essere la linea che separa il sacro dal massacrabile. La stessa libertà umana, del resto, può essere usata come un argomento per giustificare il massacro. Per approfondire questa affermazione passiamo al punto
5) Dice Cacciari che la libertà non è un diritto, ma un dovere. Tu devi essere libero. E se uno non lo è? Il fatto che l’essere umano sia libero diventa presto un’aggravante verso di lui. La predilezione verso gli animali di molte persone che esprimono per il resto il più feroce razzismo ha qui la sua origine. L’animale, poiché non è libero, è sempre innocente. Quando il nostro cane azzanna la rondine caduta dal nido, un po’ ci dispiace, ma presto ci diciamo che è la sua natura, e non può farci nulla. Non così l’essere umano. Lo straniero che ci figuriamo come feroce ha scelto la sua ferocia, non è stato sospinto da forze più grandi di lui. E’ noto il meccanismo delle attribuzioni: quando un reato è compiuto da un soggetto verso il quale si prova simpatia sociale, ad esempio un pensionato, si enfatizza la costrizione: ha dovuto rubare perché povero; quando si tratta di uno straniero l’attribuzione è interna: è lui che ha scelto di delinquere. Oppure scatta il dispositivo opposto: lo straniero viene sospinto al di là della linea di confine. Come essere umano potrebbe essere libero, ma lui ha rinunciato alla libertà, è venuto meno a quello che Cacciari considera un dovere, e per questo non ha più alcuna dignità umana. E’ come un animale, anzi peggio di un animale, perché l’animale non ha mai avuto la possibilità di essere libero, mentre lui l’aveva, e vi ha rinunciato.
4) L’uomo può prendere la forma che desidera, dice Pico della Mirandola. Non è proprio così, perché esistono i condizionamenti sociali, economici, culturali, ed anche un genetista avrebbe un nel po’ da dire. Ma può, certo, prendere alcune forme, in modo libero o meno che sia. Ora, una volta che ha preso una forma, quella forma non è definitiva, può sempre diventare altro, e al tempo stesso quella forma, pur provvisoria, lo definisce. Questo vuol dire che se da un lato chiudere qualcuno in una definizione è una violenza, può essere una violenza non minore rifiutarsi di considerare la definizione che qualcuno dà di sé. Un ateo potrebbe diventare credente, ma fino a quando resta ateo, pretende di essere riconosciuto non come essere umano in generale, ma come essere umano che non crede in Dio. Una moderna democrazia non è un patto sociale tra essenze umane proteiformi, ma tra individui che hanno assunto una identità per la quale chiedono riconoscimento. E non riconoscere questa identità circoscritta – provvisoria, magari: ma reale fino a quando c’è – significa violare i diritti umani.
6) Questo è, mi perdoni Cacciari, un teorema che ignora bellamente la complessità della realtà umana e sociale. Non occorre scomodare né Simmel né Freud per constatare che in società la mia libertà è fortemente contrastata, quando non negata. Se vivessi da solo la mia possibilità di azione, il mio potere, sarebbe limitato (e libertà e potere sono intimamente legati), ma anche vivere in società richiede una dolorosa rinuncia delle mie possibilità e pulsioni, a cominciare da quelle sessuali. Soprattutto, il teorema mette sul tavolo una moltitudine di individui, tra i quali immagina un patto sociale razionale. Ma questo patto finisce per istituire un individuo di secondo grado, che è il gruppo. Posso sentire che il mio gruppo è fondamentale per la mia libertà, ma un gruppo si costituisce in contrapposizione e spesso in conflitto con gli altri gruppi. In caso di carenza di risorse, l’individuo libero, investito di dignità, non si percepisce come un umano in generale, ma come il membro di un gruppo che (realmente o, più spesso, in modo immaginario) è danneggiato dall’azione di uno o più gruppi diversi. E quando ciò accade il gruppo diventa violento. Pronto al massacro, non senza prima una degradazione dell’altro ad animale.
La relazione di Cacciari mi sembra una espressione di un bias particolarmente diffuso tra i filosofi, consistente nel ritenere che i problemi storici, sociali, economici si possano risolvere con qualche trovata teorica più o meno edificante, conciliando le cose a livello ideale, quando non retorico. Senza uno straccio di dato sociologico, la questione del razzismo si risolve fin troppo facilmente. E naturalmente tutto resta come prima fuori dalle aule universitarie.
L’intervento di Cacciari era iniziato con uno spunto di grande interesse, purtroppo non sviluppato: il razzismo come discorso funzionale al potere. In origine c’è il dominio di un gruppo sull’altro; la distinzione di razza tra il primo gruppo e il secondo serve a giustificare questo dominio. Il bianco ariano domina il nero indigeno. E’ esattamente quello che sta accadendo oggi, ed è la ragione per la quale, se è importante ricordare che le razze geneticamente non esistono, qualsiasi discorso scientifico rischia di lasciare il tempo che trova. Il nuovo razzismo ha poco a che fare con la genetica. L’altro disprezzato, degradato, odiato, lasciato affogare non è connotato dall’appartenenza a una razza in senso genetico. Il gruppo cui appartiene è quello dei marginali. E’ per questa ragione che il nuovo razzismo può essere filosemita, e al tempo stesso esultare per il pazzo che butta via le coperte al clochard. Il razzismo è, oggi, lumpenfobia, se mi si passa il neologismo E’ odio dello straccione, del sottoproletario, di chi è sporco, che sia straniero o italiano. Il lumpen è un essere umano reale, non virtualizzabile; perché mi pare che questo nuovo razzismo sia, tra le altre cose, un effetto indesiderato di decenni di riproposizione televisiva di un mondo lindo, luccicante, perfetto, kitsch nel senso di Kundera, presentato come unico orizzonte umano desiderabile (e, sia detto per inciso, anche per questo immagini come quella di Aylan morto sulla spiaggia rischiano di essere controproducenti). E’ qualcosa che richiede molto più di qualche rassicurante considerazione sulla presunta natura umana.
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