Filosofia

Byung-Chul Han – la speranza tradita

Byung-Chul Han e la debolezza della speranza. Un’analisi critica di “Contro la società dell’angoscia” (Einaudi)

18 Marzo 2025

Quando uno scrittore che hai sempre ammirato ti lascia interdetto, il sentimento che prevale è il dispiacere. Byung-Chul Han, con i suoi libri precedenti (La società della stanchezza, Psicopolitica, La società della trasparenza), ha descritto con precisione il panorama neoliberale. Un mondo in cui gli individui si autosfruttano, isolati e competitivi, incapaci di riposo. In questo nuovo saggio prova a indicare una via d’uscita attraverso la speranza e la rivalutazione dell’utopia. Ma il risultato è meno incisivo e strutturato rispetto alla sua capacità critica passata.

La prima parte del libro scivola via senza sorprese. Meno intensa rispetto ai testi precedenti. Ci sono il neoliberismo, l’isolamento, l’iper-produttività. Tutto ciò che Han sa dire meglio di chiunque altro. Ma stavolta sembra solo accennato. Il vero problema emerge nella parte costruttiva. Han introduce la speranza come forza rivoluzionaria, ma lo fa in modo astratto, senza ancorarla a una pratica concreta.

Viene in mente Eugenio Borgna, grande psichiatra e filosofo recentemente scomparso. Borgna sulla speranza ha scritto pagine fondamentali. La sua era intima, delicata, radicata nella fragilità dell’individuo. Non era mai un concetto teorico, ma un’esperienza vissuta. La speranza di Borgna appare più convincente proprio perché concreta. Han, invece, la lascia sospesa in un’astrazione senza corpo.

C’è poi una contraddizione evidente nel richiamo di Han all’utopia. Per anni ha criticato la società dell’iper-positività. Ha denunciato l’illusione che tutto sia possibile. Ha smascherato l’ottimismo forzato come strumento di controllo neoliberale. Ora, però, abbraccia l’utopia come “non ancora”, come orizzonte di senso. Ma se il problema del neoliberismo è l’obbligo di stare dentro un presente senza respiro, ha davvero senso proiettare la soluzione in un futuro indefinito? Non si rischia di ricadere in un’ennesima anestesia?

Un altro limite è il modo in cui Han tratta l’angoscia. La interpreta come fenomeno collettivo, segnale di una consapevolezza comune. Oggi, però, l’angoscia è frammentata. È vissuta in solitudine. Più vicina all’individuo che alla massa. Proprio per questo la speranza trova maggiore forza quando si radica nell’intimità autentica della persona, come aveva ben compreso Borgna.

Han tenta invece di estendere la speranza alla società nel suo complesso, ma senza strumenti analitici adeguati. Fa un elenco enciclopedico di filosofi che hanno scritto della speranza: Platone, Spinoza, Bloch, Wittgenstein, Camus, Heidegger, Arendt, Kafka, Fromm, Nietzsche. Ma non basta un catalogo per dare sostanza a un’idea.

In definitiva, Contro la società dell’angoscia conferma che Han è molto più efficace nel distruggere che nel costruire. La sua analisi della società neoliberale resta valida, ma quando affronta l’idea di speranza, il suo pensiero perde forza. Perché affinché la speranza sia davvero rivoluzionaria, deve diventare atto. Borgna lo aveva capito bene. Han sembra fermarsi un passo prima del cambiamento.

Alla fine, vale ancora la lezione di Marx. I filosofi hanno solo interpretato il mondo. Si tratta di cambiarlo. Han interpreta. Han capisce. Ma stavolta non cambia nulla.

 

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