Filosofia
Breve analisi della comunicazione
Gli esseri umani sono fatti per comunicare. Secondo il primo assioma della Scuola di Palo Alto “non si può non comunicare”. Bisogna aggiungere che anche decidere di non comunicare ha un messaggio e quindi è una comunicazione, come chi tace per dissenso, come lo studente che non scrive il tema per protesta. E come non ricordare poi una frase attribuita a Dante, ovvero “un bel tacere non fu mai scritto”? Ma facciamo una breve analisi della comunicazione umana, che nel corso dei secoli è stata studiata sotto molti aspetti. Innanzitutto la struttura della comunicazione verbale è costituita dai comunicanti, dal canale, dal segno, dal messaggio, dal referente. Il canale è il veicolo fisico tramite cui viene espresso il messaggio: ad esempio in una conversazione il canale è la propagazione di onde sonore. Il segno è il mezzo verbale che permette di comunicare ed è a sua volta composto dal significato e dal significante. Il codice in un dialogo è formato dalle regole e dalle convenzioni linguistiche. Il referente è l’oggetto a cui il messaggio si riferisce. Casazza e Kettlitz sostengono che a causa di interferenze, rumori, disattenzione, incomprensioni quello che un ascoltatore comprende è minore di quello che sente, ma è anche vero che a causa di limiti linguistici e cognitivi un parlante riesce a esprimere meno di quello che vorrebbe dire. La comunicazione paraverbale invece è costituita dall’intonazione della voce. Esiste anche la comunicazione non verbale. Ad esempio esiste la prossemica. Per quanto riguarda la distanza interpersonale Hill descrive quattro diverse modalità di interazione: intima, personale, sociale, pubblica. La distanza pubblica è di circa un metro, mentre invece la distanza personale è di circa mezzo metro. Questo si può constatare quotidianamente: due estranei che aspettano l’autobus staranno almeno a un metro, mentre due amici stanno alla distanza di mezzo metro. L’importanza della comunicazione non verbale è stata dimostrata in teatro da Dario Fo, che dal 1973 ha utilizzato il grammelot, un vero e proprio linguaggio gestuale, capace di fare a meno della parola comprensibile, inventato dai comici del 1400 per aggirare la censura. La comunicazione è stata studiata sostanzialmente sotto tre aspetti: 1) cognitivo, cioè come pura trasmissione di informazioni 2) emotivo, affettivo, ovvero come espressione di stati d’animo 3) strategico, cioè viene presa in esame l’influenza del messaggio per cambiare l’atteggiamento dell’altro o per avere qualcosa dall’altro. Ma esistono altre sfaccettature dell’analisi del linguaggio e della comunicazione. Tullio De Mauro in “La natura della comunicazione” a tale proposito descrive la priorità di studio di ogni corrente di pensiero nella filosofia del linguaggio e nella linguistica: oralità (Democrito), articolazione del linguaggio (Aristotele), arbitrarietà del segno (Saussure), la produzione illimitata del linguaggio e la grammatica universale (Chomsky), l’indeterminatezza semantica (Wittgenstein), la convenzionalità (Aristotele), la capacità simbolica del linguaggio (Cassirer). La questione è molto complessa e articolata. Si pensi solo al fatto che un filosofo dei filosofi come Wittgenstein nel corso della sua vita riguardo al linguaggio ha cambiato radicalmente idea: da un’iniziale accezione del linguaggio come raffigurazione protettiva della realtà ( quindi come modello della realtà) è passato alla concezione per cui il linguaggio è un gioco le cui regole si imparano giocando. Se poi si esamina la conversazione, ci si accorge che è un interscambio continuo tra soggettività dei dialoganti, linguaggio e comunicazione non verbale. Per Vattimo è impensabile stabilire una linea di demarcazione tra linguaggio del parlante e personalità dello stesso. Ogni linguaggio parlato è insomma unico e irripetibile, come l’individuo che ne fa uso. Per il parlante c’è la codifica del messaggio, ovvero un sistema di operazioni mentali che pianifica la modalità più appropriata per trasmettere il messaggio. Esiste il cosiddetto self monitoring, cioè il controllo sul proprio linguaggio. Ogni parlante configura i possibili effetti che il suo modo di comunicare può avere. Per l’ascoltatore esiste la decodifica del messaggio. Come scrive R.Barthes: “Udire è un fenomeno fisiologico e ascoltare è un atto psicologico”.
Non dimentichiamoci inoltre che la parola non comprende solo la denotazione, ma anche la connotazione, ovvero una coloritura emotiva e soggettiva. Va anche ricordato che una parola talvolta può far parte di un sottocodice, comprensibile solo a una ristretta cerchia di persone. Gadamer ci insegna anche che interpretare un messaggio significa proiettare sul testo ricevuto le proprie aspettative. L’interpretazione è quindi viziata da una precomprensione personale. Il feedback tra i dialoganti è quindi fondamentale. Altri aspetti importanti della comunicazione interpersonale sono il turn taking (consapevolezza dell’alternanza dei turni del dialogo), il role taking (la capacità di capire la prospettiva altrui), la metacomunicazione per chiarire messaggi contraddittori o complessi (ad esempio “mi segui?”, “cosa vorresti dire?”, “spiegati meglio”). Infine secondo Austin esistono tre tipi di atti linguistici: 1) l’atto locutorio, cioè il contenuto della proposizione, il suo senso e significato 2) l’atto illocutorio, ad esempio ordine, promessa, supplica 3) l’atto perlocutorio, cioè l’effetto psicologico e le conseguenze. Per Habermas il vero agire comunicativo è caratterizzato dagli atti illocutori, mentre l’agire strategico è contraddistinto dagli atti perlocutori. Per Bateson esistono fondamentalmente due tipi di comunicazione: il discorso vivente e il discorso morente. Il primo è caratterizzato da relazioni sociali autentiche, spontaneità, partecipazione, comprensione reciproca. Nel discorso morente invece il linguaggio è imposto. Un discorso vivente porta alle collaborazione e alla cooperazione. Un discorso morente crea un clima ostile, conflittuale. Per Bateson il linguaggio del discorso morente è l’”affarese”, in cui vengono prima di tutto la produzione, l’efficienza, la prestazione, il profitto. Per Bateson le caratteristiche delle reti sociali del discorso morente sono potere, controllo, obbedienza. In America da decenni nelle aziende è stata presa in seria considerazione l’importanza della qualità della comunicazione. Una strategia applicata è quella dell’open door, ideata da Watson quando era presidente dell’Ibm. L’open door è la consuetudine del capo di stare con la porta aperta: un segnale chiaro che indica la disponibilità ad ascoltare gli altri. Infine sempre in America si è diffusa la tecnica del Mbwa (management by walking around), ovvero dirigere andando in giro a chiedere informazioni ai dipendenti di tutti i reparti, interessandosi di tutte le loro problematiche. Sempre a riguardo del recupero di una comunicazione più informale si pensi anche ai breakfast meeting. L’obiettivo di questi incontri è quello di creare un’atmosfera più rilassante.
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