Filosofia
Averroè, dalle stelle alle stalle
Era un giorno della primavera del 1197, a Cordoba faceva freddo ma ibn Mohammad in Roshd, meglio noto come Averroè, si era svegliato presto quel mattino ed appariva contento, l’accompagnava la soddisfazione di avere portato a termine un’impresa inimmaginabile, compendiare l’intera opera di Aristotele.
Quel lavoro era dedicato al sultano ma, anche per quanti volessero avvicinarsi alle scienze filosofiche nonostante il discredito che su di esse aveva gettato un grande intellettuale islamico, insieme mistico e teologo, quale fu al-Ghazali autore del famosissimo trattato “L’incoerenza dei filosofi”.
Proprio mentre si accingeva ad assolvere, da buon musulmano, i dettami di uno dei cinque pilastri dell’Islam, ci si riferisce alla salat, una delle cinque preghiere giornaliere, sentì insistentemente bussare.
Disserrando il chiavistello e aprendo la porta, con sorpresa, si trovò dinanzi due messi pubblici, scortati da due armigeri che gli recavano importanti notizie.
Con sua sorpresa e senza spiegazione alcuna, l’anziano filosofo, che era anche quadì, cioè giudice, apprese dai suoi ospiti che, per ordine del sultano, era stato privato di tutti gli importanti incarichi di cui aveva goduto e che, inoltre, doveva immediatamente lasciare la sua residenza, e i suoi libri, per raggiungere Lucena, un centro abitato da molti ebrei, un tempo molto fiorente ma, ora, in piena decadenza.
Almansour, il sultano Almohade, aveva deciso di esiliarlo lasciandolo quasi in miseria peché considerato eretico e pericoloso per l’Islam poiché, si diceva, con il suo filosofare esalta la ragione e mortifica la fede. Averroè, vecchio e malato, non ebbe la forza di ribellarsi e, senza profferire parola, lasciò la sua dimora, la sua famiglia, la sua amata biblioteca per il luogo che le autorità musulmane avevano destinato al suo esilio.
Anche a Lucena, dove sperava di essere lasciato in pace, fu però perseguitato. Un giorno, essendo entrato in una moschea, forse anche per pregare, fu riconosciuto e additato ad una folla inferocita che dopo averlo circondato, lo costrinse a lasciare il luogo sacro in malo modo, cioè fra sputi e percosse.
A Lucena fu costretto a trascorrere gli ultimi anni della sua vita, meditando sul motivo di quella feroce condanna, senza mai rendersi pienamente conto, come avrebbe potuto visto che fino allora si era occupato di Aristotele, che l’Islam non poteva accettare che si mettessero in discussione le sue verità rivelate, che il principio di non contraddizione, di cui il filosofo greco aveva fatto il perno della sua logica, non poteva coesistere con la dommatica coranica in cui il tutto e il contrario di tutto trovano spesso la stessa dignità di verità.
Per la cronaca, ricordiamo che, con la emarginazione di Averroè, ultimo filosofo di quella che fu denominata filosofia islamica, l’Islam perdeva l’unica chance di declinarsi nella storia e fermava inesorabilmente lo scorrere del tempo, chiudendosi in un integralismo oscurantista di cui ancor oggi scontiamo le conseguenze.
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