Filosofia

Angela Merkel, perché non menti? Non ascoltare Kant ma il Segretario fiorentino

17 Luglio 2015

A proposito dello scivolone mediatico della Cancelleria Angela Merkel che fa scoppiare in lacrime una ragazzina palestinese dicendole quello che è un suo legittimo principio di politica sull’immigrazione «Non possiamo accogliere tutti, la politica a volte deve essere dura» l’ineffabile Massimo Gramellini scrive che qualche altro politico italiano, allusione esplicita a Renzi, l’avrebbe rassicurata pubblicamente e poi l’avrebbe spedita a casa. In sostanza, dice Gramellini, bisogna saper mentire in alcuni casi. Tipico dell’esprit florentin e della doppiezza italiana.

Stereotipo per stereotipo occorre allora aggiungere che nella cultura tedesca luterana la menzogna non è ammessa. Lo so che bastava una qualche forma di dissimulazione onesta (categoria spirituale  italiana elaborata da Torquato Accetto con il saggio omonimo) ma per farlo oltre alla sensibilità di massima occorre uno schema mentale di base che nella testa della Cancelliera, e credo di molti suoi connazionali, non c’è.

Non c’era neanche, per intenderci, nella testa di Immanuel Kant. Domanda: bisogna sempre dire la verità? Svolgimento.

Degli aguzzini inseguono un innocente, ed io so dove egli si nasconde: la mia menzogna può fargli evitare il peggio; nessuno oltre me lo sa, io non rischio nulla, perché dovrei dire la verità ai suoi carnefici?
Il problema sembra di facile soluzione: ognuno può valutare discrezionalmente il proprio diritto di mentire per aiutare qualcuno, a fortiori per salvare una vita. Le cose cominciano a cambiare maledettamente quando scopriamo l’argomento di Immanuel Kant. Nessun diritto di mentire può esistere ai suoi occhi, per la semplice ragione che tale principio non è universalizzabile. Se ognuno può mentire, verrebbe a cadere qualsiasi rapporto con la verità. Se tutti promettono senza mantenere, nessuna promessa sarebbe valida.

E se distinguessimo fra coloro che hanno diritto alla verità e quelli che non ne hanno, aguzzini et similia?
E’ all’incirca ciò che propone Benjamin Constant.
Ma ciò sarebbe ammettere che il dovere è richiesto ad alcuni e non ad altri, in alcune circostanze sì e in alre no. Al contrario esso si impone universalmente e in maniera incondizionata: questa è in sostanza la risposta di Kant.

La querelle ha avuto davvero luogo, tra il 1796 e il 1797. Constant critica nel 1796 l’argomento kantiano racchiuso in Fondazione della metafisica dei costumi del 1785, Kant risponde l’anno appresso con Su un preteso diritto alla menzogna a favore dell’umanità.
Il dibattito parrebbe filosoficamente senza fine.
Vladimir Jankélévitch l’ha tranciato di netto in un suo saggio “La menzogna e il malinteso” con questa osservazione concreta:
«Mentire ai poliziotti tedeschi che ci chiedono se nascondiamo un patriota, non è mentire, è dire la verità; rispondere ” non c’è nessuno”, quando c’è qualcuno, è (in questa situazione) il più sacro dei doveri ».

Ma siamo, qui, in questa situazione descritta da Jankélévitch? A me pare di no. E perciò  in concreto: cosa avrebbe dovuto rispondere la Cancelliera alla ragazzina palestinese? Se fosse toccato a me avrei detto.  “Sì, tu sei qui cara e ci resti. Il tuo caso sarà valutato a parte”. Avrei cioè risposto con il “casuismo” dei gesuiti che è una mia norma culturale, succhiata con il latte, del mio cattolicesimo di base. Ma i tedeschi come avrebbero valutato questo mio comportamento?  Ho anche un’altra fortuna: non essendo il Cancelliere della Germania non ho come lettore/ascoltatore/telespettatore  implicito il lettore/elettore della “Bild” da rassicurare.  Io non saprei rispondere perciò  nel concreto, e come me penso tutti gli italiani,  che invece rispondono eccome, e biasimano la Cancelliera. La quale non se l’è sentita – nella sua “ideologia di posizione” di Cancelliera e secondo i parametri mentali-culturali che le sono propri –  di mentire come gli avrebbe suggerito Gramellini.

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