Filosofia

Analisi e poesia

6 Maggio 2017

Pari a una seduta psicanalitica o più contraddittorio e impegnativo, se possibile, spiegare una poesia è un processo violento, che avido infierisce sui resti di un tempo già vulnerabile.
L’intento dell’autore, la metrica, il computo delle sillabe, tutto è lecito pur di conoscere chi scrive, estrapolarne l’indole.
La scelta di una determinata parola, il ricorso alle figure retoriche: anafora, ossimoro, iperbole, sineddoche. Quante sono? È una terzina, sestina, endecasillabo o settenario? Maneggiare una mente, come una lirica, equivale a imprigionare sotto una cupola di vetro un giardino terrario, affievolire  l’intermittente bagliore di lucciole ignare, costringere un delfino nelle opprimenti recinzioni di un acquario.
Un canone, una regola servono a chiunque per tentare invano di esercitare un controllo, per mantenere l’ordine, la rassicurante palude dello status quo, efficace ancora contro facinorose velleità, sempre e comunque.
Quando ci si perde nella folle ricerca di un valido metodo, lo si fa perché, per salvarsi dal morso di una tentazione, si rivela necessario l’antidoto. È la solita illusione degli intramontabili raziocinanti: esisterà pure un modo per gestire la contorta macchina dei sentimenti! Qualcosa di meno passionale fra gli attrezzi sparpagliati del mestiere; forse aiuterebbero le pagine illustrate di un manuale per frenare il corso di lacrime sincere.

Spesso lo si coglie in una fase dell’esistenza relativamente matura, non appare così immediato nella prima giovinezza: attribuire al sogno e al pensiero consistenza è probabilmente un artificio contro natura. Tuttavia si perpetua il crimine: arrovellarsi, sviscerare, sezionare, capire.
Sono dettami a noi stessi per non cadere nello sconforto, per non ammettere cinicamente, a voce alta, «Dio è morto». Lasciamo che a condurci sia di nuovo il sospetto e non ci accorgiamo che pèrdono tutti, nessuno trionfa, sigillando il cuore per dispetto. E tale logorìo non ci dona tregua, ci apre gli occhi all’alba e c’impedisce di chiuderli, riposare, appena il sole si dilegua.

Dicono il consulto psicologico aiuti il soggetto a conoscersi meglio: entra pensando di essere una bestia rara, un insolito animale, e ne esce meno catastrofico forse, ma certamente più banale. I casi clinici si somigliano tutti del resto, come tutte simili sembrano le poesie dopo la parafrasi, la contestualizzazione storica, il commento al testo. Da un lato ci si chiede se, per esprimere quel preciso concetto, fosse davvero necessaria la melodia di una rima baciata, dall’altro si domandano se la rigidità formale non celi una qualche forma di passionalità repressa, fortemente edulcorata.
Qualunque sia il percorso, la direzione, l’approccio, la scuola di pensiero, si cerca sempre di ottenere una risposta. A contrastare la forza spalancante di un vento troppo feroce, ribelle, intervenga uno sguardo austero, che serri tutte le finestre dell’anima, dalla prima all’ultima imposta.

Matematica e poesia, analisi e psicologia. Proprietà transitiva, associativa, parentesi e limiti. Nel grafico dei rapporti incombe dietro l’angolo il solito pericolo, l’antica ossessione; che una relazione di variabili degeneri in funzione, dove i valori di ascisse e ordinate sono in stretta, compulsiva dipendenza, una formula di vincolo, un’insana perversione.
Sembra un concetto scontato, facilmente riassumibile, elementare: l’andamento di x e y, come di due individui tesi alla comprensione, dovrebbe emulare il legame che unisce il giallo e il viola, il rosso e il verde, un colore per l’altro rappresenta il complementare. Cercano ognuno nel prossimo, nella reciproca metà, quel tassello che manca, per sanare il difetto, levigare una ferita, raggiungere l’ambito candore; dalla somma di luci complementari se ne ottiene sempre una bianca.

Tuttavia resta un passaggio fondamentale disintossicarsi attraverso l’isolamento, imparare ad amare persino la solitudine, la pace con sé stessi, l’abitudine a regalarsi una boccata di respiro in più di qualche striminzito, saltuario momento. Il traguardo dovrebbe essere quello di saper distinguere con una certa precisione i significati del verbo “capire” e “comprendere”, valorizzarne la differenza. Il primo presuppone l’apprendimento cerebrale, logico, razionale di una questione. Il secondo implica un’intelligenza emotiva, una comprensione empatica, un abbraccio, un’intima effusione: l’insieme A comprende l’insieme B, gli dà speranza, gli garantisce presenza, tappe irrinunciabili per tutelarne, custodirne l’intrinseca purezza.

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