Filosofia
Abbiamo un’anima digitale?
Stamane, scorrendo la timeline del mio profilo facebook, mi sono imbattuto in uno dei tanti contenuti confezionati ad arte per quei siti creati per guadagnare attraverso la discutibile pratica del click baiting (in italiano, “esca da click”). Il post, che portava a una pagina del delirante blog “dimissioni e tutti a casa”, mostrava come immagine un uomo in canottiera visibilmente terrorizzato, intento a pregare in ginocchio e con le mani giunte al cospetto di una donna inquadrata di spalle (dal fondoschiena in giù…) armata di un mattarello da cucina. Sotto la foto il titolo in maiuscolo: “CINQUE MILIONI DI UOMINI VITTIME DELLE VIOLENZE FEMMINILI: RICATTANO, UMILIANO…”.
Non ho pigiato sul link, un po’ per la repulsione che provo verso una tecnica di adescamento virtuale che giudico truffaldina, un po’ perché nella quasi totalità dei casi le esche non postano ad alcun tipo di informazione. Il più delle volte si tratta infatti di schermate con tre o quattro righe di “fuffa” che fanno da contorno di decine banner pubblicitari.
Tuttavia, l’episodio ha suscitato in me una riflessione a metà fra lo spirituale e il fantascientifico, probabilmente indotta anche dall’aver recentemente sovrapposto la visione di due serie televisive: The Young Pope di Paolo Sorrentino e Westworld di Jonathan Nolan. Non indugerò sulle trame, basti sapere che in entrambi i racconti il concetto di “anima” è centrale, sia nella sua accezione classica – quella spirituale – che in un’interpretazione altrettanto ardita, ovvero come enorme database dove si archivia tutto ciò che siamo. Una “memoria” fisica – quella dei microchip – che diventa anche “conservazione dello spirito”, come la definì il filosofo francese Henri Bergson agli inizi del ‘900.
Tornando a quell’esca che per qualche attimo aveva attirato la mia attenzione, mi sono interrogato sulle statistiche di quel grottesco link e su quanto mi avrebbe affascinato conoscerle nel dettaglio. Quanti lo avranno aperto sperando di trovarvi qualcosa di proibito? A quali fasce di età appartengono? Dove sono geolocalizzati? Cosa comprano al supermercato? Quali sono i loro interessi oltre alla sottomissione maschile? Che partito votano? Su quali siti porno navigano e cosa cercano in particolare? In che scuole mandano i loro figli? Cosa amano mangiare? Dove vanno in vacanza? Con che umore si sono svegliati oggi?
La “rete” non ha una coscienza (almeno per ora, si suppone) ma sa tutto di noi e probabilmente ci conosce assai più di quanto noi stessi ci conosciamo. È una conoscenza in continua crescita, perché con il tempo aumenta la quantità di informazioni che lasciamo lì, in qualche anfratto di un’immensa memoria collettiva. I nostri gusti, i nostri ricordi, le nostre reazioni, i nostri segreti e persino le nostre più celate curiosità, albergano – oltre che nella nostra mente, dove talvolta si nascondono persino a noi – in degli enormi dischi rigidi dove siamo “archiviati” insieme a miliardi di nostri simili.
Lungi da me inalberarmi in teorie da romanzi di fantascienza per adolescenti, ma l’insieme di tutto ciò che ormai da anni trasmettiamo ogni giorno al “mondo virtuale”, sapientemente gestito da algoritmi che ordinano tutto con innaturale precisione, potrebbe definire la nostra “anima digitale”, intesa come trasposizione di noi in una dimensione altra. Potrà sembrare una forzatura e probabilmente lo è, ma se paragoniamo il concetto di “anima digitale” a quello di “anima spirituale”, a sua volta basato su religioni e dogmi, parliamo di qualcosa che è decisamente più visibile. Si potrebbe addirittura immaginare – e qui lavoriamo davvero di fantasia – la nostra “anima virtuale” come una sorta di trasposizione fisica della nostra “anima spirituale”. Ammesso che esistano entrambe, rappresentano qualcosa che resterà da qualche parte quando noi non ci saremo più…
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