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Tutto bello: ma cambiamo nome a Expo, “Nutrire il pianeta” non è proprio il suo

1 Maggio 2015

Un fierone. Un bel fierone pinto e lindo per buona parte di sè, accogliente, rassicurante, un fierone che mantiene la promessa principe di farsi trovare con abiti di buona foggia e disponibile a concedersi a sguardi compiacenti per quanto è stato bravo a imbellettarsi – nonostante tutte le maldicenze di questi mesi – a uso dei potenti di turno e pure dei cristiani di secondo livello, che siamo noi. Un fierone, com’era la Campionaria degli anni ’60 in cui – bambini – s’andava fieri e impettiti al braccio di papà, per vedere l’immensa esposizione tecnologica a cui attribuivi il valore e il piacere del famoso meccano. Un fierone e non si dica che vogliamo sempre ridurre tutto a malizia o, peggio, a malignità e neppure ci interessa sottrarci a quei termini encomiastici che aleggiavano sulla giornata inaugurale, tutto ampiamente meritato per gli sforzi fatti e anche per la  sua resa estetica, in fondo di un livello medio più che accettabile.

Ma un fierone, appunto. Niente che riconduca alla profondità di quell’assunto che venne evidentemente concepito da anime pie, con la consapevolezza che «Nutrire il pianeta» potesse costituire il centro delle nostre debolezze, di noi società opulente e anche se in crisi, ancora decisamente opulente rispetto al vuoto di una buona parte di mondo. Si doveva rappresentare quello sbilanciamento, era un obbligo morale, senza la pretesa, questa sì eccessiva e moralistica, di trasferire il senso di colpa in tutte le persone che avessero varcato i cancelli di Expo, a cui – ci mancherebbe – va comunque garantito il diritto al sorriso e alla spensieratezza. Pur in una cornice che avrebbe potuto stimolare qualche pensiero.

Ecco, quando varcherete i cancelli di Expo, questo pensiero, questo anche momentaneo turbamento per uno sbilanciamento inaccettabile, proprio rispetto alla nutrizione del pianeta, non lo avvertirete e non avvertendolo – dovete saperlo prima – non avrete nessuna colpa. La responsabilità di questa assenza di consapevolezza è interamente in carico a chi, questa manifestazione, ha voluto interpretarla così, lasciando che ogni padiglione si attrezzasse per sè, senza un filo rosso che potesse coniugare le differenze, senza una regia culturale a cui affidare il senso alto di una rappresentazione.

Soprattutto i bambini, e con loro anche gli adolescenti, andranno aiutati dai loro genitori, aiutati a capire perché nel mondo ci sono (ancora) queste differenze, e per farlo ci vorrà l’allegria delle persone intelligenti, perché la cupezza non genera sensibilità. E qui, a Expo, ci vuole davvero molta sensibilità per percepire nitidamente  il suono originario di «Nutrire il pianeta». Noi faremmo timidamente una proposta agli organizzatori, sapendo che ormai è tardi per cambiare e poi anche perché sarebbe accolta con fastidio. Ma noi a questa Expo cambieremmo serenamente il nome, anzi ai lettori che avessero qualche idea chiederemmo aiuto, perché in tutta franchezza lasciare «Nutrire il pianeta» è anche un po’ un insulto.

Molti padiglioni di Paesi lontani non erano ancora attrezzati per offrire il senso di un cibo dai sapori e dalle tradizioni diversi. Questo è un peccato, perchè ha convogliato buona parte delle persone sulle “solide realtà” italiche e se vi viene in mente Farinetti avete vinto la bambolina. Il quale Farinetti girava come un furetto per i suoi ristorantini regionali, cercando di capire negli sguardi di chi mangiava se quel cibo avrebbe salvato le loro esistenze, nella sua stravagante e anche un po’ ridicola visione del mondo. E neppure tanto lateralmente, si dovevano registrare prezzi da taglieggio per mangiare un’aria di polpo e patate e due trenette al pesto riscaldate (euro 21) . No, Farinetti. Qui, l’idea originale era «Nutrire il pianeta», non nutrire la sua organizzazione, peraltro come sempre all’altezza dei compiti.

Dovremmo registrare anche la patetica sfilata dei potenti, ma non abbiamo cuore. Ci sorprende sempre, però, notare come essi amino circondarsi inutilmente di ali umane in livrea permanente, come non abbiano ancora capito il senso del decoro, che consiglierebbe di girare con un semplice collaboratore e nulla più. Visto il ministro Gentiloni, persona anche sensibile e dignitosa, girare con codazzo osceno: perchè ministro, c’è un solo motivo per cui lei possa pretendere l’attenzione di ventotto-trenta interpreti del suo non gigantesco pensiero?

E poi ci sono quelle cose che danno il segno del Paese, cose che avevamo visto solo sulla spiaggia di Copacabana, con un tipo microfonato che centrifuga glutei e polpacci di signore al limite dell’infarto. No, qui sopperisce a tutti i nostri sensi di colpa il mitico Nerio Alessandri con la sua Tecnogym, già adulatore renziano e oggi dispensatore della buona novella atletica nel bel mezzo di Expo, dove sulla pubblica piazza si esibiscono una cinquantina di ciclisti non in fuga, ma statici, mulinanti su se stessi al grido del coach: “Dai, ora ti sto chiedendo il massimo sforzo”, “è qui che devi uscire”, “lo sento che ce la puoi fare”, insomma una lezioncina muscolare di autostima che certamente fa venire una fame boia, regolarmente appagata dal buon Farinetti.

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