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Tu che non sei romantica: intervista a Guido Catalano
Un amore che finisce può lasciare, dietro di sé, tante cose. Una pianta d’appartamento, qualche vestito requisito di nascosto, molti ricordi e il bisogno di elaborare il vuoto. A volte questa elaborazione gioca strani scherzi e ci si può ritrovare a condividere un appartamento – molto più silenzioso di prima – con un bambino in pigiama, sbucato dal nulla, che chiede attenzioni e pone strane domande. Perfettamente logiche. Poi ci sono gli amici, il lavoro, c’è la famiglia e la vita che scorre come sempre, con la sua routine e i suoi imprevisti, infischiandosene del fatto che stiamo vivendo qualcosa di faticoso, che ci mette in discussione. Con sguardo ironico, ma senza punte di cinismo, Guido Catalano, poeta e autore, affronta nel suo ultimo romanzo “Tu che non sei romantica”, questo percorso, raccontando in prima persona le vicende di uno scrittore che tanto ammicca al suo vissuto. Lo abbiamo incontrato in occasione del festival Enciclopeday per una chiacchierata sul romanzo, sull’amore e sulla scrittura.
Questo romanzo può essere definito un’auto-fiction, genere che negli ultimi anni è andato via via affermandosi sempre di più fra i lettori. Per definizione l’auto fiction è fatta di due elementi, verità biografica e finzione, che si mescolano fra loro creando un nuovo racconto. Quanto c’è di Guido in questo romanzo e quanto invece è frutto di un percorso unicamente creativo?
In questo romanzo, come in quelli precedenti e nelle raccolte poetiche, c’è molto della mia vita, della mia esperienza personale. Tutto si mescola ovviamente con l’immaginazione – non solo il bambino in pigiama, ma molti altri elementi apparentemente più plausibili – ma le tematiche affrontate e il modo di affrontarle corrispondono in modo forte con il mio vissuto. Scrivo per esperienza diretta insomma, parlando di cose che fanno parte della vita di ciascuno di noi.
Questo è il racconto di un amore finito e di un amore che comincia, ma anche un racconto di solitudine. Qual è il tuo rapporto con questa condizione?
Un rapporto complesso, ma buono. Non la temo e credo di saperla gestire bene; in fondo sono figlio unico, in una famiglia non particolarmente estesa, ho un carattere incline al “farmi i fatti miei” e sono cresciuto facendo i conti con la solitudine, ma senza soffrirne eccessivamente. Ne ho bisogno spesso, quindi direi che mi piace. Ovviamente ho degli amici, molti dei quali anzi sono tali da quando eravamo molto piccoli e, per certi versi, rappresentano la mia famiglia ma, proprio per questo mio carattere solitario, non so se sono l’amico presente, il buon amico che meritano.
Nelle tue poesie e nei tuoi romanzi affronti spesso temi emotivamente impegnativi, carichi di significato da un punto di vista esistenziale e – potenzialmente – a rischio cliché, un rischio che non si rivela mai effettivo grazie al tuo uso dell’ironia…
L’ironia è per me essenziale nella scrittura, ma soprattutto nella vita. Credo si tratti di un meccanismo di salvezza fondamentale, sia per non prendersi eccessivamente sul serio, sia per relazionarci positivamente con gli altri, con il mondo che ci circonda e i casi della vita…
Il tema principale delle tue opere resta sempre l’amore…
L’amore è un po’ la mia ossessione. Forse perché ho faticato tanto ad iniziare il mio percorso amoroso, forse perché è il tema che più intimamente, prima o poi, tocca tutti. Cerco però di trattarlo fuori dai paradigmi melensi oppure troppo cinici: non per altro…ci si annoia e suona retorico.
In questo romanzo forse meno che in altre tue opere, ma nella tua produzione è sempre presente l’elemento della città, non solo come scenario, ma come organismo vivente protagonista della storia. Che rapporto hai con la tua città?
Non mi sento particolarmente torinese, infatti nelle mie opere parlo molto più di Milano, ad esempio, ma mi definisco una persona metropolitana. Non potrei vivere al di fuori di un grande contesto urbano. Anche se sono una persona solitaria infatti mi piace pensare che se esco di casa posso incontrare molte persone, avere una vita – fatta di negozi, locali, luoghi di ritrovo, strade, piazze – attorno.
Tornando al tuo rapporto con gli altri, in questo libro il protagonista soffre la fine di un amore, ma anche la partenza di un’amica…
Per me l’amicizia ha un grande valore e soprattutto dura nel tempo. Sono ancora amico di un mio compagno delle elementari, per capirci, e di un mio vicino di casa che conosco ormai da quarant’anni. Gli amici sono una famiglia per me anche se, ripeto, forse io con il mio bisogno di mantenere i miei spazi, coltivare i miei interessi per conto mio, non sono un amico sempre presente nel modo giusto.
E il tuo rapporto con il mondo editoriale? Nel romanzo il protagonista vive letteralmente sotto assedio da parte dell’editor a causa dell’incombere di una consegna…
Ecco il rapporto del protagonista con l’editor è solo fiction in questo caso. Ho sempre avuto un ottimo rapporto con i miei editori, sia che si trattasse di piccole case editrici indipendenti, sia nel caso di grandi editori nazionali. Sono stati tutti rapporti che mi hanno aiutato nel percorso di “nascita” delle mie opere e in molti casi si sono trasformati anche in rapporti di amicizia. L’esperienza del romanzo è molto diversa da quella della poesia e ti impone un confronto editoriale che, in un certo senso, mi ha stanato dal mio scrivere in solitudine. I momenti di confronto e brainstorming sono un buon antidoto alla solitudine dello scrittore in questo senso.
Ultimamente hai realizzato presentazioni e spettacoli in collaborazione con il cantautore Dente [presente all’intervista]. Come nasce questa collaborazione?
Io, se non avessi fatto lo scrittore, avrei fatto il musicista. O almeno era quello che avrei voluto fare da giovane. Ho sempre collaborato con musicisti per le mie presentazioni e letture accompagnate dal sax, dal contrabbasso… Con Dente condividiamo un percorso, una visione e una sensibilità artistica. Ci siamo trovati subito bene, forse anche per i temi e le modalità di approccio alla realtà. Viene tutto molto naturale quando ci si piace…
E per il futuro cosa ci dobbiamo aspettare?
Mi piacerebbe lavorare ad un libro di dialoghi da portare in scena, lavorando anche con un’attrice. Un progetto complesso…ma per ora sto solo organizzando le idee.
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