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La parola creatrice e le frontiere. Cronache dallo Sponz Fest, Erri De Luca

25 Agosto 2017

E’ questione di termini. Attenzione alle parole. Pensate. E’ quello che ha detto ieri sera Erri De Luca ai ragazzi, alla gente dello Sponz Fest, perché dire ‘ondate’, oppure dire ‘flussi’, non è proprio la stessa cosa. Le ondate sono qualcosa di governabile, di affrontabile, mentre i flussi no, i flussi non si possono strozzare. Il tema da cui parte, nella sua dissertazione, è quello dei migranti, unle grandi rivoluzioni di questo secolo appena cominciato. Ma è questione anche di direzioni, perché storicamente, dice lo scrittore, da nord di significante ci è arrivato solo il baccalà, mentre da sud è arrivata tutta la cultura umana, quindi la chimica, la matematica, i numeri, la musica, la poesia, il monoteismo, quindi il concetto di un dio unico che esclude tutti gli altri, che fa piazza pulita di tutte quelle divinità costruite a proprio uso e consumo nell’impero romano e nel mondo greco.

E’ un affastellamento perfetto di concetti coerenti quello che dice, una moltitudine che riesce ad intonare perfettamente all’unisono, come la piazza, come tutta questa marea di gente che non si capisce da dove sia arrivata, né come abbia fatto ad organizzarsi così efficacemente all’interno di Piazza della Repubblica e delle scale del comune e dei muretti che ci sono intorno. Lui racconta, seduto sulla cattedra, come fosse una piccola insurrezione la sua, uno di quei ‘Focolai di insurrezione spontanea’ che sono nel programma dello Sponz Fest quest’anno, quelli che cominciano dalle 1 di notte in poi nelle grotte. Qui sono le 19.30, ma il focolaio c’è lo stesso, ed è ben nutrito. Alcune ragazze che sono andate a salutarlo prima che cominciasse a parlare dicono che hanno le gambe che tremano per avere incontrato uno dei loro scrittori preferiti. Uno di quelli che ha l’indubbio merito di saper arrivare al cuore delle cose, al concetto, all’essenza.

Io di lui per ora ho solo letto ‘In nome della madre’, un libro di pura poesia sull’intimità con cui Maria, la Madonna, ha vissuto i mesi di gravidanza di un figlio che non era uno qualsiasi, ma era il figlio di Dio. De Luca dice di essere non credente, e poi precisa “non ateo”, anche qui attenzione alle parole. L’ateo è colui che esclude Dio dalla vita sua e di tutti gli altri, nega il concetto di Dio in assoluto, peccando di presunzione universalmente. Il non credente è uno che ammette di non credere all’esistenza di Dio, ma che non entra nella vita altrui in questo suo non credere, si ferma prima, resta nel rispetto delle esperienze altrui, si ferma dove comincia l’intimità religiosa dell’altro, di coloro che credono e sono liberi di farlo. Perché le parole hanno un peso, a volte uccidono. Oppure configurano ipotesi reato, come l’istigazione a delinquere, il semplice fatto di dire ‘alle armi’ potrebbe configurare una ipotesi di reato. Ma se una cosa del genere si dice in musica, tutto diventa arte e l’ipotesi di reato può cadere. E per esemplificare cita la Marsigliese, “Aux armes, citoyens”.

Poi il suo racconto passa anche per le sirene dell’allarme aereo, quelle di Napoli del 1943, quando la città venne completamente distrutta e sua mamma, dice De Luca, perse il sonno e lo perse per sempre, perché quel fischio prolungato che faceva scattare l’allarme si era conficcato nelle sue orecchie e non poteva uscire più. E passa per Belgrado, città in cui De Luca si è recato in esilio volontario nel 1999 per mettere se stesso in pace rispetto alla ossessione della madre, l’ossessione di quelle sirene che lei non riusciva più a fare passare. Le stesse sirene di Belgrado, 46 anni dopo. E si arriva alla paura, al grande tema della paura. Racconta di una amica che vive a Lampedusa, della casa che hanno lei e il marito sulla spiaggia. Una notte sentono uno sciacquio e delle voci e dei passi. La donna e il marito si spaventano, vanno a chiudere tutto, spengono tutto, non sanno di cosa si possa trattare. Dopo qualche minuto si guardano tra loro e si chiedono che senso abbia avuto quella paura, perché e di cosa abbiano avuto paura. Escono fuori vanno a vedere, vanno incontro. Trovano degli uomini tutti bagnati, si organizzano come possono per farli asciugare e dare loro ospitalità. E ammettono che nell’aprirsi la paura era passata.

I migranti di oggi, soprattutto quelli che arrivano dalla Libia, arrivano da situazioni disumane, arrivano attraverso carichi disumani, con viaggi che una volta prenotati non si possono evitare, si è costretti a fare, perché la legge del più forte e del profitto dice quello e con la legge del più forte e del profitto non si scherza mai. Arrivano da sud, come la chimica, la matematica, i numeri, la musica, la poesia, il monoteismo, quindi il concetto di un dio unico che non può uccidere, perché se uccide, se comanda di uccidere, non è un Dio, non è l’artefice della vita. Arrivano da sud, come tutte le cose che arrivano da sud e che non si possono fermare, è una illusione pensare di riuscire a farlo, come è una illusione pensare di fermare le maree. La questione è sempre quella della paura, un meccanismo che blocca qualsiasi forma di razionalità. Quando il discorso di Erri De Luca è finito da pochi secondi, ho tutta una serie di immagini di fronte a me, sento una specie di sollievo, penso che le parole che ha utilizzato siano state di una chiarezza lampante, uniche, esemplari. Difficilissime e semplicissime da mettere in pratica. E’ arrivata ora di cena, provo a girare insieme ad altri per quelle magnifiche grotte a cui si arriva passando sotto il Comune, cerco quella di Cianisky, Vincenzo Costantino, mi hanno detto che è in una di esse, che se gli dai due parole ci fa una poesia. Una poesia, come potrebbe essere questa nostra generazione umana, se il mondo procedesse all’Incontrer.

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