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Sponz Fest Cronache 8 – Il ballo-requiem del pumminale, 26 agosto 2018

27 Agosto 2018

Tutti battevano le mani, tutti tranne lei. A ogni battito lui andava più veloce e vorticava. Tutti battevano, tranne lei. E lei si era messa da una parte e aveva chiuso gli occhi, li aveva chiusi davanti alla stupidità che dimostra l’uomo davanti al diverso. Li aveva chiusi perché non era d’accordo con quella massa, con quella folla che batteva le mani e non sapeva fare altro. Lui sentiva tutte le vene nella testa, e l’equilibrio cominciare a diventare un concetto relativo. E non gli portarono nemmeno dell’acqua, nemmeno un bicchiere da bere, perché lo spettacolo veniva prima di tutto. E lui andava sempre più veloce. Sulle punte dei piedi faceva il giro, e sapeva di non poter avere scampo, la luna gli comandava quello e il ruolo gli comandava quello. Anche le altre bestie che erano con lui battevano le mani e ballavano, era un rito collettivo, in cui lui era l’officiante, ma che fatica essere sempre l’officiante, stava pensando mentre sentiva tutto il mondo cadare verso il basso.

Lei aveva le mani davanti agli occhi, le sue compagne la invitavano a guardare e a prendere parte al rito, ma lei sapeva tutta la storia e non poteva accettare che tutto finisse così, in quel modo selvaggio. Si allontanò dal gruppo, andò a chiedere un bicchiere d’acqua e tenendolo nella mano si avvicinò quanto più possibile al palco. Lui, nel mezzo di un vortice in cui era impegnato, la vide e gli tese per un attimo la mano, aiuto, aiutami, salvami, sembrava dire. Lei deglutì tutta la saliva che le si era fermata in bocca, poi con uno scatto del braccio con cui teneva il bicchiere lanciò tutta l’acqua verso il viso di lui. Lui sentì una specie di schiaffo che lo riportò alla realtà, come se stesse per risvegliarsi da un incubo. Sentì la sua natura mannara affievolirsi e tutte le energie venirgli meno. Cadde a terra e lì restò, e tutti che pensavano che quella scena facesse parte dello spettacolo, tutti che pensavano che fosse normale che un mezzo animale cada così come corpo morto cade.

Quando riaprì gli occhi non riuscì a definire esattamente il posto in cui si trovava, addosso sentiva quella sensazione di stordimento feroce che tornava periodicamente ogni ventinove giorni. Si sarebbe voluto alzare e muoversi sulle sue gambe. Sentì una mano che teneva la sua, strinse di più e quella strinse di più. Girò gli occhi a vedere di chi fosse quella mano, anche se aveva un presentimento abbastanza chiaro di chi poteva essere. Stai calmo, riposati, gli disse Alba di Luna. A sentire quella voce molti dei dolori che sentiva addosso sembrarono sciogliersi, come quella strana percezione di essere uomo e animale con cui aveva a che fare tutti i giorni dall’età di otto anni. Il posto in cui era disteso era un prato e affianco c’era una grande cattedrale il cui tetto era direttamente il cielo. Lì non era mai stato, e essendo così bello e così vicino a Calitri si chiese come fosse stato possibile, fino a quel momento, non esserci ancora stato.

La luna piena della sera prima fra poco sarebbe stata ancora lì, e quello passato era stato un pomeriggio gradevole, senza nuvole nel cielo e senza un caldo eccessivo. Sdraiato come era poteva stare solo bene. Ancora un po’ e potrai alzarti, disse la ragazza occhi verdi. Lui la lasciò fare, sapeva di potersi fidare. Ventinove giorni e quell’incubo animale sarebbe tornato, ventotto però li aveva ancora tutti da godere. La mano di Alba di Luna continuava a tenerlo, ventinove giorni, forse qualcosa di più, pensò lui consolato dal calore di quella mano e dalla presenza di lei che in parte lo aveva già guarito nei giorni che erano appena passati. Calmo, tranquillo, sembrava sussurrargli con voce materna. Lui respirava profondamente tutti gli odori che c’erano intorno, compreso quello di lei. Calma, tranquillo, si ripeteva. Poi cominciò una musica dentro quella cattedrale a cielo aperto, c’era un lupo che stava dirigendo l’orchestra, e tanti altri animali agli strumenti. Lei gli fece cenno di alzarsi e di andare a prendere posto tra i suonatori, per quel requiem per animali immaginari.

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