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Sponz Fest Cronache 6 – Walking in the grotto, 24 agosto 2018
Camminava per i vicoli delle grotte, e cercava di capire dove fosse l’ingresso. A tarda sera era tantissima la gente che arrivava in paese per partecipare alla parte più cupa dello Sponz Fest, quando tutte le attività si spostavano nel centro storico di Calitri, dove si poteva andare avanti fino all’alba. Dentro quelle caverne di tufo e roccia arenaria si inscenavano performance improvvisate, fuori dal coro e dal programma. Di esse non si poteva sapere nemmeno l’ora di inizio, si doveva solo andare, cercare di essere tra i primi a arrivare sul posto desiderato, e aspettare. E non c’era nessun biglietto a garantire che lo spettacolo si sarebbe visto. Lui si era prestato a quel rito, cercando di organizzarsi per tempo, e appena finita la proiezione del film si era messo in moto. Aveva la testa confusa dalle immagini viste poco prima, e non sapeva esattamente cosa gli stesse provocando il fatto di essersi visto dentro quello schermo, in un film in bianco e nero in cui c’era anche la ragazza occhi verdi. Si chiedeva lei dove potesse essere finita in tutta quella confusione, l’avrebbe rivista volentieri, e le avrebbe voluto offrire da bere.
Nella grotta dentro cui aveva trovato posto c’era musica elettronica e gli parve di riconoscere i musicisti, erano quelli che avevano inaugurato lo Sponz con il concerto all’alba. Lui mangiava salame e beveva vino, teneva poche monete in tasca che consumò tutte. E si rese conto che se fosse arrivata la ragazza occhi verdi non ne avrebbe avute a sufficienza per tutti e due. La musica che suonava quel gruppo, gli ‘A hawk and a hawksaw’, aveva influenze dell’est Europa, e nonostante fossero americani del New Mexico sembravano avere composto quelle cose dopo aver bevuto vino e mangiato salame come lui proprio in una di quelle grotte di Calitri. Guardò l’orologio appeso alla parete, segnava appena le 2.15. Non aveva sonno e decise di rimanere ancora, dopo quel gruppo ne sarebbero arrivati altri, ne indicavo almeno altri tre la lavagnetta del programma appesa all’ingresso.
Il futuro che forma poteva avere per lui e per tutti coloro che stavano partecipando a quella specie di rito collettivo? Ci sarebbero state altre guerre? Quanti altri sarebbero sbarcati sulle coste dell’Italia in cerca di rifugio? Altri ragazzi sarebbero stati costretti a partire e a nascondersi? Quelle zone interne dell’Italia che giro avrebbero fatto? E Alba di Luna dove poteva essere finita? L’avrebbe mai rivista? Sentiva di essere al sicuro dentro quella grotta, al sicuro anche da tutte quelle domande, e sopratutto dai pensieri che gli aveva provocato vedere quel film in quella grande arene estiva dentro cui era capitato poche ore prima. Baciare, e lui non era mai stato baciato, né tanto meno aveva mai baciato una donna, e un mannaro come lui chi se lo sarebbe preso? Uno diverso da tutti e pericoloso forse meno di altri, ma anche più di altri, chi lo avrebbe voluto vicino in una notte come quella? Il ragazzo che gli sedeva accanto sulla panca gli porse una sigaretta, gli chiese se ne gradiva una, lui accettò e seguì quelli che stavano uscendo sulla porta a fumare.
Restò in silenzio durante tutto il rituale del fumo, i ragazzi che aveva appena seguito dovevano conoscersi da tempo, dall’accento sembravano venire dal nord Italia, parlavano della edizione 2017 dello Sponz, della serata finale e dei magnifici giri che avevano fatto per il sud Italia proprio nei giorni successivi alla fine della festa. Soggiornavano in un bed and breakfast di Calitri presso cui avevano prenotato a gennaio, perché lo Sponz ormai era un evento consolidato, stava dicendo uno di loro, e senza prenotare per tempo era molto difficile organizzare per esserci. Lui che era di Calitri si rese conto di non avere la medesima percezione di quei ragazzi, lo Sponz era sicuramente un evento interessante, ma quale beneficio poteva recare al commercio locale esattamente non sembrava averlo chiaro, né lui, né altri con cui gli era capitato di parlare.
Quando le sigarette furono spente, lui decise di farsi due passi e provare a vedere cosa succedeva nelle altre grotte. C’era gente dappertutto, e ragazzi che suonavano bonghi, chitarre e fisarmoniche, improvvisando concerti a cielo aperto, e altri ragazzi che si aggregavano ai primi e poi si presentavano, scambiavano poche parole e si davano appuntamento per il giorno dopo. Produttori di vino da tutta l’Irpinia erano arrivati fino a Calitri per allestire alcune delle cantine del centro storico e vendere da bere e da mangiare. E quella notte sembrava davvero una festa nella festa. Di quel paese per qualche ora tutti sembravano volersi impossessare come fosse casa loro, come fosse Milano, Sidney o Dubai. Parigi, Barcellona o Istanbul. Confusi tra tutta quella gente c’erano anche i Mapuche, perfettamente a loro agio, anche loro a cantare e danzare su quelle musiche improvvisate che si potevano sentire per tutti i vicoli del borgo.
Lui scese ancora un po’ più in giù per vedere fino dove arrivasse quella gioiosa invasione. Magari fino alla casa dove stava sua nonna, fino all’incrocio dove aveva giocato per giornate intere quando era bambino e la casa dei nonni, con quella cantina tutta scavata sotto, era uno dei misteri a cui dedicarsi con energia e coraggio nelle giornate d’estate, specie quando pioveva. Incontrò un uomo che saliva, era avvolto in una specie di mantella leggera, aveva una pipa da cui aspirava a intervalli regolari. L’uomo era molto più tarchiato di lui e avanzava con passo lento ma deciso, e sembrava seguire un percorso tracciato dai suoi pensieri. Lui fece un cenno di saluto con la mano, e l’uomo rispose sorridendo. Lui riconobbe che si trattava del nonno della ragazza occhi verdi, e tra il gruppo dei Mapuche che erano arrivati a Calitri doveva essere il più anziano, quello a cui tutti dovevano rispetto, il lonco. Si fermò al suo passaggio, quasi per chiedergli qualcosa. L’uomo capì le sue intenzioni e si fermò pure lui. Non sapevano in quale lingua interloquire, lui mise una mano sul petto dalla parte del cuore, gli venne spontaneo fare così. L’uomo fece il suo identico gesto. Lui sorrise, quasi fosse una confessione di complicità. E l’uomo sorrise pure, quasi a dire che la cosa era fatta.
Poi il vecchio Mapuche alzò la mano destra fino alla fronte di lui. Disse qualcosa che lui non comprese, potevano essere parole di una formula magica. Nel punto esatto in cui la mano del Mapuche lo toccò lui sentì una strana forma di calore che poi si propagò per tutto il corpo. Dopo poco cadde a dormire proprio in quel punto davanti a casa di sua nonna in cui da bambino giocava per ore a fare la guerra. L’uomo Mapuce in silenzio si allontanò. Lui restò a terra, assopito, sottratto per qualche ora alla casella a cui era stato assegnato. Il tempo era come si fosse fermato. Quando i sensi lo richiamarono dal sonno vide fiumi di gente passare da quel punto in cui si era fermato, stavano sollevando una falce e un martello e gridavano alla rivolta, stavano passando di lì e si dirigevano verso l’arena dei concerti, erano figuranti in prova, artisti rivoluzionari e gente comune che non si voleva ancora arrendere all’evidenza e per questo sembravano avere scelto di essere lì. Un uomo pelato gli fece cenno di unirsi, e di non restare lì a guardare. Lui lentamente si alzò e seguì tutta quella gente, assolutamente fedele alla linea.
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