Acqua
Sponz AcQuà, non avrei potuto immaginare un’estate diversa
Un’estate diversa, non mi sarei immaginato altro fino a qualche mese fa, anche per la seconda parte della mia estate che passo in una zona d’Italia che ho imparato a conoscere ormai da dieci anni. Il coronavirus, la mascherina, l’igienizzante per le mani, quanto avrebbero inciso su quella stagione in cui la voglia di libertà è il primo attributo? La domanda mi si presentava puntuale ogni volta che il pensiero provava a sconfinare oltre quel periodo dell’anno dominato dagli impegni del lavoro, dalla scuola e dalle faccende di ogni giorno. E tutte le estati la seconda parte di agosto la passo qui, tra il Sele e l’Ofanto, tra il verde e l’azzurro, su un altopiano che sconfina veloce verso la Basilicata e la Puglia, in un posto dove la lingua parlata ha poco a che fare con il napoletano e il suono delle parole si fa più gentile. Anche qui, in questa terra posta all’incrocio tra due mari l’estate quanto sarebbe stata diversa e quali sarebbero state le sue forme dovendoci tenere comunque tutti a distanza? Ma la terra della mia seconda parte d’estate, mi dicevo, è una terra di corsi d’acqua e fontane, di acquedotti e laghi, una terra salubre, in cui il sole benedice tutto, e in cui il malaticcio essere che abbiamo imparato a conoscere nei mesi passati non dovrebbe riuscire a attecchire perché l’acqua che qui scorre lava e porta via tutto ciò che le è estraneo.
L’anno scorso da qui si è levato un urlo, la peste che arriva, la peste che ammazza, io l’ho sentito, tutti lo abbiamo sentito tra le altre ballate per uomini e bestie, e al primo manifestarsi di essa ho riconosciuto la profezia. Qui l’estate scorsa c’erano già la mascherine, erano finte, fatte per la grande mascherata, intonate al tema di una canzone che l’ideatore dell’evento che chiamano Sponz aveva inserito nel suo ultimo disco. Qui il futuro era già presente, come in una scienza in cui l’immaginario si fa verità. Il resto è cronaca dei nostri giorni, il distanziamento, la sanificazione, il tenere bocca e naso coperti, sono diventate le tre leggi fondamentali per la nostra sopravvivenza, senza contare le immagini degli ospedali che non ce la facevano più, delle strade vuote, delle scuole chiuse, delle ditte chiuse. Una realtà capovolta in cui da marzo in poi ci siamo trovati tutti immersi, perché se niente cambia tutto cambia e lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. A quello che sarebbe venuto, a questa pandemia maledetta, il pensiero dell’ideatore dello Sponz sarebbe arrivato prima, del futuro avrebbe letto i lineamenti molto prima raccontandoli a tutti. E fateci un cazzo di urlo.
Ci siamo tutti rinchiusi in casa a guardare un tram, un treno, un bus che passavano per andare dove? Alle fermate a aspettarli non c’era nessuno, nessuno che pagava il biglietto, nessuno che controllava il biglietto. Che anno funesto questo anno bisesto, un calendario con un giorno in più, ogni quattro anni un giorno in più, e che brutto questo giorno in più di questo anno in cui il 2 e lo 0 si ripetono. Anche Vinicio, l’ideatore dell’evento che alla fine anche quest’anno celebriamo, era chiuso in casa a guardare il tram che passava, anche lui costretto all’isolamento da un virus che ha unito e diviso. Da Milano ha messo a fuoco un altro pezzo di futuro, una stagione fatta di acqua che torna a scorrere e di fiumi che ritrovano dopo la secca la via del mare. Un’idea attorno a cui lavorare per scendere giù con una tinta nuova, per metterci tutti una mano sulla coscienza e provare a togliere un po’ di plastica dalle nostre vite, che l’acqua è elemento sacro, mentre la plastica cosa sia bene non si sa. Alla metà di questa tragedia serviva una nuova voce nel coro, qualcuno che invece di urlare ‘peste’ intonasse qualcosa di diverso, rompendo la monotonia della lista di contagi e di classifiche di città in cui ci si ammalava di più. Da quella finestra di Milano da cui vedeva il tram passare Vinicio ha pensato alle sue terre lontane, quelle tra l’Ofanto e il Sele, tra il verde e l’azzurro, quelle dove l’acqua scorre abbondante, e l’acqua lava tutto anche i numeri più brutti di un anno bisesto che stiamo imparando a guardare negli occhi. E’ cominciato da lì, da quella finestra di una casa di Milano, il viaggio per un festival immaginato di cui conserverò sempre i disegni.
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