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Siamo pietre inamovibili. Non rotoliamo mica

27 Settembre 2022

Nessuno di loro ha ancora 30 anni. E anche se Joan Baez ha già anni di esperienza sul palco e di dolore appresso a Bob Dylan, li senti spiegare perché sono lì e ti commuovi – vogliono una rivoluzione spirituale, perché sentono di essere parte di qualcosa di più grande e cantano quasi gratis davanti alla piscina di un campeggio sull’autostrada chiamata Big Sur, tra il nulla ed il niente della parte montuosa della costa californiana.

Da sinistra: Graham Nash, Joni Mitchell, Judy Collins, John Sebastian, Felix Pappalardi, Mimi Farina, Stephen Stills, Ritchie Havens, Joan Baez. Nella foto principale Joni Mitchell e Joan Baez (di spalle) mentre scendono dal palco)

Joan Baez si dà delle arie da donna vissuta, ma fà un mare di tenerezza, mentre la piccola Joni, di soli due anni più giovane e da poco sbarcata al Laurel Canyon, a casa di Mama Cass, è un uccellino spaurito, con una voce resa esile dalla cattiva strumentazione e dalla timidezza. C’è anche Mimi, la sorella di Joan Baez, insieme a Sweet Sir Galahad, il motociclista hippie mezzo matto che l’aveva salvata dalla depressione, e che morirà in un incidente imbecille, stroncando la vita di Mimi, che non si riprenderà mai più. Suonano e ballano tutti insieme.

All’ultimo momento è arrivato Neil Young a bordo del suo catafalco nero (quello dell’indimenticabile “Long may you run”), ed è salito sul palco, dopo che Stephen Stills e gli altri avevano provato per un’intera giornata con John Sebastian dei Lovin’ Spoonfull – uno che sorrideva sempre. Nella pausa si vede Stills che fà lo scemo con Judy Collins, di cui è innamorato perso, e lei lo chiama “il mio nanetto”, finché non è scappato con una cantante francese, Véronique Sanson, e per anni ha vissuto in Europa. Dell’amore non corrisposto per la stella del folk americano rimane la suite “Judy blue eyes”, un altro capolavoro.

Nel film girato all’epoca si vedono gli occhi adoranti di Graham Nash quando guarda Joni e, impacciato, cerca di sembrare cool e amabilmente scherzoso. Che tenerezza. Insieme cantano “Get together”, l’inno scritto da Chet Powers per gli Youngbloods, e la cui linea di basso viene suonata da Felix Pappalardi, che di mestiere faceva la seconda chitarra dei Cream, accanto a Eric Clapton, e pochi anni dopo verrà ammazzato dalla moglie con una rivoltellata. Stava diventando sordo e lei si arrabbiava perché credeva che lui fingesse per non affrontare le liti.

Sono tutti ragazzini, meravigliosi e terrificanti, ed io qui, ad oltre mezzo secolo e decine di migliaia di chilometri di distanza, con la paura di essere tra gli ultimi che ascoltano questa musica celestiale, la migliore della storia dell’umanità, e che possa ancora capirla. Noi vecchi e le nostre lacrime solitarie di autocommiserazione. Tutto va avanti. Siamo noi che siamo pietre inamovibili sul sentiero della nostra umanità. Non rotoliamo mica. Dylan scriveva bei testi, ma è sempre stato un misogino rompicoglioni senza alcuna empatia.

Joan Baez, “A song for David”, dal vivo a Bien Sur (1969)

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