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Settimana delle residenze digitali: fascino e solitudine della digital art
Si è chiusa domenica 28 novembre la Settimana delle Residenze Digitali: sette giorni di spettacoli pensati e costruiti specificamente per essere fruiti online.
L’idea era nata nel 2020, nel pieno della pandemia, da Fabio Masi e Angela Fumarola (qui l’intervista) del Centro di Residenza della Toscana e si è sviluppata insieme ad altre realtà teatrali italiane. La scommessa consisteva nell’aprirsi a sperimentazioni inedite nel mondo del teatro, andando a coinvolgere artisti che si approcciassero al digitale come una risorsa e che cercassero lì dentro forme e contenuti nuovi su cui lavorare.
Anche la “residenza” era virtuale: il confronto avveniva attraverso canali come zoom e via mail.
La seconda edizione, realizzata nell’ambito di una media partnership con il progetto delle Residenze Digitali, è un progetto nato dal bando delle Residenze Digitali e promosso dal Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), in partenariato con l’Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT, la Cooperativa Anghiari Dance Hub, ATCL – Circuito Multidisciplinare del Lazio per Spazio Rossellini, il Centro di Residenza dell’ Emilia-Romagna (L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, La Corte Ospitale di Rubiera), la Fondazione Luzzati Teatro della Tosse di Genova e ZONA K di Milano.
In questa settimana di apertura al pubblico, era possibile assistere alle restituzioni dei progetti su cui i performer hanno lavorato negli scorsi mesi e a talk gratuite, tenute dagli stessi artisti accompagnati da ospiti, che andassero a spiegare o ad affiancare le performance. Il gruppo Jan Voxel, per esempio, ha proposto un estratto del progetto radiofonico The Critters Room, ricchissimo di suggestioni, immagini evocate (e visibili sul loro sito), musica, parole poetiche e densissime intorno al tema dell’Antropocene. A questo si abbinavano due talk, una con Marco Cervino, ricercatore presso l’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima, sulle polveri sottili, l’altra con due attivisti ambientali di Casa Bettola di Reggio Emilia.
Marta Oscar Cassiani, artista che si è formata con Chiara Guidi e Scott Gibbons della Societas Raffaello Sanzio, ha sempre lavorato con la digital art e ha trovato in questo festival un’occasione per sperimentare in Italia una modalità di residenza già consolidata in Europa e fondamentale per la sua ricerca. Il suo I Am Dancing in a Room infatti è un capitolo del progetto più ampio La Fauna, che già aveva presentato a Berlino e tratta, in maniera per così dire metateatrale, del rapporto con lo schermo, la gestualità della rete, lo scroll down fra social, room private, webcam e solitudini in qualche modo condivise.
Anche Margherita Landi e Agnese Lanza, lavorando sul rapporto tra corpo e tecnologia, nel loro Dealing with absence indagano solitudine e assenza e raccontano la fruizione sempre più individuale dei contenuti: tanto che le danzatrici indossano dei visori di Realtà Virtuale e sono immerse in una realtà da cui il pubblico è escluso e che può soltanto immaginare.
Per Into the Woods – La finta nonna, un progetto a puntate pensato per bambini, i filmati sono realizzati a 360° e lo sguardo dello spettatore, meglio se dotato di occhiali per la realtà virtuale, può muoversi liberamente nello spazio, scegliendo anche se restare immerso nella fiaba o se andare a esplorare il dietro le quinte, gli attori che danno vita a un mondo in miniatura fatto di bamboline di pezza e boschi di lana.
La partecipazione più “attiva” del pubblico è forse quella richiesta da Sàl|Rite della compagnia Fuse, la cui performance prevede una sessione di meditazione guidata durante la quale vengono raccolti i tracciati neurofisiologici dei partecipanti, i quali alla fine vengono accompagnati in un processo di rielaborazione dell’esperienza. In questo caso, però, per essere completa, la performance prevede di svolgersi allo stesso tempo sul palco di un teatro e di far sì che i dati dei due momenti si influenzino a vicenda. Lo stesso vale per Into the Woods e per la compagnia Jan Voxel: l’esperienza prettamente digitale viene vista quindi in molti casi come una fase, che è fondamentale nutrire poi con la presenza in carne e ossa di pubblico e artisti.
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