Eventi

Risorgere senza insorgere. Strumenti di pacificazione di un terremoto

17 Agosto 2017

Finita la sbornia entriamo a gamba tesa. Ciò che preoccupa è il corollario di messaggi che sta passando: la montagna come un luogo di eventi, appannaggio di persone che subiscono supinamente quell’immaginario di un territorio dai grandi numeri, garanzia del sommo turismo di massa. Un turismo già sviluppato in tanti non luoghi d’Italia, quello predatore che non ha bisogno del “selvaggio” autoctono ma solo della cornice. Un turismo che con subdolo fare, appunto quello dei numeri, si affaccia nelle zone terremotate dopo aver deterso dai nativi l’area del cratere. Ha sintetizzato perfettamente su Facebook Leonardo Animali, un abitante di Genga: “c’è un’economia turistica per cui la comunità locale è vitale, non solo perché è l’imprenditrice diretta sotto varie forme, ma perché è un turismo che si fonda sulla relazione, sul rapporto fisico con chi abita sull’Appennino; e senza quella interazione abitante/visitatore non c’è turismo. Poi c’è un turismo e un’economia conseguente, per cui la comunità che risiede, abita, interagisce, non solo non serve, ma è addirittura un ostacolo; e quindi l’Appennino abbandonato e spopolato è funzionale alla realizzazione di un enorme parco divertimenti, un grande resort. Nella prima idea di turismo servono i cittadini, nella seconda bastano dei dipendenti”. Perché il punto resta che quantità non significa qualità.

Parcheggio ecosostenibile a Macereto per il concerto di De Gregori (foto internet)

Anche Neri Marcorè, promotore dei concerti dell’evento RisorgiMarche, è scivolato sulla stessa sensibilità ai numeri: sul sito di RM per esempio indica come uno dei vantaggi di questa esperienza sia “la capienza illimitata” dei prati. E infatti una “folla oceanica” (cit.) sui prati di Macereto per De Gregori o 20mila persone nella piana di Morro, piccolo comune vicino Camerino, per assistere al concerto della Mannoia e Barbarossa. Sei chilometri sotto al sole del primo pomeriggio con diversi malori e fine delle riserve d’acqua. E una folla che è, a occhio, quella circolata a Morro negli ultimi quarant’anni e non certo per la locale “sagra de li fegatelli”. Ciò che in altri ambiti viene chiamato “il bacio della morte dell’Unesco”, con i danni conseguenti al turismo di massa, qui addirittura si è rivelato con un altro tipo di bacio. Come noto l’azienda Perugina, con l’architetto Francesco Cellini, ha presentato il progetto per edificare un centro commerciale temporaneo (ma senza specificare i limiti di tempo) al ridosso del Pian Grande di Castelluccio di Norcia dove ospitare ristoranti, negozi turistici e caseifici. Progetto su un’area di 6.500 mq promosso da Nestlé-Perugina insieme al Ministero delle Politiche agricole e alla Regione Umbria che, malgrado le strette maglie delle normative sulla tutela dell’ambiente, si sono mosse con pochi scrupoli, facendo fantasticare una popolazione che, lavorata ai fianchi dall’immobilismo e da mesi senza lavoro né casa, è pronta ad accettare ogni mano che scende dall’alto. Sul sito Nestlé si legge che: “Il progetto è stato condiviso e approvato da tutte le istituzioni interessate, tra cui il Parco Nazionale dei Monti Sibillini”. Giusto per ricordarlo, direttore del Parco dei Sibillini è il presidente Carlo Bifulco, nominato qualche giorno dopo la prima scossa di agosto e protagonista nel 2007 di problemi giudiziari derivati dalla gestione del Parco del Vesuvio.

La vera potenzialità di questo territorio è effettivamente l’autenticità (il pecoraio che porta al pascolo il gregge, i menù mai turistici, l’architettura dei borghi, quello che volete). Fattore che i centri operativi della Regione – basta dare uno sguardo al sito istituzionale dei Sibillini – non sono mai stati in grado di trasmettere e che, anzi, ogni giorno appaiono più impacciati con distinguo, scadenze non mantenute, idee balorde. Rendendo il parco più attaccabile dalla speculazione. Anzi no, dall’idea di progresso. Quel progresso. A seguito del terremoto del ’97 in cui per favorire la ricostruzione c’era bisogno assolutamente di infrastrutture (all’epoca il problema fu che i container non potevano arrivare facilmente nei borghi), ha di fatto concretizzato l’idea della Foligno-Civitanova Marche che nulla ha a che vedere con un turismo sostenibile. Superstrada stroncata ad inizio agosto anche da Legambiente che ha parlato di previsioni fantasiose, di un costo faraonico e nessun posto di lavoro. Anche questa volta, con il sisma del 2016, sono partiti i lavori per la Pedemontana Fabriano-Muccia e si spenderanno 70milioni di euro per la strada che da Tolentino va a San Severino. Strada che realizzerà, guarda caso, la medesima società Quadrilatero che ha costruito la superstrada. Ma c’è stato anche spazio (anzi sprazzo) per il turismo vero: dal denaro ricavato dagli sms solidali, la Regione aveva deciso di stanziare 5milioni e mezzo per la pista ciclabile Civitanova-Sarnano, poi ritirati e reinseriti togliendo 10milioni dal piano Regionale di messa in sicurezza (Por) per promuovere un vago “sviluppo della mobilità ciclo-pedonabile”. Niente di male su una ciclabile, anzi buona idea se non fossero tagliati i fondi per la messa in sicurezza, dimenticando che le zone montane sono disabitate, squassate, prive dei servizi minimi.

Mettiamo subito in chiaro una cosa: chi scrive crede nella buona fede di Neri Marcorè e degli artisti che a titolo gratuito hanno suonato nelle zone terremotate per RisorgiMarche. E come giustamente ha detto pubblicamente Marcorè, inutile convogliare i proventi fra 12mila sfollati: «Noi puntiamo a una ricostruzione spirituale, a un rilancio del turismo che nelle Marche, dati alla mano, ha subito un crollo verticale». Buona parte degli operatori turistici vicini agli eventi di RisorgiMarche questo beneficio l’hanno sentito, ma solo per un giorno e qualche ora. Direte: meglio di niente. Certo, ma come la politica si sforza di dare risposte veloci, clamorose e ovviamente inadeguate, più conformi alle pretese degli elettori che a quelle di un futuro condiviso e produttivo, così la cultura entra nello stesso gioco facendosi specchietto per le allodole.

Può (ri)sorgere il dubbio che essere santificati dal Pd significa oggi avere carta bianca e ricevere fondi mai quantificati chiaramente, celati nelle note spesa (in via ufficiosa per quanto riguarda RisorgiMarche si parla di più di 200mila euro. Niente, se si pensa al calibro degli ospiti ma dubitiamo che ogni iniziativa sul territorio venga vagliata alla stessa stregua e con la stessa velocità) e le autorizzazioni per spettacoli in zone fragili e notoriamente blindate alla massa. E le priorità, quelle vere, nel frattempo vanno a farsi benedire.

Visso – Foto Michele Massetani

Quanti non sono allineati alla narrativa ecumenica e ottimistica della rinascita, vedono in questo tipo di operazioni la solita maniera di ridurre ogni momento di conflittualità fra la popolazione e chi amministra; una paciosa cosmesi dell’intrattenimento della scuola Fazio, che niente ha a che vedere con l’impeto sociale, amoroso e politico di cui si ha necessità ora. Ciò che a suo modo ha provato a spiegare il sindaco di Gagliole quando, polemizzando con RisorgiMarche, ha dichiarata di voler portare Marilyn Manson per un concerto nei prati del suo comune per far cassa. Si è passati dallo sciacallaggio del metodo Bertolaso dell’emergenza a quello Pd, dove la burocrazia ha obbligato ad abbattere per abuso edilizio le casette di legno autocostruite. Un sistema diverso, che agisce contro il piccolo ma con gli occhi a cuoricino quando si parla di grandi opere, grandi numeri e velocità. Un sistema che nei fatti vuole ricostruire ma strizzando l’occhio alle grandi imprese e a un elettorato che ora, da lontano, guarda svogliatamente ciò che capita nelle aree terremotate terminato il picco emotivo. Un sistema che non apre mai un dibattito culturale serio con la gente del luogo (già, sono pochi, quindi pochi voti e molta fretta) sullo sviluppo delle aree montane.

Per il momento, come se si trattasse di una malattia, nella ricostruzione siamo ancora alla nosologia, alla classificazione, e mai all’eziologia da cui ogni amministratore della cosa pubblica sembra sottrarsi ogni qual volta viene pronunciata la parola “terremoto”. Però sono partite le terapie per trasformare l’economia e la sensazione – e non ce lo inventiamo noi che ogni disastro ambientale è una grande opportunità per far quattrini – è che saranno gli abitanti e il territorio, anche sulla lunga distanza, a pagarne le conseguenze.

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