Economia circolare

Bonazzi (Aquafil): «Per sopravvivere l’unica via è l’economia circolare»

20 Luglio 2019

Pochi materiali, nel XX secolo, hanno avuto l’impatto rivoluzionario del nylon. Fu creato nel 1935 dall’americano Wallace Carothers (tra le figure più geniali e tragiche della chimica) nei laboratori di una delle corporations simbolo del Secolo americano, la DuPont. Una fibra “fabbricata da carbone, aria e acqua”, così venne descritto. Sul finire degli anni ’30 era già nei sogni di tutte le donne occidentali. Resistente e leggero, il nylon si asciugava in fretta, ed era bello alla vista e al tatto. Nell’Italia di allora, un paio di calze di nylon arrivava a costare la non piccola cifra di 20 lire.

Pubblicizzato, in America, come la “seta artificiale” in grado di far concorrenza alla seta made in Japan, il nylon contribuì allo sforzo bellico degli Alleati. Di nylon, per esempio, erano fatti i paracaduti, le funi e le tende dei soldati del D-Day. Nell’immediato Dopoguerra, in un’Europa appena liberata, il nylon divenne uno dei simboli del benessere a stelle e strisce.

Cioccolata, carne in scatola e calze di nylon: anche così gli USA riuscirono a conquistare i cuori e le menti di tanti europei. In piena Guerra fredda, oltrecortina, le calze di nylon erano l’oggetto del desiderio di milioni di bulgare, polacche, sovietiche. E se nel XX secolo è stato emblema di benessere e persino libertà, oggi il nylon (che identifica, in realtà, una pluralità di poliammidi sintetiche) è sempre più sotto scrutinio, a causa del suo impatto sull’ambiente. Per esempio, non è biodegradabile. Ed è ricavato dal petrolio, che non è esattamente la materia prima più eco-friendly del mondo.

Ecco perché la crescita di realtà come Aquafil è una buona notizia. Con quartier generale in Trentino, sul Lago di Garda, questa “multinazionale tascabile” del Nordest quotata in borsa, con un fatturato di oltre mezzo miliardo di euro, 2700 dipendenti e impianti di produzioni in Italia e all’estero, è un leader globale nella produzione di fibre sintetiche.

E ha inventato un processo per trasformare un chilo di scarto di poliammide 6 (meglio nota come nylon 6), in un chilo di poliammide 6 vergine rigenerabile un numero infinito di volte. È l’Econyl, filo utilizzabile per fare calze da donna, abbigliamento sportivo, costumi da bagno e tappeti. Un esempio d’eccellenza di riciclo, e la prova che anche in Italia è possibile prosperare puntando sull’economia circolare, nuova frontiera del manifatturiero smart.

Ne abbiamo parlato con Giulio Bonazzi, presidente e amministratore delegato di Aquafil Group, a margine del suo intervento sull’economia circolare durante il Brains Day 2019.

All’inaugurazione del vostro stabilimento per il riciclo di tappeti a Phoenix, lei ha dichiarato che il segreto di un’economia circolare è la progettazione. Può spiegare cosa intende?

I prodotti che troviamo sul mercato oggi sono realizzati secondo un’ottica lineare. Che consiste nel prelevare le materie prima dal nostro pianeta, fare il prodotto e, alla fine, buttarlo. Nell’economia circolare invece, il prodotto dev’essere pensato in modo che possa diventare a sua volta una materia prima per il prossimo ciclo. Un po’ come avviene in natura. Perché chiaramente se un oggetto è prodotto con l’idea che alla fine del suo utilizzo possa essere smontato, il suo riciclo diviene più semplice e veloce. Al contrario, se un prodotto è fatto secondo la mera logica di farlo costare il meno possibile, è probabile che la fase di recupero delle sue materie prime sia molto complessa, quando non impossibile.

Aquafil rigenera il nylon, e lo fa con un processo attento all’ambiente. Può raccontarci come avviene?

Le proprietà della molecola del nylon la rendono riciclabile all’infinito. Pertanto quello che facciamo non è una semplice rifusione della plastica, ma un suo riciclo chimico. E così, con la molecola rigenerata si può realizzare qualsiasi nuovo prodotto senza alcuna limitazione, né di tipo prestazionale né di tipo estetico. Inoltre svolgiamo questo processo utilizzando, in ogni nostro impianto del mondo, energia rinnovabile; cercando di recuperare tutto quello che ci ritorna indietro; sforzandoci di non sprecare altri elementi come l’acqua. Cerchiamo quindi di lavorare in ciclo chiuso d’acqua, senza generare emissioni e senza lasciare nessuno scarto.

Giulio Bonazzi, presidente e a.d. di Aquafil, al Web Summit 2018 – Photo Credits: David Fitzgerald / Web Summit / Sportsfile

Al Brains Day degli Stati Generali ha raccontato che quando decise di rendere l’azienda più sostenibile ci furono resistenze e diffidenze da parte delle banche. E ha aggiunto che proprio il fatto che l’azienda fosse della sua famiglia le permise di percorrere questa strada. Ciò può sembrare strano perché è opinione comune che le aziende familiari siano quelle più refrattarie a innovare.

Non sono di questo avviso. Spesso succede che un’azienda che ha molto successo dal punto di vista del profitto, diventi pigra. Ma questo può accadere tanto alle aziende di tipo familiare quanto a quelle di tipo manageriale. In realtà, a mio parere, se uno guarda un po’ più in là del prossimo trimestre o dei prossimi dodici mesi, probabilmente ha bisogno pure di aprire molto la propria mente, di essere più attento a ciò che accade nel mondo, a ciò che chiede il mercato, e ai trend del domani. Ma non credo che l’inclinazione o la capacità di farlo dipenda dal fatto che un’azienda sia familiare o manageriale, quanto dalle persone che la compongono.

Lo sbarco in Borsa è stata una buona mossa? Quanto è il flottante?

La mia famiglia detiene circa il 58% delle azioni, con un po’ più del 69% dei diritti di voto. Quindi flottante è il 42%. Credo che per noi sia stata una buona mossa, anche se ritengo che operazioni del genere vadano giudicate a distanza di qualche anno. Penso che la borsa sia un’opportunità se si ha bisogno e voglia di crescere, ma le risorse interne non sono sufficienti per farlo. Allora il mercato dei capitali può rappresentare un’opportunità. Come ogni cosa ha dei lati positivi e dei lati negativi; tra questi ultimi ad esempio tutta la dimensione burocratica, i costi associati, e in generale una serie di complicazioni che, senza dubbio, possono rallentare i processi dell’azienda.

Oggi molte grandi aziende cercano di darsi una patina di sostenibilità implementando pratiche di greenwashing. Ma le esperienze di varie aziende sembrano dimostrare che sforzarsi di diventare davvero più sostenibili paga. È d’accordo?

Concordo pienamente, e penso anche che la sostenibilità sia l’unica possibilità per resistere nel medio-lungo termine. Il rispetto per l’ambiente, da parte delle aziende e dei loro prodotti, sarà sempre più importante, sia agli occhi della legislazione, che dei consumatori. Le risorse del pianeta sono limitate, diventeranno sempre più preziose, e inoltre tutti coloro che lavorano in un’azienda o vivono in sua prossimità pretenderanno sempre più che quell’azienda non inquini, non provochi rumori né tantomeno malattie, che non ci siano dubbi sulle sue pratiche. Ecco perché la sostenibilità e l’economia circolare, secondo me, sono l’unico percorso che si possa seguire se si vuole sopravvivere nel medio-lungo termine.

Lei insiste molto sulla necessità dell’intervento del legislatore, italiano ed europeo. Ma non crede che il coordinamento dovrebbe essere addirittura internazionale, dato che alcuni grandi produttori e consumatori di plastiche (ad esempio Stati Uniti, Cina, Giappone) sono extra-europei?

Sì, ne sono convinto. Perché penso che, purtroppo, il sistema capitalistico non abbia la capacità, da solo, di correggersi nei tempi adeguati per salvare il nostro pianeta. Di fronte all’emergenza ambientale dovrebbe esserci un coordinamento globale. Provocatoriamente, durante il tavolo, ho detto che credo all’economia di libero mercato, alla libera circolazione delle merci, delle persone e della finanza, ma che, ogni tanto, bisognerebbe imporre delle tariffe se alcuni paesi non mostrano di avere veramente voglia di cambiare. Perché l’ambiente è comune a tutti noi, a livello globale. E penso che, all’inizio, sia necessario forzare questi processi, e anche sostenerli. Sul fronte delle energie rinnovabili ad esempio, e in particolare del fotovoltaico, abbiamo visto che all’inizio i costi erano dalle tre alle cinque volte più alti rispetto a quelli attuali. È chiaro che una tecnologia nuova ha quasi sempre costi più alti rispetto a una tecnologia ormai ottimizzata e ammortizzata, come sono magari le tecnologie convenzionali. Ma se la legislazione dà il suo sostegno si può arrivare prima, e meglio, a rendere competitive le nuove tecnologie.

Aquafil ha sede in un territorio, il Trentino, famoso per l’attenzione all’innovazione. Ma anche in Trentino aziende del suo peso non sono frequenti. 

Da sempre abbiamo rapporti molto stretti con l’Università di Trento e con FBK, che è uno degli istituti più importanti del territorio per quanto riguarda la ricerca applicabile nel settore industriale. Allo stesso modo abbiamo rapporti di lunga data con altre università italiane, sia del Nord che del Sud, e straniere. In effetti da questo punto di vista la nostra azienda è molto aperta, attenta e pronta a collaborare con chiunque possa aiutarla a sviluppare conoscenze. Inoltre spesso finanziamo laureandi, dottorandi o anche post-doc, in Italia e all’estero, nella speranza di portarci a casa dei talenti che possano aiutarci ad affrontare meglio le sfide del domani.

Come immagina la sua azienda tra vent’anni?

[Ride] Penso che potrà dirlo il prossimo amministratore delegato, perché per allora sarò in pensione. Però certamente il mondo cambia, e in modo radicale, dal punto di vista tecnologico ma anche sociale. Ci sono i Big data, i sensori, l’intelligenza artificiale, modi sempre diversi di acquistare. Credo che ormai non esistano più comunità nazionali, ma comunità di pensiero. Soprattutto fra le giovani generazioni, che operano in modo molto diverso rispetto a come succedeva prima, e che credo siano anche migliori di noi. Inoltre credo che le donne, che oggi sono fortemente sotto-occupate, avranno una parte importantissima nel nostro futuro. In definitiva, immagino senz’altro un’azienda rispettosa dell’ambiente ed efficiente nell’utilizzo delle materie prime. Perché saremo ancora un’azienda manifatturiera, e un’azienda manifatturiera dev’essere capace di non usare più materie prime di quante il pianeta possa produrre.

 

Immagine in copertina: Pixabay

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