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riflessioni sul teatro contemporaneo col gruppo sorpresa generazione disagio

9 Ottobre 2015

Oggi intervistiamo Enrico Pittaluga, attore e co-creatore di Generazione Disagio, gruppo teatrale molto interessante per l’attenzione al pubblico, per le tematiche affrontate e soprattutto per le modalità con cui vengono presentate.
Insomma a noi di Tournée da Bar questo giovane gruppo piace molto ed è un piacere quindi presentarli qui.
Per noi l’innovazione culturale infatti passa anche dal confronto continuo con le nuove realtà che, confrontandosi con la crisi, creano e si inventano nuove strade.

disagio spetacolo

Ciao Enrico, ci racconti cos’è Generazione Disagio e che cosa fate?

Ciao siamo Generazione Disagio, un collettivo teatrale informale, nato nel 2013 da un’idea di Enrico Pittaluga e che si è costruito attorno al primo spettacolo interamente scritto e realizzato da noi: “Dopodiché stasera mi butto”, co-prodotto da Proxima Res, ha avuto un ottimo successo di pubblico vincendo anche il premio Giovani Realtà del teatro 2013 e il Roma PlayFestival 2015.
Lo spettacolo è un divertente e spietato gioco dell’oca al massacro dal vico col pubblico: guidati da un mastro di giochi caustico ed esplosivo (Graziano Sirressi) tre pedine umane (Enrico Pittaluga, Luca Mammoli e Andrea Panigatti) combattono per arrivare per primi al suicidio facendosi beffe dei piccoli suicidi quotidiani che compiamo ogni giorno.
Adesso siamo al lavoro sul secondo spettacolo: “Generazione Disagio – Karmafulminien” prodotto dal Teatro della Tosse di Genova che debutterà a novembre e parlerà di angeli degradati, stressati e ormai incapaci di consolare. Sono angeli che pregano l’uomo e che rappresentano in maniera grottesca una spiritualità alla generazione disagio.
Alla regia abbiamo messo Riccardo Pippa, detto Rainer.
Collaborano con noi anche altre figure professionali: la scenografa Anna Maddalena Cingi, i disegnatori Niccolò Masini e Duccio Mantellassi, ma anche altri attori/autori che sono stati con noi: Alessandro Bruni Ocana e Davide Lorenzo Palla.
E’ un progetto che attira molte collaborazioni e in continua espansione, sarebbe lungo nominare tutti, ma ci seguono e supportano anche video maker, costumisti, amici e colleghi che si prodigano con noi perchè credono in questo progetto.
Tra le ultime figure entrate nel gruppo c’è Paola Petruzzelli, nostra nuova organizzatrice.

 

Quale è la linea poetica di Generazione Disagio?

Generazione Disagio parla al pubblico direttamente, con un linguaggio senza fronzoli, poetico ma anche volgare e parla di noi, della generazione di eterni giovani, a disagio perché senza un’identità precisa e che vivono in una società in cui i non riconosci più i valori con cui ti hanno cresciuto.
Facciamo spettacoli con un alto grado di coinvolgimento del pubblico, a tratti con lo stile dell’happening, ma in grado di essere toccanti e profondi.
Il paradosso è il nostro stile, con cui creiamo drammaturgie veloci, ritmate e grottesche.
Inseguiamo l’accostamento apparentemente incoerente di tematiche, come accade nel mondo dei social.
Lavoriamo sulla precarietà, sul limite, sull’eccesso, sulla richiesta di affetto goffa e esasperata, su un’emotività che preme per uscire ma è spesso troppo timida oppure urlata, come quando si è ubriachi.
Sono spettacoli in cui si rompe ogni barriera e spesso si finisce a mangiare e bere col pubblico, si mira all’avvicinamento del teatro al pubblico, è arte, critica e poesia della quotidianità mitizzata.

 

Come si muove il gruppo per la creazione e promozione dei vostri spettacoli?
Facciamo un duro e lungo lavoro collettivo di condivisione delle tematiche e di scrittura collettiva, poi una volta individuata la scaletta e il nucleo tematico si avvia un’operazione di scrittura scenica che viene omogeneizzata da chi si incarica di volta in volta di tenere le fila dello spettacolo.
Lo spettacolo per come arriva al debutto si va creando anche durante le prove, dove ognuno con le sue competenze attoriali, registiche e autorali va cucendosi addosso i personaggi, non sono testi chiusi a tavolino ma che prendono vita anche attraverso le prove e le repliche.
I testi sono in gran parte poi fissati, ma abbiamo spesso lasciato anche parti legate all’improvvisazione, soggetta a cambiamenti di replica in replica, che rendono lo spettacolo ogni volta coinvolgente, diverso e immediato.
La promozione è curata in gran parte dal gruppo stesso: andiamo nei bar, nei locali, nelle piazze e regaliamo assaggi dello spettacolo, uniti a slogan e volantinaggio.
Ci potete incontrare sui tram e nelle metro, siamo attivi sui social network, ma soprattutto nella vita reale, perchè i social senza l’incontro non sono nulla. Sono utili per restare in contatto, ma non per creare nuovi contatti. Crediamo nella forte e profonda necessità di fare un teatro che va a prendersi il pubblico e lo conduca a teatro: perché crede in quello che dice, e mette in scena solo qualcosa che ha voglia di raccontare. La promozione funziona perché tutti gli artisti condividono e credono nello spettacolo al 100%.
Nessuno è scritturato a priori, tutto nasce da un’adesione artistica che diventa poi anche lavorativa.
In più abbiamo delle bellissime magliette 🙂

disagio pubblico

Credi che il sistema teatrale sia in crisi?
In parte si, troppi spettacoli nascono senza una vera necessità artistica.
Si fanno gli allestimenti perché si pensa che lo richieda il sistema teatrale, che si poggia su una fruizione del teatro che sta morendo: le scolastiche, gli abbonati, il pubblico fedele: questo funziona forse per grandi nomi o realtà consolidate, ma per intercettare nuovo pubblico e nuove generazioni bisogna rimettere l’anima e la voglia raccontare sul palco.
Purtroppo però ben poche realtà danno spazio ai nuovi gruppi, alla nuova drammaturgia, a chi ha voglia davvero di fare il suo spettacolo.
Nessuno o quasi offre un giusto compenso alle compagnie in grado di offrire qualcosa di nuovo e profondo, cui basterebbero magari 2000 euro, ma non si sa come ci sono sempre attori e spettacoli con cachet a tre o quattro zeri, che non sono in alcun modo giustificati da un reale successo di pubblico.
Credo sia un problema diffuso: le realtà affermate sono più volte a garantire sé stesse, mantenendo lo status quo, piuttosto che a perseguire la ricerca e la creazione di nuovi spettacoli, non ricercano più l’alta qualità che le fece diventare realtà affermate in passato.
Se a questo aggiungiamo la quasi totale assenza di alternanza delle direzioni artistiche, ecco che si ottiene la stagnazione del sistema teatro. Contemporaneamente non sono molte le realtà che propongano qualcosa di personale, di qualità e all’altezza.
Molte realtà giovani e professionisti cercano di scimmiottare il vecchio sistema teatrale, o si mettono al servizio solo di spettacoli e idee altrui e questo non contribuisce a rinnovare un sistema già fin troppo involtolato su sé stesso.
Oppure non hanno la caparbietà, o non riescono a sostenere i costi, per diventare professionisti fino in fondo, superando lo scoglio dell’amatoriale o dell’eterna giovinezza in cui si viene spesso reclusi.
A 20 o 30 anni dovremmo tutti metterci a fare uno spettacolo nostro, a cercare un nostro linguaggio.
Invece sembra che questo venga demandato solo ad artisti stranieri, incensati in Italia come personalità geniali e vati del nuovo, che molto probabilmente fischieremmo se fossero nostri colleghi o compatrioti.
Nel frattempo releghiamo nelle rassegne off compagnie molto più interessanti o vitali oppure aspettiamo decenni prima di dargli credito: penso a Antonio Rezza e Flavia Mastrella o alla compagnia Frosini/Timpano.
E’ come se avessimo deciso che i geni del teatro o sono già nati in passato oppure possono essere solo stranieri; però così rischiamo di fare morire nell’ombra i nuovi Pirandello, i de Filippo e le Anna Magnani.
Bisogna credere e dare voce alle giovani professionalità, perché se sei Mozart, ma continuo a farti suonare solo nelle sale parrocchiali, rimarrai un bravissimo musicista amatoriale.
Credo che questo valga per ogni campo, non solo quello teatrale.

 

Come pensi che si possano portare nuovi spettatori a teatro?
Parlando di tematiche interessanti, cercando di raccontare storie, bisogna tornare a costruire drammaturgie, ideali, utopie, sogni, ma partendo sempre dalla realtà contingente.
Le persone devono poter seguire la storia e riconoscersi, o essere attratte e respinte, devono sentirsi parte dello spettacolo teatrale e emozionarsi.
Un prezzo giusto e popolare del biglietto aiuterebbe ulteriormente.
Il teatro deve tornare a essere un luogo di incontro, di piacere, di scambio, un posto bello e adatto anche per portare un partner al primo appuntamento, senza paura di svenarsi o annoiarsi mortalmente.
Teatri aperti, accessibili, dove si possa anche andare a leggere il giornale o bere un bicchiere di vino.

 

Quali sono i vostri prossimi appuntamenti, e come ci si può mettere in contatto con voi?
Siamo in scena in questi giorni a Genova, dal 7 al 11 ottobre con “Dopodiché stasera mi butto”.
Debutteremo poi con la nuova produzione “Karmafulminien” dal 3 al 15 novembre sempre al Teatro della Tosse. Con lo stesso spettacolo saremo poi a Bologna al Festival 20/30 il 20 novembre.
A Milano ci sarà la prossima tenitura lunga al teatro Atir Ringhiera con un laboratorio dal 7 al 23 febbraio.
Tutte le informazioni si trovano su internet e sui nostri social cercando GENERAZIONE DISAGIO.
Se volete contattarci potete farlo sulla nostra pagina facebook
Oppure scrivendoci una mail a questo indirizzo: generazionedisagio@gmail.com

 

C’è una canzone che vorreste ascoltare? Se si quale, e perché?
Stasera mi butto di rocky roberts, perché c’è bisogno di buttarsi con gioia e perché è la canzone del nostro spettacolo, che sta per cominciare!

Eccovi accontentati!

https://www.youtube.com/watch?v=Lk2KfI0gJNI

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