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Ricordi, appunti, aneddoti dallo Sponz Fest 2023 ‘Come li pacci’
Si è chiuso domenica 27 agosto il decennale dello Sponz Fest. In tutti questi anni ho sempre osservato con curiosità le precisione e la velocità con cui vengono montate e smontate tutte le strutture dello Sponz: infopoint, biglietterie, bar, ristoranti, ballodromi, palchi e sistemi di amplificazione. E con lo stesso stupore ho osservato i volontari dello Sponz arrivare qualche giorno prima che tutto cominciasse, e partire qualche giorno dopo la sua conclusione, per consentire lo svolgimento corretto di tutte le attività in programma. I miei occhi si sono soffermati anche su tutti quei manufatti che dello Sponz sono ormai simbolo e emblema, uno su tutti la trebbiatrice volante. Ho assistito più volte alla delicata opera di montaggio e smontaggio della scenografia di questo evento, nato in forma stanziale nel 2013, per diventare poi itinerante. E questa visione allargata al back-stage, questa osservazione maniacale delle manovre pre e post Sponz, mi è stata possibile perché anch’io, come tutti i volontari dello Sponz, arrivo sempre un po’ prima e parto un po’ dopo la fine della festa.
In questi anni ho appreso che lo Sponz si caratterizza per alcuni termini che ne definiscono l’essenza. Li sintetizza benissimo Vinicio Capossela nel post con cui su Facebook ha dato il via alle danze di questa ultima edizione. Eccesso, abbondanza, ricreo, dionisiaco, dissipazione, festa. In ogni edizione dello Sponz possono ritrovarsi questi elementi, proposti sempre in contrapposizione a quei termini (molto brutti) che infestano il mondo in cui viviamo: violenza, guerra, sfruttamento, saccheggio. L’edizione 2023 appena conclusa aveva per tema ‘Come li pacci’, declama sempre Vinicio, è la pazzia salvifica che scardina il tempo dell’Utile, come li pacci è la follia d’amore, è la Follia in musica, è il baccanale, che trambusto variopinto di dissennati è l’umanità vista dall’alto. La dimensione dei ‘pacci’ (pazzi) diventa così qualcosa di salvante e di salvifico, diventa dimensione che libera da tutto ciò che sta palesemente in contraddizione con l’armonia della natura umana, natura a cui dobbiamo sempre il tributo di farne parte.
Mi sono appassionato allo Sponz nell’estate del 2014. Della prima edizione ricordo solo i manifestini affissi un po’ ovunque per Calitri. Era il 2013, essa si tenne due giorni dopo la mia partenza, e non ebbi modo di assistervi. Ho seguito comunque la sua genesi. Ricordo la gente che ne parlava, l’attesa crescente del paese per questo nuovo evento, ma soprattutto i manifesti che ne annunciavano il programma. Dal 2014 non me ne sono perso uno di Sponz. Ne ho apprezzato la transumanza, la sua capacità di partire da Calitri per fare sempre ritorno sul territorio dove è nato tutto. L’edizione 2023 dello Sponz è partita dall’episcopio di Sant’Andrea di Conza, lo stesso luogo in cui ho assistito ad altre presentazioni. Ricordo l’edizione 2016, all’episcopio Paolo Rumiz presentava il suo libro sulla ‘Via Appia’. Era una serata freddissima, quando tornai in macchina il termometro segnava quattordici gradi. E pensai tra me, ecco lo Sponz è anche questo, è qualcosa di talmente forte da poter accadere nonostante condizioni climatiche non favorevoli.
Ma devo ammettere che prima dello Sponz per me c’è stato qualcos’altro. E in particolare c’è stata la storia di un ragazzo di città che si è innamorato di una ragazza di campagna, adottata da un’altra città. Questa ragazza, poi diventata mia moglie, ha invitato il ragazzo di città a passare qualche giorno dalle sue parti, nelle terre di Irpinia. Era l’anno 2010. E io non sapevo niente della Campania, delle terre di mezzo, dell’Irpinia e di Calitri. Così per due settimane, quindici giorni per la precisione, mi sono tuffato in un mondo che prima di allora per me non esisteva. E ogni anno, dal 2010, tornano quei quindici giorni, dentro cui continua a celebrarsi magicamente lo Sponz. L’unica regola che mi ero dato, per resistere alle differenze esistenti tra Calitri e qualsiasi altro posto in cui precedentemente ero stato, era quella di raccogliere quante più informazioni possibili sul luogo in cui ero capitato. Così leggevo annunci ovunque. E’ nata in questo modo, da queste voglia di resistere in un luogo molto diverso dalla Toscana a cui ero abituato, la mia voglia di prendere la penna e scrivere buona parte delle cose che accadevano.
E c’è stato un momento in cui mi è stato evidente quanto lo Sponz fosse diventato importante per me. E’ stato quando di esso si è cominciata a nutrire la mia dialettica, la mia narrazione. Qualche mese fa un amico mi ha chiesto perché abbia deciso di dedicare tanti articoli a questo evento, decidendo nei miei pochi giorni di vacanza di dedicarmi a un lavoro in più, in parte diverso da quello che faccio solitamente. Gli ho risposto: perché c’è un prima e c’è un dopo, pensando al fatto di essere arrivato a Calitri prima che tutto cominciasse. E c’è stato un prima e c’è un dopo anche nelle testate giornalistiche per cui ho scritto. Due siti di informazione. E il secondo è stato quello che ha dato origine a questa mia tradizione del mese di agosto. Si chiama ‘Gli Stati Generali’, per questo sito ho fatto da inviato allo Sponz, pubblicando le mie cronache da Calitri, e dagli altri luoghi di Irpinia, dal 2016 in poi.
C’è stato un prima è c’è un dopo anche nella percezione che ho avuto di me come testimone di un evento a cui mi sono reso conto sempre più di appartenere. Il concetto di ‘appartenenza’ è fondamentale per i calitrani. E c’è stato anche un prima e un dopo all’interno dello Sponz, evento che ha sperimentato varie mutazioni, fino a trovare la sua forma migliore, quella di questi ultimi anni, concentrando al Vallone Cupo, la parte alta di Calitri, dove si sale solo a piedi e che affaccia sulla rupe di Cairano, le serate finali dello Sponz, quelle della festa, quelle senza orario, quelle in cui si celebra una comunità che si ritrova ogni anno da queste parti. E c’è stato un prima e un dopo anche nella mia decisione di ripubblicare tutti i miei articoli di questi dieci anni in un unico volume ‘Sponz X’ per Amazon Kindle Direct Publishing, dando a tutto quanto ho scritto una sequenza temporale, rileggendo tutto per capire lo Sponz dov’era e dove sta andando, e io dov’ero e dove sto andando.
Non è facile allontanarsi dallo Sponz, specie se uno resta a Calitri, come me, anche nei giorni successivi alla sua chiusura. Di sottofondo resta sempre qualcosa dell’abbondanza generata. E soprattutto non è facile farlo perché tutte le cose belle non dovrebbero mai concludersi, semmai dovrebbero aprirsi, allargarsi, dilatarsi, allungarsi in cerchi concentrici, arrivando fino dove rimane qualche spazio vuoto da occupare. E credo stia qui un altro dei motivi per cui ogni anno mi piace dedicare un po’ di tempo a questo evento nato dieci anni fa. La ragione per cui ne scrivo, alla fin fine, ha qualcosa a che fare con il concetto di eternità. Un eternità fatta anche di suoni, come quelli che posso cogliere nel dormiveglia pomeridiano, quando salgono in camera i rumori delle stoviglie e del lavabo d’acciaio della cucina. Un rumore gentile, sempre confortante. Deve essere nata così, da qualche parte, nella testa di Vinicio Capossela, l’idea di inventarci qualcosa attorno a queste sensazioni, le stesse che ho provato tutti i giorni nei miei pomeriggi calitrani. Ricordi d’infanzia, gli stessi che tra qualche anno avranno le mie figlie, e gli stessi che sto provando a recuperare io, immaginandomi a crescere qui, da queste parti, tra la chiesa dell’Immacolata e le vie del borgo. Deve essere nata così l’idea dello Sponz.
Sono questi i pensieri che mi accompagnano la sera di mercoledì 23 agosto, il primo giorno in cui il decennale dello Sponz arriva a Calitri. Alle 20.30, anzi anche prima, ero già in Piazza Giolitti, un po’ per curiosare, un po’ perché se c’è un orario scritto da qualche parte è sempre meglio fare finta sia vero. E alle 20.30 avevo appuntamento per prendere accordi sul mio intervento dal palco. L’attesa è stata l’occasione per salutare un po’ di persone che già conoscevo, e scambiare un po’ di idee con gente nuova. Dieci anni di Sponz Fest sono tanti. A me mancavano alcuni aneddoti sulla prima edizione, l’unica a cui sono mancato, è stata l’occasione per mettermi in pari. Poi tutto il resto è stato un girovagare, una cosa che normalmente avrei ritenuto inutile, ma poteva starci, e l’ho fatto in abbondanza, con mia moglie che ogni tanto mi chiamava per sapere se avevo da sedermi, e io che le rispondevo che in fondo sono ancora un giovanotto.
Camminando ho guardato la gente seduta ai tavoli a mangiare, i tecnici che si muovevano sotto palco, la fila che si era formata e che si rigenerava costantemente per avere un piatto di cannazze presso la cucina itinerante della Gatta Cenerontala. Poi sono andato allo stand dei libri. Insieme agli altri avrebbe avrebbe potuto esserci anche il mio, invece ‘Sponz X’ esiste solo in formato digitale, si pesca da Amazon e si legge su Kindle. Mi sono comunque ripromesso di renderlo disponibile anche in formato cartaceo entro fine settembre. E’ invece disponibile in tutte le librerie il libro edito da Baldini e Castoldi, ‘Come li pacci’, libro che è stato presentato la sera del 23 agosto all’interno della festa di comunità dedicata ai dieci di anni dello Sponz.
Lo festa di comunità è cominciata intorno alle 22.00. Insieme alla Banda della Posta e a Vinicio Capossela sono montati sul palco alcuni protagonisti di questi anni dieci anni di Sponz. Sono salito anche io, in virtù dei miei settanta articoli dedicati a questo festival dentro cui mi sono sempre trovato a mio agio, come mercoledì sera sul palco, di fronte a tanta gente che in questi anni deve avermi notato mentre prendevo appunti, oppure intervistavo qualcuno. Sono stato il penultimo a salire. Ancora non mi è chiaro in virtù di cosa, fatto sta che ero lì, invitato come uno dei tanti protagonisti di questo festival unico in Italia. Vinicio mi ha introdotto dicendo che quest’anno sono stati ben due i libri dedicati allo Sponz. Insieme a quello edito da Baldini e Castoldi c’è stato anche il mio, stampato a quel ciclostile moderno che è oggi Amazon. Dopo le testimonianze è cominciato il ballo di piazza, animato dalla musica della Banda della Posta, gruppo di cui è stato ristampato quest’anno il disco ‘Primo ballo’.
Calitri ha un’architettura tutta particolare. Strade che si arrampicano su strade. E sale da ambo i lati la collina, fino al borgo castello. E per queste strade si va su e giù senza perdersi mai. I nomi delle strade sembrano fatti apposta per essere ricordati. E le strade del borgo, solitamente vuote, possono riempirsi in un attimo, come succede nelle notti dello Sponz. Per andare più velocemente da un punto all’altro del paese basta tagliare per i vicoli, ma bisogna sapere come farlo, perché questo è l’unico caso in cui è possibile perdersi. Viste dall’alto le sue strade non sono mai rettilinee, una qualche mano gentile sembra averle disegnate per rendere più piacevole la loro pratica. Questa conformazione cuneiforme rende tutte le sue vie sempre diverse, e passarci la mattina o la sera non è la stessa cosa. E’ spettacolare vederle prendere vita, riempirsi di gente, fiumi di persone a fare festa. Succede solo in certe notti d’agosto, fortunato chi può assistere allo spettacolo.
Mercoledì 23 e giovedì 24 agosto cadevano due di questi notti magiche. A raccoglierle c’ero io. E c’erano i musicisti a guidare la sarabanda, e un mucchio di gente dietro, che avanzava a ritmo di musica. Venivano dalla piazza dell’Immacolata, venivano da Piazza Giolitti, e da un concerto doppio a cui sembravano essersi divertiti tutti. Una cosa che non finirà mai di stupirmi è come si organizzano le masse all’interno di uno spazio dato. Perché c’è stata veramente tanta gente in occasione di queste due notti magiche per i vicoli di Calitri, una lunga processione laica che ho provato a immaginare seduta, o comunque in piedi, nella piazza antistante la chiesa, e poi in Piazza Giolitti, composta secondo un ordine misterioso. Quest’anno è stato ospite dello Sponz uno dei miei cantautori preferiti, anche lui di Livorno come me, Bobo Rondelli. Con i pacci cosa c’entra? Aveva un gruppo, gli Ottavo Padiglione, nella vecchia geografia dell’Ospedale di Livorno era il padiglione a loro dedicato. Ha portato fino qui un po’ di storie, pezzi di vita vissuta, tra la casa del popolo, i quartieri di Livorno e i sentimenti di un uomo non più ragazzino.
Il venerdì tutto si è spostato a Vallone Cupo. E io ho continuato a osservare l’opera attenta di smontaggio e rimontaggio di tutte quelle strutture che sono l’architettura dello Sponz. Le balle di fieno messe lì come sedute. Qualcuno le adopera come giaciglio per una notte, per evitare l’umidità che sale da terra. Nelle notti magiche d’agosto tutto è consentito, e lo spazio a disposizione sembra allargarsi indefinitamente. Da Gagliano si vede tutta Calitri, e poi tutta Cairano, due entità che nel silenzio si parlano, e che adeguano il loro continuo dialogo all’alternarsi delle stagioni. Vallone Cupo sta esattamente all’incrocio di queste due entità, e da esse ricava tutta la sua magia. L’allestimento per le due serate finali dello Sponz è semplice, onesto, funzionale. Per chi vuole sfamarsi c’è possibilità di farlo a tutte le ore. Per chi vuole ballare lo spazio non manca. Per chi vuole riposare, pure. Anche stare in fila, aspettando di prendere qualcosa da mangiare, qui diventa un’esperienza, provate a farlo quando sul palco principale sta suonando Micah P. Hinson. E non finirò mai di ripetere, perché l’ho già scritto più volte, che non esiste soluzione migliore di questa, del Vallone Cupo, per celebrare quella grande festa di comunità che da dieci anni si chiama Sponz Fest.
I pensieri del sabato pomeriggio sono stati confusi. Sul divano su cui ero steso ho fatto finta di riposare, il tempo rallentava, ma la testa camminava. Pensavo, dovrebbero istituire una forma di cittadinanza simbolica per tutti coloro che arrivano a Calitri per lo Sponz e si rimboccano le maniche perché tutto proceda secondo i piani. E anche una forma di cittadinanza simbolica per tutti coloro che nei confronti di questi territori hanno sviluppato una qualche forma di appartenenza. Tale cittadinanza dovrebbe prevedere alcuni diritti e alcuni doveri. Servirebbe una carta, una manifestazione di intenti, da firmare ufficialmente all’interno di una cerimonia pubblica. Tra i doveri a cui ho pensato ne ho immaginato uno ben preciso, una forma di impegno all’acquisto di alcuni prodotti di questo territorio, e l’accettazione di una forma di tassazione simbolica a beneficio delle casse comunali, con obbligo per il Comune alla costituzione di un fondo per la tutela e la diffusione del patrimonio calitrano.
La riflessione è nata dal pensiero che concluso lo Sponz Fest tutto sarebbe finito, almeno metà delle persone che hanno popolato Calitri per vari giorno avrebbero fatto ritorno alle loro case, le vie del paese sarebbero tornate a svuotarsi. Ogni evento ha queste caratteristiche, specie quelli, come lo Sponz, organizzati su territori caratterizzati da una forte amenità. Girandomi ancora sul divano ho continuato a cercare la formula giusta. La mattina del sabato avevo partecipato a ‘Corrispondenze Immaginarie’, il percorso di arte pubblica ideato da Mariangela Capossela. Ho letto quattro lettere liberate dagli archivi del manicomio di Volterra, ho assaporato, non senza difficoltà, le storie di dolore scritte lì dentro. Ho letto anche le risposte immaginarie a quelle lettere. ‘Corrispondenze immaginarie’ è un progetto coraggioso. Riuscire a dare voce al dolore calcificato nelle lettere di persone vissute più di cento anni fa è opera meritoria, perché apre la coscienza di noi contemporanei a una forma di dolore che ci sarebbe altrimenti sconosciuta, e il dolore non ha età.
‘Corrispondenze immaginarie’ è un progetto che necessita di piccole dimensioni, come quelle del paese di cui sono ormai da tredici anni cittadino adottivo, di luoghi dove la mente si apre più facilmente alla riflessione. Non so come, ma ho avuto l’impressione che i due spunti di riflessione dell’ultimo sabato pomeriggio di agosto si siano saldati insieme. E più mi giravo sul divano più sentivo che erano legati tra loro. C’era un desiderio che stava prendendo forma e lo riporto al presente: vorrei questa mia richiesta di cittadinanza immaginaria riuscisse a prendere forma in qualche modo. Proviamo a immaginare qualcosa oltre al codice civile e oltre ai regolamenti dell’anagrafe. Ho lasciato questa mia corrispondenza immaginaria dentro il mio ultimo articolo dallo Sponz 2023, perché scripta manent, come avevo imparato proprio quel sabato mattina. Ho indirizzato il mio scritto a Vinicio Capossela, a sua sorella Mariangela, e alle istituzioni competenti. Hanno già inventato lo Sponz e Corrispondenze Immaginarie, sicuramente sapranno come dare forma anche alla mia richiesta di cittadinanza immaginaria. In un’edizione dedicati a li pacci mi sono permesso di farlo.
Lo Sponz 2023 si chiude. Restano le voci. I saluti finali spettano al creatore del tutto, li verga sulla sua pagina Facebook insieme ai ringraziamenti. Elenco molto lungo, perché come in tutte le edizioni dello Sponz sono tantissime le teste e le mani che hanno fornito un contributo. E tutte le cose buone che sono arrivate sono da dividere per mille. Un grazie particolare, dice Vinicio Capossela, va alla persona che più di ogni altra, da nove anni, fa da motore a questa infinita rincorsa alla conquista dell’inutile: Franco Bassi, Franchino “la luce”. La polvere si è sollevata a folate da sotto le piste danzanti dei piedi. Tutto è sembrato solo sognato quando la luce ci ha tolto il lenzuolo delle stelle dai piedi. Scorrono negli occhi i protagonisti di questa edizione del decennale. Micah P. Hinson con il suo concerto profondo e toccante, Daniel Melingo che, muovendo come un pipistrello, spande il suo “tango negro” affacciato a una balaustra, Samuele Bersani che canta Billy Budd dopo i giudizi universali, Margherita Vicario che divide le masse maschi e femmine intonando i loro cori, la banda postale che assalta alla diligenza il quieto ballo e lo impazzisce come maionese, Paolo Rossi che canta il suo Jannacci ai malfattori, Bobo Rondelli pirata che irrompe travestito da Keith Richards, Fabrice Martinez e Rolling Sponz Review che fanno alzare la polvere della Cùpa vent’anni dopo la prima registrazione, Mintcho Garramone che fa corpo di ballo di un nome mitico che un cieco impose alle “tempeste degli impalcati da musica”. La Fanfara Fan Fath Al che rintromba nella cassa armonica. Intanto il campo è vuoto dopo il raccolto. La ristoccia può ardere a fertilizzare la terra, che ne patisce il lutto. Affidiamoci alla Resurrezione.
Sponz X è disponibile per Kindle.
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