Eventi

Racconto di una sorpresa (su #fsglive, qualche giorno dopo)

26 Dicembre 2014

Finiti di scartare i regali di Natale, nella calma appagata di Santo Stefano, ripenso ad un regalo di qualche tempo fa, una matrioska di sorprese ed emozioni quale è stato il concerto del trio FabiSilvestriGazzé. Ho assistito alla tappa catanese, il giorno di Santa Lucia, partendo con armi e bagagli dalla Germania perché mi ero persa il tour europeo (non passava da Monaco, e le altre date erano per me impossibili). Mi sono così ritrovata alla fine del tour, ultima tappa, dall’altra parte d’Europa, un sole luminoso nel pomeriggio, il freddo dell’Etna la sera, insieme ad un’amica fraterna e al mio compagno di vita a saltellare come una quindicenne ad ogni pezzo e a cantare a squarciagola dal minuto zero.

Ma non si è trattato solo di un concerto: quello che il trio ha offerto ai presenti è stato molto di più. È stato il bilancio collettivo di tre vite individuali, una storia sola raccontata a tre voci, tre vite singole raccontate a una voce sola.

Il video che mostra, quasi sinesteticamente, i rumori della vita è proiettato su una grande “scatola” bianca, da cui escono i tre artisti a simboleggiare il percorso di apertura delle loro carriere, dai piccoli club degli inizi ai palazzetti di questo tour congiunto – ed è fin troppo facile ritornare all’immagine di un regalo che si apre, la matrioska di sorprese di cui parlavo prima, la sensazione che tutto lo spettacolo si sarebbe dovuto vivere a strati, una grande torta millefoglie di significati ed emozioni.

È così che la matrioska si apre, si snoda una storia che nasce dalle storie dei singoli ma vuole essere di tutti. È quella ricerca di senso che guardando indietro compie ciascuno di noi: a volte le storie che ci inventimo e ci raccontiamo su di noi e sul passato funzionano bene, hanno un significato profondo e vero, la storia che creiamo corrisponde autenticamente al cuore della nostra vita; e invece a volte il senso non lo troviamo, siamo costretti a tirare per i capelli i nostri simboli, le nostre tappe, perché il percorso fatto fin qui abbia una sua coerenza, perché possiamo accettarlo, per poter guardare avanti con fiducia e ottimismo nonostante toppe e cicatrici. A questo pensavo mentre a turno venivano raccontati aneddoti veri o finti (e veri e finti) sulla genesi delle canzoni, sulle autostrade che mancano in Africa, su “quella volta che”,  sul ring che ci mette davanti a noi stessi ricordandoci chi siamo e come siamo fatti e da dove veniamo – dove andare lo dobbiamo decidere noi, giorno per giorno.

La meta dell’Africa, protagonista silenziosa della serata, occupa un momento centrale, importante, in cui i tre artisti si fanno da parte e guardano, con noi, a quello che conta di più: le immagini del Sud Sudan, dove è nata la collaborazione umana, prima che artistica, di questi tre matti che si divertono come bambini a fare gli scemi sul palco e però bambini non sono, sono uomini fatti che vogliono silenziosamente, sì, silenziosamente far vedere quali sono le cose che per loro contano davvero (l’ultima canzone, un pianeta rovente sullo sfondo, parla di futuro e di giustizia, e di bambini).

Un emozionante brano di Totò interpretato da Mastandrea, clown spirituale e triste che si fa carico dei dolori del mondo, e l’immagine finale, tutti i collaboratori abbracciati sul palco, sul labiale di uno di loro, abbracciato a Gazzé, si legge lo stupore (“Che bello da qui!”), aprono l’ultima finestra su questa esperienza così speciale, un’esperienza che ci ha avvicinato agli altri presenti, agli artisti, ma anche, e soprattutto, a noi stessi.

(Exclusive Showcase – video tratto dal canale Timmusic, non riferito alla serata del concerto raccontato nel post)

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