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La maratona dei filosofi per combattere il Coronavirus

20 Marzo 2020

Il Coronavirus in chiave filosofico-culturale. Una maratona che, questa volta, non sarà organizzata da Enrico Mentana. Domani, a partire dalle ore 10, e sino alle 24 di notte, quattordici ore ininterrotte di diretta streaming con i più importanti filosofi e pensatori del panorama culturale italiano per affrontare la quarantena. L’idea, di Maura Gancitano e Andrea Colamedici (Tlon e Piano B), ha lo scopo di dimostrare come la filosofia possa offrire gli strumenti giusti per superare questo momento di disagio. Umberto Galimberti, Erri De Luca, Alessandro Baricco, Martina Dell’Ombra, sono solo alcuni dei nomi che coloreranno questa mega diretta streaming (qui il link per seguirla). E agli organizzatori, Maura e Andrea, abbiamo posto qualche domanda.

L’INTERVISTA

-Alcune aziende decidono di affidarsi a manager filosofi. In questo momento di crisi improvvisa che ha colto impreparate anche le nazioni più potenti e all’avanguardia, cosa consiglierebbe di fare secondo la sua esperienza?

M: «Ripartire dal dialogo. Siamo abituati a pensare che un’azienda sia un monolite, ma in realtà è un intreccio di relazioni tra persone che in questo momento stanno vivendo difficoltà diverse, sia a livello personale e psicologico, sia a livello familiare ed economico. Oggi è più che mai necessario dialogare, manifestare le proprie fragilità e farsi insieme delle domande sul futuro. Si può approfittare di questa condizione di vulnerabilità per abbandonare il vecchio paradigma verticistico del lavoro e impegnarsi insieme per superare le diseguaglianze e mettere al centro capacità di innovazione. Questo si può fare solo creando un dialogo autentico e un ascolto attivo tra le persone, un aspetto fondamentale ma di cui moltissime aziende non si sono mai prese cura fino ad ora».

A: «Portare l’attenzione sul purpose, sullo scopo dell’impresa. Usare questo momento per mettere in questione il senso profondo dell’azienda, per capirlo più profondamente. E, successivamente, impegnarsi in un processo innovativo di traduzione e diffusione dei valori fondativi dell’azienda a tutti i suoi membri. È un tempo di crisi che permette un ripensamento radicale del ruolo stesso delle aziende, che possono e devono, oggi, diventare i luoghi centrali di trasmissione di valori e identità».

-Come potrà cambiare lo scenario politico internazionale da qui a sei mesi?

M: «Credo che nessuno possa dirlo con certezza. Ci sono molte previsioni, ma quasi tutte possono rivelarsi fallaci, dato che le variabili sono moltissime e non controllabili. Una cosa però è certa: il futuro dipenderà sì dalle scelte di chi ci governa, ma dipenderà moltissimo dalle azioni di ciascuno di noi, dalla nostra capacità di essere responsabili e di mettere davanti a tutto il bene comune. In questo momento ogni azione che compiamo ha un impatto – positivo o negativo – su tutti gli altri, dunque è necessario esserne consapevoli e percepire questa inter-dipendenza».

A: «Tutto è possibile, ma è utile immaginare due aspetti futuri poco auspicabili per chiarire meglio la direzione da prendere. Il primo rischio è quello di rinunciare, in nome della sicurezza, a tutte le nostre libertà. Se oggi abbiamo messo giustamente la libertà personale dopo la responsabilità collettiva, domani rischiamo di accettare un controllo psicopolitico, per usare un termine del filosofo coreano Byung-Chul Han, sulle nostre vite. Pur di diminuire il rischio di un futuro contagio, rischieremo di rinunciare del tutto alla nostra capacità di autodeterminarci. In questo modo favoriremo la messa in atto di politiche di sorveglianza totale, che metterebbero in atto un pericoloso stato di eccezione perenne. Il secondo scenario riguarda il crollo dell’Unione Europea. L’unica risposta sensata alla pandemia è un ripensamento radicale dell’impatto umano sull’ecosistema: una mole crescente di studi dimostra la correlazione tra epidemia e cambiamenti climatici, e il ruolo devastante per la nostra salute della perdita della biodiversità. Dobbiamo sentirci parte della natura, e non suoi padroni. Questo ripensamento deve necessariamente essere comunitario, e l’Unione Europea rappresenterà il banco di prova della capacità di pensarsi come squadra e non come avversari. O si vincerà insieme, o si perderà insieme».

-Dopo otto giorni di obbligo domiciliare, molte persone stanno rivalutando aspetti della vita ai quali non davano importanza prima d’ora. C’è da attendersi un ritorno a un ruolo centrale della filosofia?

M: «In realtà questo ritorno c’è già da qualche anno, come verifichiamo quotidianamente attraverso l’attività di Tlon. Questo accade perché viviamo in un tempo complesso e paradossale, in cui l’umanità è potente come mai prima d’ora, e allo stesso tempo rischia di autodistruggersi. La filosofia serve a farsi queste domande e a chiedersi quale sia il senso, sia della propria esistenza sia della vita umana sulla Terra».

A: «La filosofia antica, spiegava Pierre Hadot, era anticamente Arte di Vivere. Oggi è essenziale per affrontare le sfide, immense e inimmaginabili prima d’ora, del nostro tempo. Tanto nelle piccole cose – i gesti quotidiani, la cura di sé, del proprio spirito, del corpo, della casa – quanto in quelle grandi – il ruolo dell’etica nelle frontiere scientifiche tra cui l’intelligenza artificiale, per esempio – la filosofia ha l’occasione di mettere a frutto due millenni di “ibernazione” trascorsi a pensare. Ora è il tempo di riportare la pratica filosofica, politica perché incardinata alla polis, al centro della vita pubblica».

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