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Mansueti di tutto il mondo fatevi selvaggi, torna a Calitri lo Sponz Fest
Ho immaginato che per qualche giorno gli opposti si potessero invertire, che l’alto potesse diventare basso, e il basso diventare alto, il nero farsi bianco e il bianco tramutarsi in nero, il centro cambiarsi in periferia e la periferia in centro. Per pochi giorni, solo per pochi giorni, ho immaginato che tutto questo fosse possibile, e ho pensato che sarebbe anche bello che questa misura temporanea diventasse canone e regola di vita. Ho immaginato una comunità che viveva senza bisogno di politica e di regole, e che in essa vigesse come principio assoluto quello del pieno rispetto della dignità dell’uomo, e allo stesso tempo ho visto la natura tornare al posto che si merita, al centro, perfettamente al centro di quel cerchio all’interno del quale noi uomini viviamo. Ho immaginato i mansueti farsi selvaggi, per recuperare fierezza e coraggio, e poi i selvaggi starsene buoni, addomesticati dai più mansueti, e ho visto praticare una forma di giustizia anche nei confronti delle belve e degli esseri peggiori, perché anche questi potessero imparare dall’esempio.
Il risveglio da quel sogno non era stato facile, quasi un trapasso, un passaggio tra diversi livelli di stati di coscienza che mi ha richiesto qualche minuto prima di tornare alla normalità. La rupe sotto cui avevo dormito quella notte era la prima volta che la vedevo. Le indicazioni dicevano Cairano, e nella timida luce di quel prima mattino tutte le strade sembravano portare da quella parte. Io, complice il motore della macchina, un diesel che male sostituisce le gambe, ho cercato di salire dove dicevano le frecce. Venivo da Potenza, dove era stato il giorno prima per salutare alcuni amici d’infanzia, poi lungo la strada, nella notte, avevo accostato per appisolarmi un poco. Era passato già da qualche giorno il ferragosto, di tutto il resto però avevo perso il conto, l’estate che cominciava a declinare sembrava comunque essere ancora in grado di dare tutto il suo splendore in quelle zone d’Irpinia in cui mi trovavo. E vedevo cartelli pubblicitari un po’ ovunque, anche mentre salivo verso Cairano ce n’erano. Recitavano Sponz Fest, Salvagg’ – salvataggi dalla mansuetudine, 21-26 agosto, Alta Irpinia, e tutto stava dentro una grande nuvola verde come i campi che mi stavano attorno.
Da Cairano si poteva vedere tutto quel paese di fronte, che ne sembrava l’opposto, mi avevano detto che si chiamava Calitri, e doveva essere lì la base di quella festa di cui parlavano tutti quei cartelli lungo strada. Due fisionomie antinomiche, questo mi sembravano avere quei due paesi, Cairano quasi disabitato, sorgeva su una rupe ancestrale, e sembrava una specie di clava pronta a calare sulla nostra modernità senza memoria. Calitri sembrava invece più ammansito a vederlo da lì, ma a dare retta a quanto se ne andava dicendo doveva essere un posto pieno di riti e di formule utili a contrastare quel brutale ammansimento dei nostri tempi moderni. E mentre salivo verso la parte più alta della rupe, quella da dove avrei potuto vedere davvero tutto, passò un ragazzo e mi lasciò un foglietto con lo stesso logo verde che avevo visto per la strada e che di tutti quei riti e quelle formule doveva essere il programma. Il sole era ancora abbastanza alto sopra la mia testa, e nel cielo non c’era alcuna sembianza di nuvole. Aprii con le mani quel foglio ripiegato con cura, lo guardai bene su entrambi i lati, e ne lessi bene il contenuto, tornando varie volte su alcune delle cose in calendario.
Una peste percorre la società contemporanea. Cominciava con alcune parole scritte dal direttore artistico di quel festival il foglio che mi era stato appena lasciato. Salvaggio, salvamento, salvazione, selvatico in opposizione al mansueto. Io scorrevo velocemente lo scritto, ma le parole che tornavano erano sempre queste. Un invito a resistere, a ribellarsi all’ordinario, a non cedere al quotidiano che come bestia feroce alla fine si impone. Una sorta di mantra. Mi soffermai sulla parola hirpos, che non avevo mai sentito, da cui viene il nome di queste zone, dell’Irpinia, il lupo nella lingua osco sannita, come spiegava quello scritto. E questa terra su cui avevo da poco messo piede veniva descritta in quel foglio come terra di selve, di animali e uomini selvatici, ammansiti dal “contributo”, ma di indole selvatica, come le faine, le volpi e i lupi dell’immaginario totemico locale. E mi chiedevo dove ero finito, ma sopratutto quante possibilità avrei avuto di ricapitare in un posto del genere, dentro una specie di cerchio magico in cui quel ragazzo che mi aveva lasciato il programma poco prima mi aveva involontariamente catapultato.
E i miei occhi continuavano a scorrere tutte le date di quell’evento. Dal Cile e dall’Argentina, sarebbero arrivati i Mapuche, la gente della terra, un popolo originario, i protettori della Patagonia, gli unici indigeni i cui territori sono stati riconosciuti dai conquistatori europei come ‘nazione’, gente che ancora oggi conserva tradizioni e costumi millenari senza essersi ammansita. Il foglio diceva Saranno allo Sponz per l’intera settimana con le loro cerimonie ancestrali, i loro riti propiziatori, le musiche e le danze collettive, la preparazione del cibo, e ancora giochi, arti e mestieri, terapie collettive, medicina naturale: un autentico programma nel programma. E i miei occhi continuavano a scorrere lungo quel foglio. E leggevo che ci sarebbero stati anche i Rumiti, maschere ancestrali del Carnevale di Satriano di Lucania che richiamano lo spirito dei boschi della Basilicata, completamente ricoperti con foglie di edera, silenti e anonimi: uomini che si fanno alberi e alberi che si fanno uomini. E che i vicoli di Calitri, e i sentieri nei boschi tutto intorno, sarebbero stati invasi dai Merdules, le maschere sarde di Ottana che svelano tracce evidenti degli antichi culti del Mediterraneo arcaico, su tutti il culto della fertilità. E poi che ci sarebbero anche stati i diavoli dei Krampus di Canazei, vicino Trento, quelli che secondo la tradizione, durante le serate del 5 e 6 dicembre di ogni anno, accompagnano San Nicolò nella consegna dei doni ai bambini.
E la musica, anche quella non sarebbe mancata, in quella sesta edizione dello Sponz Fest. Concerti all’alba, Theo Teardo con il fotografo francese Charles Fréger, e poi Vurro, un polistrumentista spagnolo virtuoso, uomo dal cranio di vacca circondato da strumenti infuriati, fino al maestro Angelo Branduardi in un concerto speciale accompagnato da un ensemble di musica antica. E ancora l’omaggio all’indimenticabile Antonio Infantino, a suonarne il ricordo ci sarebbero stati i suoi Tarantolati di Tricarico guidati da Ago Trans, al secolo Agostino Cortese, per tantissimi anni braccio destro del Maestro, mentre dalla Sicilia sarebbe arrivato Alfio Antico, il tamburo più selvaggio della Trinacria. Anche un requiem ci sarebbe stato, quello degli animali immaginari del pianista e compositore Stefano Nanni. E poi orchestre da ballo, la quadriglia-batticulo di Tonuccio, l’omaggio al ’68 a ’68 giri, un grande tributo a Louis Prima e tanti gruppi locali che si sarebbero alternati nella balera a cielo aperto che per l’occasione sarebbe stata allestita tra il paese e il bosco del Pascone. E notti senza requie ci sarebbero state, giù fino al centro storico di Calitri, con quegli scalini “disegnati da Esher e dai muli”, con due teatri “grotta” per concerti individuali, atti unici e indimenticabili, e un tunnel stradale che avrebbe ospitato fino a tarda notte dei flussi selvaggi di musica contemporanea ed elettronica.
Mentre pensavo alle cose che stavo leggendo, cercai di ricordarmi la data, quella del giorno che stavo vivendo. L’orologio mi venne in soccorso, era il 25 agosto 2018. Pensai subito che buona parte di quel programma che avevo appena letto era ormai andata, praticamente evaporata. Guardai il sole, le ore erano passate ed esso era già arrivato sul punto di calare. Cercai di orientarmi e di capire, vidi che di tutto quel programma rimaneva ancora un pezzetto, probabilmente il clou di tutta la festa, la “Notte Selvaggia”, quella in cui l’intero paese di Calitri, percorso dal “vallone della cupa” a Borgo Castello da uomini-bestia, uomini-alberi, sponzati con pelo e sponzati semplici, diventerà, dal tramonto all’alba, palcoscenico e, al tempo stesso, opera collettiva del rito. Ad aprire le cerimonie della “Notte Selvaggia” ci sarebbe stato Vinicio Capossela, il suo direttore artistico, in La Cupa ‘nta la Cupa. Concerto e rappresentazione nel luogo della leggenda da cui prendono il nome le canzoni della cupa, al loro atto finale, un concerto/rappresentazione unico in compagnia di Mimmo Borrelli, una delle voci più originali e profonde del teatro contemporaneo.
All’inizio della notte selvaggia mancavano ancora solo poche ore, con il mio diesel avrei fatto in tempo a scendere da Cairano verso Calitri, cercando di mangiare qualcosa, e di prendere posto per assistere all’evento. Decisi di lasciare la macchina un po’ più in basso del paese e di farmi un pezzo a piedi, c’erano tantissimi ragazzi che l’avevamo pensata come me. Incontrai per strada alcuni mapuche, un uomo e una donna che dovevano aver già passato la sessantina, io non ne conoscevo la lingua e nemmeno loro non sapevano venirmi incontro con il mio italiano. Ci guardammo negli occhi e provammo ad intenderci con dei gesti. Provai a chiedere loro come si stavano trovando in Italia, in questa parte di Italia, ed entrambi risposero ai miei piccoli gesti con un grande sorriso che mi procurò una immediata sensazione di calore. Poi cercai di capire se stessimo andando nella stessa direzione, l’uomo provò a dire qualcosa che assomigliava al suono ‘slvgg’ ma senza dire nemmeno una vocale di quella parola, immaginai che volesse dire ‘selvaggia’ e che si riferisse alla ‘notte selvaggia’ verso cui anche io ero in cammino. Restammo insieme per tutto quel tratto di strada e varie volte, nel corso della salita, da un piccolo thermos che avevano, mi offrirono qualcosa da bere che dal gusto assomigliava ad un infuso di erbe aromatiche. Io continuavo a camminare verso Calitri con la sensazione di essere arrivato appena in tempo per quella grande festa, ma nessuno mi toglierà mai di testa che se fossi arrivato solo qualche giorno prima sarebbe stato molto meglio, e che posti dove gli opposti si invertono anche solo per poco possono esistere davvero, sta solo a noi crearne e trovarli.
Per tutti coloro che non volessero, invece, perdersi niente del prossimo Sponz Fest 2018 è consigliabile seguire gli aggiornamenti al programma direttamente sul sito dell’evento www.sponzfest.it.
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