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Lucca Comics & Games 2019: Don Rosa, Messico e nuvole

1 Novembre 2019

Ho conosciuto Don Rosa. L’ho incontrato durante la conferenza stampa di questa ultima edizione di Lucca Comics & Games. Per chi non abbia la più pallida idea di chi sia (potrebbe anche esserci qualcuno, ma ci sarebbe da stupirsene), Keno Don Hugo Rosa è un fumettista e illustratore statunitense. È uno dei più famosi autori dell’universo Disney ed è divenuto famoso grazie alla sua Saga di Paperon de’ Paperoni (The Life and Times of $crooge McDuck).

È uno tosto Rosa, con un volto intriso di una simpatia contagiosa e accompagnato dall’inseparabile bomber con Donald Duck stampato sul retro, si siede al tavolo pacatamente ma allo stesso tempo in maniera estremamente decisa. Racconta che era stato già ventisei anni fa a Lucca e che una delle cose che lo hanno colpito sono le bellissime mura che circondano il centro della città. Dice immediatamente – sfoggiando una notevole vis polemica fin dai primi minuti di conversazione – che se fossero state edificate negli Usa, probabilmente le avrebbero tirate giù da tempo.

Don è in forte contrasto con il sistema culturale americano (almeno di quella parte che lui percepisce come tale) e lo si evince anche da ciò che pensa del modo di recepire il fumetto: “Negli Stati Uniti del nord sono in pochi a leggere fumetti. Se quel che so è vero non saranno più di ventimila persone”. Non gli è mai piaciuto che la Disney fosse così scortese verso di lui e Carl Barks copiando spesso le loro idee. E continua, mostrando ancora un po’ di astio nei confronti di una parte dei lettori americani: “Da noi c’è gente che non sa che Paperino e zio Paperone sono stati fumetti prima di essere cartoni animati”.  Poi dà nuovamente la colpa alla Disney per il suo ritiro: “Il sistema Disney ha distrutto la mia passione e io allora ho smesso di raccontare storie. Mi dispiace molto per i miei fan che sono molto devoti. Ciò che mi disgustava di più però era il fatto che molti prodotti venissero realizzati senza che io avessi un controllo effettivo su di essi”.

 

 

Poco dopo però si rasserena e ritrova la tranquillità raccontando di come ha invece iniziato ad avere la necessità di narrare: “Sono cresciuto con il bisogno di inventare e raccontare storie, fin da piccolo ci buttavo dentro tutte le suggestioni che mi suscitavano le visioni dei vecchi film e dei fumetti di mia sorella che leggevo ogni volta con grande trasporto”. E proprio questo suo amore per i fumetti gli ha sempre permesso di creare personaggi che rispettassero le convenzioni formali del medium ma che allo stesso tempo avessero uno sguardo e aspetti caratteriali sempre profondi: “Quando ho iniziato a disegnare e ideare le storie di Paperone non mi piaceva che quel personaggio venisse definito solo e unicamente dal suo essere avaro. Volevo fosse più interessante e dunque feci emergere questa cosa della sua passione – che degenerava spesso in ossessione – per i trofei. Per lui il denaro non è importante in quanto denaro ma in quanto un trofeo da ottenere a tutti i costi”.

Ma cosa ne pensa dei fumetti di oggi Don Rosa? “Ho smesso di leggere fumetti, oggi fanno solo storie che coinvolgono supereroi. In Europa da questo punto di vista mi pare ci sia invece più apertura e consapevolezza sull’importanza del fumetto. In America sono cresciuti con i supereroi e pensano solo attraverso quelli. Nella casa dove vivo attualmente mi sono fatto un grande giardino per far sì che gli americani stiano il più lontano possibile da me. Se potessi mi trasferirei in Messico”. D’altronde, come scriveva Paolo Conte e cantava Jannacci, il Messico e le nuvole, in qualche modo, richiamano il lato più malinconico dell’America. Che sia solo un caso che quelle stesse nuvole assomiglino proprio a quelle piccole del fumetto, fondamentali per permettere a ogni personaggio di avere ogni volta una voce propria?

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