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Italia e USA nel Novecento tra famiglie politiche e comunità epistemiche

16 Novembre 2014

Si terrà a Roma, a Palazzo Giustiniani, i prossimi 20 e 21 novembre, il convegno “Stati Uniti e culture politiche italiane nel Novecento“, organizzato dal Senato della Repubblica.

Si tratta di un’importante occasione per valutare i progressi di un campo d’indagine storica protagonista negli ultimi anni di uno sviluppo rilevante. I lavori più tradizionali sull’emigrazione antifascista italiana oltreoceano e sulle sue correlazioni con la ristrutturazione delle relazioni politico-diplomatiche postbelliche del nostro paese con la nuova superpotenza americana, divenuta alleato di riferimento, hanno infatti trovato la loro evoluzione in un contesto di studi sulla storia dei rapporti internazionali incentrati sugli USA ormai globalizzato, in cui l’Italia trovava collocazione come attore “regionale” tra Europa e Mediterraneo, e soprattutto di fronte all’affermarsi delle tendenze alla valorizzazione della public diplomacy e della dimensione informale e people-to-people delle relazioni tra le comunità nazionali.

In questi termini possono essere letti, nel loro insieme, i contributi che fisseranno il loro focus sulla circolazione di immagini e discorsi trasnazionali nelle comunità politico-culturali dell’Italia tra fascismo e repubblica e degli Stati Uniti tra prodromi della grande crisi e riscossa del new liberalism rooseveltiano. Soprattutto, ed è questo forse l’elemento di maggiore novità metodologica proposto dall’incontro al dibattito storiografico del nostro paese, molti interventi cercheranno di spostare l’attenzione dai rapporti italo-americani delle maggiori “famiglie politiche” a quello dei movimenti transnazionali di studiosi, esponenti della vita amministrativa e imprenditoriale, professionisti dell’informazione.

Risulta infatti particolarmente indicato a questa apertura la scelta di concentrarsi sul “caso paradigmatico” di Max Ascoli, studioso di diritto e scienze sociali trasferitosi negli Stati Uniti nel 1931 con una borsa di studio della Fondazione Rockefeller per proseguire le sue ricerche lontano dal fascismo, e poi divenuto attivo esponente dell’esilio politico italiano e, nel dopoguerra, direttore di The Reporter, una delle testate di riferimento della cultura liberal e democratica americana. Un percorso di vita, insomma, in cui l’impegno politico “istituzionalizzato” fu solo un aspetto, forse nemmeno preponderante rispetto ad attività culturali e professionali che gli schiusero reti di relazione e di scambio virtualmente senza confini. Questo hanno mostrato in negli ultimi anni studi come quelli di Alessandra Taiuti, Davide Grippa e Renato Camurri, grazie ai quali una figura quasi dimenticata in Italia a causa della sua collocazione irriducibile alla limitata dimensione nazionale si è mostrata, proprio per questo, assai interessante.

Ascoli è infatti l’esempio forse migliore, ma dal convegno risulterà tutt’altro che isolato, del ruolo degli “intermediari culturali” nell’ingresso di esponenti italiani, tramite il contatto con gli USA, nelle nuove comunità epistemiche del dopoguerra.

Le comunità espitemiche sono gruppi professionali ad alto tasso intellettuale che condividono, su scala sovranazionale, paradigmi operativi e conoscenze fondamentali, ma anche abitudini, reti di mobilità tra luoghi di lavoro, canali d’informazione e luoghi di socializzazione e interazione, fino a sviluppare una mentalità e un insieme di comportamenti che li accomunano e li identificano quasi quanto l’ormai sbiadita appartenenza nazionale. Si parla, naturalmente, di studiosi e ricercatori, ma il discorso si può allargare al mondo del management, ai vari livelli del personale diplomatico, al giornalismo “senza frontiere”. Capire meglio la loro formazione e i meccanismi di funzionamento interno appare cruciale anche sul piano della stretta attualità, per comprendere i caratteri sociali e culturali della globalizzazione del lavoro intellettuale e la disarticolazione della governance nella vita economica e nelle infrastrutture della conoscenza. E, per quanto riguarda l’Italia, sono state proprio le relazioni culturali e professionali con gli Stati Uniti a determinare in buona misura i caratteri dell’ingresso di nostri esponenti in questi circuiti internazionali, visto il ruolo di sempre maggiore centralità svolto dagli USA nel riordinamento delle istituzioni politiche, culturali, educative e informative internazionali, e visto il conseguente “capitale” di reputazione che un rapporto con la superpotenza nordamericana garantiva sia entro che al di là dei confini nazionali.

L’incontro del Senato è pensato, dunque, per addetti ai lavori, ma almeno nelle intenzioni si propone di uscire da schemi d’indagine consunti, per consentire alla storiografia italiana di perseguire due obiettivi fondamentali in vista di un maggiore impatto sia rispetto al “bisogno sociale” di conoscenza storica, sia nei confronti di quanto si sta muovendo oltre confine. Da un lato, quello di presentare un’indagine davvero incisiva anche in relazione a domande e curiosità relative al mondo che ci circonda e ai suoi problemi. Dall’altro quello (strettamente correlato) di acquisire spunti di metodo, concetti-chiave e piste di ricerca meglio integrabili con quelle che ormai caratterizzano il dibattito della storia politica e intellettuale globale a livello internazionale.

A chi volesse partecipare, il rigido dress code imposto dal protocollo offrirà anche l’occasione di vedermi con la cravatta per la prima volta dopo la discussione della tesi di dottorato, sette anni e mezzo fa.

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