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Il ministro Franceschini non conosce la differenza tra scrittura e pubblicazione
In un mercato editoriale come quello italiano in cui si pubblicano 64.000 libri l’anno, 175 al giorno, si sentiva davvero l’esigenza di dare spazio e istituzionalizzare le centinaia di migliaia di manoscritti inediti chiusi nei cassetti degli italiani? Secondo il Ministro Franceschini, che ha lanciato l’idea di costituire una Biblioteca Nazionale dell’inedito in cui conservare i manoscritti mai pubblicati, sì.
La proposta, in un momento di crisi come quello che sta vivendo l’editoria italiana, appare quantomai fuori luogo e inopportuna per una serie di motivazioni che cercheremo di spiegare.
Innanzitutto avere un proprio manoscritto nella biblioteca nazionale dell’inedito legittimerebbe chiunque ad avere aspirazioni letterarie anche senza possedere i mezzi adeguati. Non bastavano i siti di self publishing, rifugio peccatorum di casalinghe, ricette della nonna, diari adolescenziali e improbabili fantasy, ora si vorrebbe istituzionalizzare la grafomania di milioni di italiani con conseguente nefaste per il mercato editoriale italiano e per gli editori che già stanno subendo una campagna di delegittimazione del proprio operato.
Si alimenterebbero false speranze e manie di protagonismo di tanti cittadini che, sebbene lecitamente scrivano nella vita privata, non hanno gli strumenti o le capacità per pubblicare un libro. Il ministro sembra non aver compreso la differenza tra scrivere e pubblicare un libro. Chiunque può scrivere – fino a prova contraria siamo in democrazia – non tutti possono pubblicare un libro, ma questo al giorno d’oggi non è scontato. In una società dove merito e valori sembrano essere scomparsi, in cui tutto ci è dovuto e il diniego, seppur cortese, è visto come un gesto di maleducazione, presunzione e viene sovente preso come una bocciatura della persona (quando in realtà l’editore compie una valutazione sul manoscritto), la pubblicazione di un libro è diventata una cosa dovuta e scontata quando, ovviamente, non lo è. La colpa è da ricercarsi in un fenomeno di democratizzazione (nell’accezione più negativa di questa parola) causato dalla diffusione dei siti di self publishing che hanno dato l’illusione a chiunque di poter pubblicare un libro.
Il Ministro così facendo scredita il ruolo di mediatore culturale dell’editore, quella figura che media tra le richieste dei lettori e le proposte degli autori. La biblioteca dell’inedito sarebbe una prevaricazione e delegittimazione del lavoro che quotidianamente migliaia di editori e professionisti dell’editoria svolgono per selezionare, valutare e pubblicare i libri e per diffondere la cultura nel nostro paese.
Franceschini asserisce che la biblioteca dell’inedito “sarebbe la memoria di un intero paese” dimenticando – e questo per un Ministro dei Beni Culturali è davvero grave – che l’Italia ha già una memoria storica conservata nelle migliaia di libri pubblicati ogni anno, nonostante i libri poco curati, nonostante i testi marketta, nonostante l’editoria a pagamento.
La proposta lascia perplessi anche da un punto organizzativo: chi valuterebbe i testi? Con quali criteri un testo verrebbe accettato o scartato? Trattandosi di una biblioteca dell’inedito in linea teorica ogni testo dovrebbe essere accettato con conseguenze nefaste sia in termini di spazio sia in termini di tempo per gli addetti preposti alla gestione del nuovo ente.
D’altronde è lecito domandarsi in quale paese viva Franceschini che dichiara: “molti non osano scrivere perché temono di confrontarsi, ma scrivere è una terapia straordinaria, è un atto di grande creatività e libertà, che tutti dovrebbero fare, al di là del talento o dell’essere o meno portati”.
Invece che lavorare, come sarebbe opportuno, a politiche per promuovere la lettura, il Ministro rilascia dichiarazioni in cui si invitano gli italiani a scrivere, sicuramente non conscio della situazione in cui si trovano la stragrande maggioranza delle case editrici, subissate da email con proposte di manoscritti ma non da altrettanti ordini di libri.
Si vuole davvero promuovere la memoria del nostro paese? Si inizi dotando le biblioteche di maggiori fondi, costruendo biblioteche nelle aree del paese ancora scoperte. Solo a Roma nell’ultimo anno ci sono stati tagli ai fondi per le biblioteche del 27%. Della Biblioteca dell’inedito, caro ministro, nessuno ne sente il bisogno, ci sono problemi ben più gravi e impellenti da risolvere nel panorama culturale italiano.
Francesco Giubilei
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