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Il grande Fratto e la Milanesiana
Di quelli che chiameremmo riduttivamente sketch non se ne salverebbe una frazione se non fosse proprio lui ad incarnarli e abitarne l’habitat di geniale semplicità, composto da Flavia Mastrella con due teli agganciati al palco e altrettanti fari incrociati.
Non è l’azione in sé, non è la sola scrittura, lo si è visto in tutto questo tempo: è come fa il teatro, come disfa e ricrea spazio e tempo intorno al corpo, come solo un certo qualcuno, riconosciuto il proprio talento, può riuscire a fare. Non è uno, è Antonio Rezza fratto X, dove X è l’incognita che lo fraziona in infiniti sé (o se, quando il dubbio ha la meglio).
Parliamo ancora di lui, il più grande performer italiano (fino a prova contraria, come egli stesso ammette); ossessione dell’ossessivo, Piteco per evoluzione involontaria, variabile in(de)finita divisa da un orizzonte di im-possibilità.
Lui uomo e bambino osceno, fumetto eretico, santa Rita, Mefisto, che assieme alla compagna forma la sintesi Rezzamastrella, un duo artistico sulla scena gli schermi e le pagine dal 1987. Un accoppiamento micidiale, che ha avuto ragione delle proprie resistenze e che oggi, a detta dei critici più critici, vanta un pubblico ampio, solido, anche affezionato. Un pubblico che il performer bersaglia, pungola, esamina dal palco come un cecchino pronto a sparare fasci di luce al primo cedimento allo smartphone: “Il problema non è che tu non guardi me, ma che io son costretto a vedere te!”, così Rezza all’improvvido spettatore illuminato dallo schermo.
Hanno trascorso anni faticosi e impervi Rezza e Mastrella, poi, come dice lui (da qui parafraso), sono arrivate le istituzioni, si sono accorti di noi, ci hanno fatto lavorare di più, e così poi si produce di meno e siamo meno pericolosi. Farci lavorare tanto è l’unica maniera per fermarci, diversamente noi creiamo, di continuo… Il recente confinamento in casa ha spinto infatti Rezza a comporre musica; ne assaggeremo il livello a Macerata per Musicultura 2020. Musica, annuncia l’autore, composta solo con l’apparato orale, i suoi anfratti e le relative corde. E la cosa suona già interessante.
Franco Quadri riuscì in una mirabile sintesi dopo avere assistito a Pitecus nel 1998: nel tempo Rezza non si è ricondotto a nessuna pace ragionevole. La sua ragione ha sviluppato anzi gli artigli, si è fatta follia pura.
Uno dei critici più attenti e sensibili aveva già colto il punto. Antonio Rezza è un blocco di energia formidabile, che grazie all’ incessante movimento vocale, mentale e fisico lo esclude dal mondo dei pazzi.
Alla sua prima uscita in pubblico nei teatri all’ aperto a platea distanziata, assistiamo a Fratto_X al castello Scaligero di Villafranca di Verona per la ventunesima edizione della Milanesiana.
Non si vuole qui l’ennesima nota critica dello spettacolo già lungamente indagato, ma solo alcuni significati sociali di questo lavoro in riferimento alle scelte compiute dalla direzione artistica della storica rassegna ideata dall’editrice Elisabetta Sgarbi, mentore editoriale di Rezza quando con grande intuito sull’artista, volle pubblicarne il primo libro Non cogito ergo digito con Bompiani, nel lontano 1998.
Giunta alla ventunesima edizione, Elisabetta Sgarbi, direttrice artistica della rassegna e de La nave di Teseo, ha voluto tra i colori della Milanesiana anche i chiaroscuri di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, un solo essere creativo quanto più anarchico, libero e dunque anacronistico possibile. Rosa d’oro ricevuta lo scorso anno per l’edizione 2019, rose rosse in pugno a fine spettacolo lo scorso 12 luglio tra il plauso generale, con la sigla del Giro d’Italia che suonava assieme alle parole di Rezza innestate sulle note finali del pezzo scritto da Extraliscio e animato dai disegni di Davide Toffolo e Michele Bernardi.
Elisabetta Sgarbi
Vedere Elisabetta Sgarbi nel concentrato viluppo di professionalità e compostezza accanto all’irrefrenabile performer e la sua compagna, tutti assieme sul palco tra le note del brano che la stessa direttrice ha edito per la sigla del Giro, è stata una sintesi felice; come quando – pur breve – un’armonia si ricompone e il cinismo-fede contemporanea concede una tregua. Elementi diversi che non si elidono ma si sommano, con una rifrazione di colori che lascia sfuggire un’incauta speranza di superamento del presente. La visione davanti al palco alla fine dello spettacolo, era quella di una contiguità tra dirigenza organizzativa e umanità aumentata, tra performance manageriale e performance artistica, tra investimenti, politica e cultura. Basta leggere qualche intervista della direttrice per immaginare un’infaticabile rigorosa manager capace di convivere con la sua parte sbagliata, quella Betty Wrong creativa, forse meno produttiva in senso economico, ma essenziale al suo completamento; la stessa parte sbagliata che forse ha visto giusto oltre venti anni fa nell’unicità e nella forza di Antonio Rezza, a sua volta capace di un rigore monacale (maniacale) rispetto all’ esecuzione del proprio lavoro. Ecco il punto di contatto tra i due; la specularità ribaltata e rifratta da un gioco di ruoli e di abbattimento degli stessi, a favore di una bellezza obliqua portata in pubblico. Chi porta in scena Rezzamastrella (in questo caso assieme al prode attore compagno Ivan Bellavista) compie assieme agli artisti un atto di sabotaggio; se si fa bene attenzione a quello che esprime il performer non attore non personaggio mediatico non per questo mai ingenuo né cinicamente scaltro, non si può negare che Rezza si muova su territori minati nei quali pochi davvero azzardano con altrettanta credibilità. Ancora una volta va detto che questo rappresenta un atto politico così come politico vuole essere il teatro per sua natura, se dire “politico” vuol dire ancora “connesso alla gente”. Dalla bocca deformante di Rezza fratto Rita fratto Mario fratto robottino Timoty e fratto X, escono strali incendiari verso ciò che poco prima pareva sacro o tabù. In Fratto_X non si salva il mito materno, né la polizia, né la coppia, né Gesù Cristo osteggiato da un Barbapapà che gli contende la sindone. E’ un lavoro dis-umano sulla vita e sulla morte, dove il fratto è simbolo di annientamento ma anche di vitale partenogenesi.
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E io, dopo anni da spettatore e osservatore clandestino di Antonio Rezza, ho avuto in premio un incontro col performer. Incontro a tradimento, con lui seduto di spalle intento a ristorarsi. Mi sono avvicinato dopo averne individuato il cranio mobile e nervoso. “E’ occupato questo posto?”, ho chiesto. Se il piano del tavolo era il fratto, la mia X è rimasta pressoché un’incognita.
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