Eventi
Il 1974 e l’orrore di San Remo
L’orrore di Sanremo. Vado a letto sconfortato, confuso, con il mal di testa. Si prefigura un mondo di ritoccati, di rifatti, di anziani residui di magazzino rispolverati e tirati a lucido. Un mondo incanutito, visibilmente ritoccato, che parla d’amore. L’amore, eterno, inseguito, proclamato, indicizzato, tutto l’amore del mondo. In un mondo senza fiori (ma non era il festival dei fiori?), con una scenografia fatta di stagnola, con un rutilante e continuo effetto luci che nemmeno alla sagra dello sgombro. Con gag comiche telefonate, prevedibili, pasticciate. Con il buon Pierfrancesco Favino, che abbiamo nel cuore, ridotto al ruolo di valletta strapagata, a far da intrattenitore. Con il vecchio, consunto Claudio Baglioni, che non sopportavamo già venti anni fa, chiamato a far apparizioni di una noia devastante. Con Fiorello che dovrebbe dare l’entusiasmo, e sembra, ancora e sempre, un intrattenitore da club mediterranee e rimpiange Pippo Baudo. E la povera Michelle Hunziker, definita dai colleghi presentatori “l’elvetica”, che prende presto il controllo della situazione in un festival tutto o quasi declinato al maschile. Eccolo, il paese reale, vecchi tromboni, star che furono – inseguiamo ancora i Pooh? – poche donne, pochissimo under 50. Il segnale è chiaro, la normalizzazione è in atto, la prospettiva è disegnata. La prima serata di Sanremo detta legge, disegna lo scenario futuro. Chi c’è c’è. Non abbiamo altre speranze, in questo paese. Perché Sanremo è Sanremo. Non mancano belle canzoni: rimpiangiamo Lucio Dalla, o rispolveriamo il pop dei Decibel, ci dobbiamo commuovere per Gianni Morandi. Poi ascoltiamo due giganti come Enzo Avitabile e Peppe Servillo ridotti che nemmeno i neomelodici.
Infine vdiamo Ornella Vanoni e capiamo. Capiamo tutto, il disegno, il progetto, il complotto. È in atto un complotto. Altrimenti non potremmo spiegarci perché un festival simile. Questa carrellata di anni 80 e 90, di maschilismi e machismi (e masochismi). I pochi che si salvano – Lo Stato Sociale, i declinati Elio e le Storie Tese – potrebbero raccontare storie diverse, attivare altre melodie e altre narrazioni. Ma sono subito ingoiati dalla norma, dalla palude, dal revival.
Cosa resterà di questi anni? Se Sanremo è l’anima sincera del Paese, allora non abbiamo molto da sperare per il futuro. L’amore è là: ed è l’unico o il principale tema di discussione. L’età avanza, il botox imperversa. Masterclass di chirurgia estetica, con risatine impacciate, parole non bene scandite da tutto quella plastica, tutto questo tira e molla di pelle, significati, doppisensi. Il regno del Viagra.
Abbiamo bisogno di essere accuditi, rasserenati, ammorbiditi. Claudio Baglioni, che sembra Silvester Stallone o Lilli Gruber, a seconda delle inquadrature, è il testimonial perfetto. Rimane sempre alla gag di prima, non capisce, non sa dove è né cosa fa. Ironizza su se stesso, come se questo potesse salvarlo. Non è più tempo di autoironie per salvare gente che sta al potere da 40 anni. E tu è del 1974. Sono passati 44 anni. Il Paese è ancora lì? Cosa abbiamo prodotto da allora? E il povero Favino, in questa prima serata emozionato che nemmeno una starlet, a segnare il declino di ogni speranza, come potrà salvare quel po’ di dignità che pure avrebbe dovuto portare in scena? Lui che avrebbe dovuto essere il rappresentante della “cultura delle parole”. Sommerso dalle rutilanti luci, dalle improbabili gag scritte da chissà chi, un attore di livello come lui si limita a pubblicizzare il film di Muccino che lo vede protagonista: cantando Cocciante, Bella senz’anima, altro pezzo del 1974. Tutto è chiaro, tutto è vischiosamente evidente. Il meglio del cinema italiano.
Dobbiamo tornare ad allora? Al ’74? Agli anni bui della strategia della tensione? Moriremo democristiani? Dobbiamo preoccuparci del vero amore? Oppure, semplicemente, siamo assuefatti ai novantenni ritoccati che rimpiangono i bei tempi andati?
Devi fare login per commentare
Accedi