Eventi

Gli animali parlanti di Bernardo Zannoni

12 Settembre 2022

Insomma, ho letto in una giornata I miei stupidi intenti, vincitore del Premio Campiello 2022, di Bernardo Zannoni. Mi sono dovuto sforzare perché avrei voluto interrompere alla pag. 30.

In verità ho capito poco il messaggio che vorrebbe veicolare Zannoni attraverso il suo romanzo. Anzi, per nulla. L’inizio sembra un romanzo picaresco in chiave zoologica, pieno di malandrini e individui violenti, con faine che non si comportano proprio da faine, per esempio. Certo, sono faine che parlano, cucinano, cacciano (come le faine devono fare) e spazzano le tane, come se fossero civili abitazioni. Accendono il fuoco, i lumi della tana, guardano malinconiche alla finestra. Nel libro di Zannoni tutte le famiglie di faine allevano polli, dando loro regolarmente da mangiare e coltivano il terreno, perfino la vigna. Le faine nella realtà i pollai li sterminano: una volta uccisa una gallina in un pollaio, pur se non ne hanno bisogno per nutrirsi, le faine fanno fuori irresistibilmente anche tutte le altre. Così, per istinto, perché sono faine, astute più delle volpi ma più feroci. Non coll’uomo, però. Uomo che, nel romanzo, appare una sola volta, per sparare e difendere i suoi maiali. In compenso gli animali selvatici si comportano come l’uomo e, come da loro condizione naturale, forse anche più bestialmente.

È un animale poco usato dagli scrittori, potevo tratteggiarlo a mio piacimento, è stato anche un modo per omaggiare un animale sfigato.” Dice serafico Zannoni in un’intervista.

Però, se si sceglie un animale per farlo comportare come un uomo, addirittura fornendogli l’alfabetizzazione, si pensa che la scelta abbia delle motivazioni un po’ più profonde che non il narcisistico scopo di tratteggiarlo a piacere. E poi, perché animale sfigato? Molto più sfigati sono gli animali più deboli di lei, in quanto uccisi e mangiati. Le galline, per esempio, sono la quintessenza della sfiga, stupide come non so cosa e sempre destinate alla pentola o a produrre uova, fatto che le salva dalla pentola finché ne producono. Ma esisteva già Chicken run, il celebre cartone animato delle Galline in fuga.

Si ha la sensazione di trovarsi in un cartone animato di Walt Disney, dove gli animali parlano abitualmente e compiono azioni comiche ed epiche, ma con tinte assai più trucide, perché qui si parla di morte e violenza a ogni pagina: la vita degli animali, seppure umanizzati, è una continua caccia, come dev’essere soprattutto per un predatore come la faina. Un predatore che viene venduto giovanissimo dalla faina madre a una volpe usuraia in cambio di una gallina e mezzo. Archy, la fainetta protagonista, di sesso maschile, si è rotto una zampa cadendo da un albero per l’inesperienza nella caccia ed è un peso morto per la famiglia, che già ne ha uno, una sorella mezza ciecata perché ha osato rompere un oggetto della madre: la madre, una faina per bene e di buone maniere, le ha dato una zampata e le ha portato via un occhio. Così Cara, una delle due sorelle di Archy, sta affacciata alla finestra tutto il tempo perché non vede bene e quindi non caccia. L’altra sorella, Louise, è invece oggetto di appetiti sessuali da parte di Archy.

La volpe usuraia, Solomon, schiavizza Archy ma, nella sua voglia di immortalità, gli insegna a leggere (la Bibbia, pensa te!) e a scrivere la propria biografia depurata da alcuni segreti, per esaltarla. L’allegra combriccola ha varie vicende, che non vale la pena di ricordare anche perché mi sono chiesto spesso, mentre leggevo il romanzo, che utilità potessero avere, sia le vicende private della famigliola di Archy sia il romanzo. Se vorrete ve le leggerete voi, io ho già dato.

La storia di Archy, alla fine, anche se agli animali si sostituissero gli uomini, non avrebbe uno spessore tale da risultare interessante, sebbene ci sia uno sforzo di utilizzare simboli importanti da parte dell’autore. Ad esempio la Bibbia, ossia il tesoro rubato dalla volpe alla vecchia lince, finito tra le sue zampe chissà come e con un farraginoso espediente per farsi insegnare a leggere e scrivere da un cane che faceva la guardia ai bambini dell’uomo, attraverso ricatti e malversazioni (siamo sempre tra malandrini, ricordiamolo), i quali cani dovevano spiare come apprendevano i bambini per poi riportare tutto alla volpe… Così la volpe avrebbe potuto leggere la storia secondo la Bibbia, il libro degli insegnamenti supremi, e di conseguenza scrivere la propria. Come se la propria storia, di animali parlanti e scriventi, fosse interessante tanto quanto.  Inoltre, se l’uomo per imparare a leggere e scrivere ci mette almeno dieci anni, per quanto sveglia e furba possa essere la volpe, per caso Zannoni sa che la vita media di una volpe va dai due ai cinque anni? In un anno si impara a leggere, si legge tutta la Bibbia e si compone pure la propria autobiografia, le Olimpiadi dell’intelletto. Sempre seguendo l’idea che gli animali possano imparare a leggere e scrivere, nella finzione letteraria. Ma per favore! Almeno Topolino e zio Paperone sanno già scrivere e far di conto, non è dato sapere come e perché ma questa è la loro forza, nascono così.

La scoperta di un Dio, attraverso la Bibbia, peraltro un Dio abbastanza assente e stupido secondo gli animali, non chiarisce il mistero della morte, altro tema ossessivo nel romanzo di Zannoni, né alla volpe né ai nuovi alfabetizzati. Alla fine la sapienza, ereditata e appresa dalla volpe Solomon, viene trasmessa a sua volta da Archy, prima di morire, all’istrice Klaus che, con un atto d’amore, l’aveva salvato dall’incendio, ferito e agonizzante, inseguito dalla vecchia lince che voleva recuperare il tesoro rubato: faina e lince attraversano il bosco in fiamme, cadono nel fiume tumultuoso, mentre il libro sta sempre tra le zampe e la bocca della faina zoppa, il tesoro è salvo e inossidabile e la lince muore. Nemmeno Indiana Jones.

Tutto è mescolato, tutto è organizzato un po’ confusamente, senza in realtà caratterizzare la specificità degli animali, pur umanizzati, come fanno Esopo, Fedro, La Fontaine, i Grimm, Perrault, Basile, Casti, Carroll, Orwell e tanti altri autori. Peraltro i personaggi forti, che decidono, sono tutti di sesso maschile, per cui ogni tanto ci sono delle collisioni nelle concordanze tra i generi degli animali (faina, volpe e lince sono tutti femminili, anche quando il sesso dell’animale è maschile): “Trascinai la vecchia volpe fino alla sua camera, ancora svenuta; respirava male, la lingua gli usciva dalla bocca, colorata di sangue.” “Le” sarebbe risultato più corretto grammaticalmente, non infieriamo.

La faina con gli stivali forse avrebbe avuto più senso e soprattutto non per 169 pagine ma per un racconto morale di non più di quindici.

Il tentativo di mescolare romanzo picaresco, romanzo sociale e romanzo sentimentale in una chiave zooepica mi è parso mal riuscito. Io mi sono molto annoiato, devo dirlo sinceramente. Non ho compreso la bellezza che ha fatto premiare questo romanzo al Campiello 2022. Come se a Miss Italia 2022 le partecipanti fossero tutte racchie ed eleggessero la racchia minore, vuol dire che quest’anno va la racchia. Chissà come dovevano essere gli altri romanzi se questo ha vinto e, per giunta, distanziandoli. Spesso mi chiedo, forse non solo io, quali siano i criteri di selezione dei premi letterari.

La lingua di Zannoni è di una povertà imbarazzante, soprattutto all’inizio del romanzo. Dopo la metà migliora leggermente ma senza diventare qualcosa d’indimenticabile. Si assiste a un impoverimento idiomatico in cui si utilizzano sempre meno termini, anche se sappiamo che, esistendo nella nostra lingua diversi sinonimi, le sfumature possono essere sottilissime e fare la differenza. Ed è, appunto, ciò che può portare una ricchezza lessicale a brillare per la sua assenza. Frasi corte, perché il lettore odierno può confondersi se ci sono troppi gradi di subordinazione, mai sia, bisogna rassicurarlo che non sia una bestia e che il romanzo sia alla sua portata per farlo sentire adeguato. Sentimenti semplici, adolescenziali, anche se chi scrive è un uomo fatto e non scrive per ragazzi, ma non c’è musica, non c’è ironia. Poi pensiamo a grandi scrittori della Storia che alla stessa età di Zannoni avevano scritto cose ben più profonde. Naturalmente parliamo di pietre miliari della letteratura, non le cito per pudore. Evidentemente nel XXI secolo gli scrittori più giovani stanno regredendo (pur avendo frequentato, saltuariamente, scuole di scrittura come la Holden, nel caso di Zannoni, o forse proprio per questo), così come anche le commissioni giudicatrici, così come anche le case editrici, per accogliere una lingua sempre più povera e spacciarla come il futuro della letteratura. Il lettore medio è mediocre così anche la letteratura deve esserlo esattamente come è mediocre il pubblico della televisione pertanto anche la televisione deve esserlo. E la corsa al ribasso diviene una legge commerciale per vendere: libri, film, fiction, musica. Se la scrittura dev’essere l’unica salvezza dalla morte, per la volpe e per la faina, e forse anche per l’autore, sicuramente di questo tipo di scrittura si salva ben poco.

D’altro canto, in un’intervista a Zannoni sul Foglio questo è quello che gli esce dalla bocca:

L’Italia può essere un paese per giovani? Gli chiediamo. Sì, assolutamente – fa lui – ma solo se i vecchi se ne vanno. Bisogna puntare sui giovani, importiamoli, insegniamo loro i veri valori, invitiamoli a leggere, a imparare le cose… tutti i problemi che ci sono oggi, dall’omofobia al razzismo, sono risolvibili con un minimo di studio ed educazione. Io partirei da lì. Per i vecchi, basta aspettare”.

Importiamoli… dalla Luna, dopo aver recuperato il senno? Come si fa a importare i giovani? Ma che lingua parla, Zannoni?

Chissà se Zannoni sa che Gesualdo Bufalino debuttò come scrittore quando andò in pensione, a sessantuno anni, con Diceria dell’untore, sempre per la stessa casa editrice con cui lui pubblica i suoi stupidi intenti. E chissà se sa che l’omofobia e il razzismo non sono risolvibili solo con lo studio e l’educazione. Gli elettori di Fratelli d’Italia, solo per fare un esempio, sono spesso istruiti sebbene siano psicofascisti. E, d’altro canto, basta vedere l’età media dei militanti di Forza Nuova o Casapound, che sono per lo più giovani sempre in cerca della discriminazione e della rissa. E non sempre sono ignoranti. Sono però omofobi e razzisti. Pregiudizio e istruzione non vanno sempre in opposizione, caro Zannoni. Anche Pillon e Federici non sono ignoranti ma sono gretti conservatori della peggior specie. Sono in gioco fattori culturali più ampi. I vecchi, da rottamare tutti indistintamente, mentre i giovani sono sempre il sol dell’avvenire, sono generalizzazioni talmente imbarazzanti così come lo erano le rottamazioni di Renzi. Vien voglia di prendere il suo romanzo e utilizzarlo per accendere il camino.

Lorenza Carlassare, straordinaria figura di costituzionalista e di democratica, è morta poco fa, a 91 anni, peccato, ne avevamo ancora tanto bisogno. Di Liliana Segre, pur così anziana, le pare che dovremmo aspettare il momento della sua dipartita, come dice lei, per avere via libera? Quest’avversione per l’anzianità, quest’ansia di gioventù a ogni costo, inseguita da tutti indiscriminatamente, a cominciare dai giovani un tempo folgorati da Berlusconi e Forza Italia, e che è qualcosa che si ritrova anche tra i movimenti giovanilisti come le Sardine o gli psicoambientalisti alla Greta, è una cosa su cui dovrebbe riflettere per bene, Zannoni. E poi, nel suo romanzo, la sua giovane faina muore di vecchiaia: anche lei diventerà vecchio in men che non si dica, se ne accorgerà. Speri di avere dei sani ripensamenti, fino ad allora, e che quelli che saranno giovani a loro volta non desidereranno di aspettare che lei muoia perché vecchio, come ha detto lei, sottintendendo inutile e dannoso. Ci sono dei vecchi da cui lei potrebbe imparare molto. Anche a scrivere meglio, per esempio, che, visto come riempie le pagine, potrebbe risultarle utile. Se l’insegnante del Liceo la spronava a leggere i classici, magari italiani, un motivo ci sarà stato. Poi avrebbe anche potuto leggere Kerouac e Bukowski, che ormai sono diventati classici anche quelli, immagino in traduzione e quindi già in una dimensione traslata. Ha mai provato a leggere Calvino o, che so, Buzzati? La dimensione zoologica avrebbe potuto assumere connotati più interessanti, anche loro scrissero di animali parlanti.

Ovviamente, ed è veramente chiarissimo, tutto è la costruzione di un prodotto di mercato: il giovane esordiente, faccia liscia e capello riccio un po’ Giovanni Allevi dei tempi d’oro, la favola con animali, i temi di Dio, della lotta per la vita, dell’amore, della morte, dei soprusi, la catarsi attraverso la scrittura, visti in forma semplice da uno scrittore giovane, scoperto da un editore prestigioso e fuori dai potentati editoriali, il premio ambito, molte traduzioni per il mercato estero in vista, le interviste giuste, le giuste recensioni, ci sono tutti gli ingredienti per lanciare il prodotto con successo. Se non si ha di meglio da fare ci si può annoiare anche di più colla lettura degli stupidi intenti.

Chissà se l’anno prossimo leggeremo un sequel, magari la faina in paradiso, a colloquio con quel Dio che aveva appreso dalla Bibbia (sì, ma che se dicono?, direbbe Anna Marchesini come Signorina Carlo). Ho letto in un’intervista che si prepara un cartone animato tratto dal libro. Bello trucido, con tutti gli assassinii che ci sono. Chissà che diranno i guardiani dell’infanzia, visto che Peppa Pig è risultato addirittura sconcio.

 

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