Eventi

Favole, orsi, mostri e principi Punk

12 Novembre 2014

C’è un bisogno diffuso di discussione, di dibattito, di confronto all’interno del settore teatro ragazzi: questa almeno l’impressione che mi sono fatto nei tre giorni in cui ho frequentato il festival Segni d’Infanzia di Mantova, interamente dedicato a una programmazione di spettacoli per l’infanzia e la gioventù.

Assieme ai critici Rui Pima Coelho, portoghese, e Nino Kovacic, croato, avevamo il compito di gestire gli incontri subito dopo gli spettacoli: occasione non solo per fare recensioni “live”, ma anche, e soprattutto, per provare a ragionare meglio attorno a questo strano teatro che si dà in pasto al pubblico dei bambini. Un po’ ho provato, nel primo articolo dedicato al festival, di riprendere alcuni dei temi emersi.

Qui, ora, provo a dar conto di una selezione degli spettacoli visti (tutti sarebbe troppo).

Intanto le creazioni dei “maestri”, ovvero di quelle compagnie che vantano una lunga storia cui corrisponde una grande sapienza scenica.

Parlo, ad esempio, di Teatro Gioco Vita, e del lavoro con le ombre, espresso magistralmente anche in Il Cielo degli orsi, favola danzata e narrata, con l’interpretazione di Deniz Azhar Azari e Andrea Coppone. Tratto dall’opera di Dolf Verroen e Wolf Erlbruch, lo spettacolo ha, dalla sua, la magia (sempre valida) del recitare con gli oggetti e una drammaturgia robusta, capace di affrontare – in modo traslato ma non troppo – il tema della procreazione e quello, spinoso assai, dell’elaborazione del lutto. Sulle musiche di Alessandro Nidi, le coreografie di Valerio Longo per questi orsi-danzatori sono senza dubbio funzionali e affascinanti.

Si rivolge invece allo spettatore minuscolo, a bambinetti davvero piccoli, il bel lavoro di Dario Moretti e Saya Namikawa, che parte da un testo poetico di Mafra Gagliardi, per il Teatro All’Improvviso. Piccola Ballata per Peu, questo il titolo, narra il mistero e forse il miracolo della nascita, il passaggio dalla pancia della mamma al mondo. È un impianto semplicissimo ed efficacissimo. Dietro un pannello di rigida plastica trasparente, Moretti dipinge, trattando direttamente con le mani i colori, mentre viene eseguita dal vivo una composizione originale per vibrafono. A pensarci, la prima performance di Cage, Cunningham e Rauschenberg, del 1959, aveva lo stesso impianto: là c’era Cunningham che danzava, qui c’è un manipolo di spettatori che si incanta, e incanta, allo stesso modo. Peccato solo per quel tono, davvero troppo mesto, con cui Moretti apre e chiude il lavoro, leggendo le pagine della Gagliardi.

Per restare sul tema performance, fa scintille il geniale Cabaret Noir di Giorgio Gabrielli: marionette, burattini, pupazzi, manipolati con maestria e grandissima ironia. Gabrielli dialoga col pubblico, si schernisce, gioca al ribasso, racconta la sua biografia per cenni divertentissimi e spiazzanti, poi dà spazio e voce alle sue creature, costruite e agite dialetticamente, con intelligenza, amore e passione. Fino all’apparizione esplosiva di un diavolo che parla dialetto e fuma, forse uno dei pezzi di teatro più belli e intensi che ho visto negli ultimi mesi.

Tra i “maggiori” resta da dire – almeno per me – di Il grande viaggio, spettacolo di raffinata fattura, prodotto da Accademia Perduta/Romagna Teatri con Teatro Persona. Il regista Alessandro Serra, anche autore, firma una storia ariosa, articolata, fatta di emigrazione e sogni, di incontri fortuiti e nostalgie. Lo spettacolo, al debutto, necessita ancora una messa a punto – mi è parsa troppo lunga, ad esempio, la prima parte – ma si avverte subito grande eleganza, ampiezza di visione, gusto per l’invenzione.

Ancora tre lavori da segnalare.

Il primo è Angeli e Nuvole, curato da Cristina Cazzola e Lucio Diana, con l’interpretazione della brava Sara Zoia. Divertente monologo che unisce un afflato fortemente pedagogico e didattico (la possibile “lettura” della “Madonna di Foligno” di Raffaello) con il racconto di un “viaggio di formazione”: stavolta non è un bambino ad apprendere e a crescere, ma la maestra grazie all’ascolto dei suoi studenti. Il lavoro, di gran grazia, insegue la suggestione delle nuvole, sa mettere allegramente assieme citazioni pasoliniane, flaianee e – purtroppo per me – rimandi all’odiosissimo Piccolo Principe.

(Colgo l’occasione per lanciare una proposta di messa al bando dell’orrida favoletta di Saint-Exupery: per almeno dieci anni via da ogni palcoscenico!).

A proposito di favole, vince la brillante versione di Cappuccetto Rosso imbandita dalla Compagnia Rodisio, dal titolo Ma mère l’oye. Insinuante, sottile, l’esecuzione del bravissimo Davide Doro, anche autore con Manuela Capece di uno spettacolo (ancora perfettibile) che gioca con la paura dei più piccoli, e pure dei grandi, mettendo assieme con smalto canzoni in playback e racconto, oche ballerine e lupi pericolosi, magici fuochi e scheletri danzanti degni di Jodorovski.

Ultimo lavoro di cui voglio parlare: Knup, della francese Compagnie d’A…!. Un quartetto di musicisti-cantanti straordinari, di cui uno anche narratore – con grande generosità in italiano, per l’occasione – danno vita a un concerto-favola geniale, divertentissimo. Basta leggere al contrario il nome del “principe” protagonista per capire il clima (musicale e non solo) dello spettacolo. Tra mille avventure e imprese, tra capovolgimenti simbolici e reali, incontri con la morte e con i draghi, tra nemici che ricordano molto l’ex presidente Sarkozy, il principe-carbonaro Knup sposerà, ovviamente, la principessa, ma il nuovo regno sarà molto anarchico: no past, no future, dice Knup. E come dargli torto?

 

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