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È giovedì, da Senerchia a Mimmo Lucano: tutti allo Sponz Fest per resistere
Questa premessa sarà ripetuta per ogni pezzo che dedicherò a questa edizione dello Sponz Fest, se l’avete già letta potete passare al paragrafo successivo, altrimenti continuate pure. In questi quattro anni di frequentazione dello Sponz Fest mi sono fatto l’idea che il racconto di un evento del genere fuoriesca dal campo della cronaca giornalistica, in primis per la vastità della sua proposta che abbraccia vari campi dell’arte e dell’intelletto, poi perché la cronaca giornalistica, se non assume i toni del reportage, rischia di essere riduttiva rispetto a ciò che si vuole raccontare, e comunque non è detto che riesca a dargli compiutamente forma. Lo Sponz è un evento onnivoro, anzi plurale e onnivoro, credetemi, venite a vederlo per farvene un’idea. Partendo da questo ho maturato la convinzione che l’unico modo utile per provare a raccontarlo sia attraverso l’utilizzo di una pluralità di stili, dalla poesia all’epica, dalla prosa al racconto e all’articolo di cronaca, fino alla forma del diario personale. Quindi mi prendo carta bianca e vado a cominciare.
S’nérchia, al secolo Senerchia, fa soli 802 abitanti, in mezzo ai Monti Picentini, 600 metri sul livello del mare, e lì soli 802 abitanti. E arriva anche da questa parti la febbre dello Sponz Fest, che è nato per impollinare un po’ ovunque qui intorno, nella zona dell’Ofanto e nella valle del Sele. E tocca S’nérchia per la prima volta, e tocca tutte queste 802 anime per la prima volta. Perché quando passa una carovana tutti vorrebbero salire a bordo, e questa carovana è un mezzo a otto, dieci, dodici ruote, una cosa che si dipana e aumenta di misura, come un treno. E’ lì, lassù, che si tiene il pranzo di comunità, tra fratelli. E’ lì che suonano alcuni di quelli che sono scesi appena la carovana si è fermata. E’ lì che suona e parla gente che si è assemblata per vedere come si può stare in un piccolo centro abitato, con sole 802 anime a condurre il canto.
E lì che si sta tutto il pomeriggio, dopo essere scesi dalle cascate di un’oasi bella come mai, in attesa della sera, prima di radunarsi nuovamente a Calitri, davanti al Camposanto. E dal Camposanto tutti a salire al Vallone Cupo, il centro propulsore della musica e delle attività di questa nuova edizione dello Sponz Fest che si sdoppia, e diventa Sponz Pest con le sue pestilenze contemporanee a mietere vittime ovunque lungo il vallone. Sul palco a fianco del mercato infraterrestre ci sono Vito Teti e Mimmo Lucano, parlano dell’esperienza di Riace, sono circa le 20.30 quando il loro dialogo ha inizio. C’è tantissima gente seduta di fronte all’ex sindaco di Riace che racconta anche la sua vicenda giudiziaria. Ha la voce rotta quando ne parla, e la riflessione si sofferma sulla differenza che corre tra giustizia e legge. Ogni affermazione dell’ex-sindaco scatena un applauso, provo a contarle, ci saranno tremilacinquecento persone sedute per terra a ascoltarlo. Quella reazione delle mani che scattano a ogni passaggio più delicato è la nostra speranza, quella in un mondo e di un paese che merita sicuramente molto di più rispetto a quello che ha visto fino a oggi.
Enzo è di Napoli. Fa Avitabile di cognome. E suona con quelli che sanno fare andare le percussioni, li chiamano Bottari, e sono armati di botti, tini, falci. Suonano tutte queste cose i Bottari di Portico. E’ puro folk quello che producono e faranno la loro apparizione anche nel vallone cupo, emergendo dopo le luci del tramonto, dietro uno dei tanti sorsi di birra che si scambieranno i partecipanti alla serata. Enzo canta in lessico, in dialetto, e con il lessico e il dialetto si è aperto una strada, ha avuto quattro nomination ai BBC World Music Award per un disco che lo ha reso celebre quasi 15 anni fa. Enzo è di Napoli e non ha rinunciato alla sua napoletanità, lui, partenopeo fino al midollo osseo, fino alle viscere.
Enzo è uno sciamano del suono, e avanza in processione, prendendosi tutto il vallone cupo che al ritmo dei suoi botti e delle sue botti è come se si infiammasse. Anche lui, come Vinicio che di tutto questo è il direttore e il demiurgo, canta la peste, e insieme celebra un esorcismo che serve per liberarsi da essa. Insieme ai musici che si è scelto suona roba che viene dalla cantine e che serve a preservare il vino dai cattivi spiriti. E suonano musica che viene da sottoterra, anzi da sottaterra, come dicono da questa parti. Suoni primordiali che dovremmo tutti riconoscere e a cui tutti dovremmo essere riconoscenti. Suoni che sono come giochi di parole.
E il corteo arriva da Macerata, insieme alla Battuglie di Pastellesa, e in testa c’è il capobattuglia, quello che suona più forte e che da il ritmo a tutti. Fa Avitabile di cognome, è di Napoli. Avanza con dietro un corteo che è lo stesso che accompagnò i funerali di Masaniello e la rivolta napoletana contro l’oppressione fiscale del governo spagnolo. Tutti al passo dei ritmi processionali della Grecia, in un intrico di suoni che è stato portato in tutto il mondo e che arriva per la prima volta a popolare il vallone cupo. Senerchia, S’nérchia è abbastanza lontana da qui, ma il rumore e l’odore dei tini di questa nottata sembra che sia arrivato fino lì, ai suoi 802 abitanti, come lo Sponz che se comincia non finisce mai [parola di uno che c’è cascato].
Foto credit: Giuseppe Di Maio
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