Eventi
Come un velista che va per mare
Qualche giorno fa mi hanno consegnato un libriccino chiedendomi di presentarlo all’interno di una rassegna estiva (Sicilia, Menfi, Porto Palo, Chez Black, in riva al mare, venerdì 3 luglio, ore 18,30, per chi dovesse trovarsi a passare di qui). Il titolo: Come un sillabario. L’autore: Mario Valentini. La casa editrice: Mesogea.
Inizio a leggere. È una raccolta di racconti, di quelli che le case editrici faticano tanto a pubblicare. Una mappa iniziale di parole mi indica la via, mi dà una chiave di lettura, e mi ricorda le giocose vecchie geometrie dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle, Officina di letteratura potenziale), ma questi racconti, scopro subito dopo, non hanno nulla di geometrico, niente di rigoroso, pur mantenendo la giocosità di chi ama approcciarsi alle parole come un bambino che sta imparando, appunto, a sillabare. Si parte da un tavolino, un piccolo computer e uno scrittore. Mario Valentini. Lo scrittore inizia a scrivere “senza un progetto chiaro in mente. Senza sapere dove andare a parare”. Tre frasi, qualche suggestione, e la narrazione ha inizio.
Fin da subito sembra di essere catapultati nello studiolo di questo scrittore, nella zona più intima della sua casa, tra i suoi stessi appunti. Sembra di sentire la voce di chi abita con lo scrittore, al di là della sua porta serrata, che lo richiama alla realtà. Una moglie, una figlia. Fin da subito ti chiedi cosa ci fai in quella casa, e soprattutto cosa ci fai acquattato sulla spalla dello scrittore e dove ha intenzione di condurti, a partire da quella stanza, attraverso una finestra. Tra i vicoli e le arrancate della città che è ora la sua città, cioè Palermo? Nelle memorie letterarie del suo passato bolognese? Sul fronte di una battaglia, o Battaglia, (non troppo lontana) dove lo scatto di una macchina fotografica equivale a uno sparo? Nelle difficoltà della vita quotidiana di un giovane precario? Tra i banchi di un’irrequieta aula scolastica, dove ha insegnato e insegna? Nella follia suicida e omicida di una circonvallazione congestionata dal traffico in entrata e in uscita a trenta gradi sopra lo zero? In un incontro di boxe dove niente è come nei film sulla boxe e nessuno grida “Adriana”?
Il vagabondaggio con lo scrittore è in ventuno tappe (quante le lettere dell’alfabeto). Ma alla fine scopri di non aver viaggiato davanti a un finestrino, le immagini proiettate gentilmente sul naso. Scopri che lo scrittore non ti ha messo su una poltrona ad ascoltare le sue storie (più o meno intime, collettive, meditabonde, immaginative), ti ha ficcato invece all’interno di uno sgabuzzino a sbirciare di nascosto da un foro. Scopri allora di essere il lettore del sillabario della narrazione, lanciato come un elastico insu e ingiù negli spazi dilatati del racconto. Scopri alla fine che, a tua insaputa, lo scrittore ti ha insegnato a leggere e a scrivere, mentre lui sillabava. A scegliere le parole giuste, a porsi la domanda delle domande: perché sono qui? (Lui a scrivere tu a leggere). A cercare il mistero, la suggestione. A trovare l’intuizione, l’ossessione. A inseguire i personaggi e le storie, i drammi, il pathos. A capire come inseguire i personaggi e le storie, i drammi, il pathos, nella Storia e nell’immaginazione.
Quando lo scrittore per la prima volta si allontana dalla tastiera (o dal taccuino), alla fine dell’ultimo racconto, si ha proprio l’impressione di aver attinto a una storia molto più vasta e per questo se ne trae un benessere superiore, come il piacere che spinge il velista ad andare per mare. “Ma gli piace (al velista) perché partecipa per un poco, in questo modo, della potenza del vento e della vastità del mare”.
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