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“cheFare, ecco come funziona il nostro laboratorio sulla cultura che cambia”
Sono scaduti il primo luglio i termini per partecipare al bando 2015 cheFare, destinato a chi agisce da protagonista nel campo dell’innovazione sociale e della cultura. Gli Stati Generali, che del bando che distribuisce 150 mila euro sono media partner, hanno rivolto alcune domande agli organizzatori Giacomo Giossi, Marco Liberatore e Bertram Niessen, che di Che Fare è anche Presidente.
Cos’è, come nasce e da quando esiste il bando che fare? quanti progetti avete finanziato finora, e di che entità è il montepremi che avete distribuito?
Bertram: CheFare ha iniziato a prendere forma alla fine del 2012, all’interno dell’Associazione Culturale doppiozero. La domanda di partenza era molto semplice: se continuiamo a rilevare che i vecchi modelli di produzione e distribuzione culturale non stano sopravvivendo alla crisi, quali sono i nuovi modelli possibili? Lavorando attorno a questa domanda sviluppammo l’idea di un bando per l’innovazione culturale che andasse a “snidare” esperienze in tutta la penisola che lavorassero fuori dagli schemi e che, come conseguenza, volassero sotto i radar.
Da allora abbiamo concluso 2 edizioni, nelle quali abbiamo raccolto oltre 1100 progetti da tutta Italia; di questi, 72 sono stati selezionati per il voto online e 15 sono stati vagliati dalle giurie. I progetti vincitori delle due prime edizioni, Lìberos e Di Casa in Casa, hanno ricevuto 100.000 euro ciascuno.
Quali sono le caratteristiche principali dei progetti finanziari? Quali i settori di applicazione, caratteristiche dei team o dei soggetti, distribuzione territoriale?
Bertram: I due progetti che hanno vinto le edizioni precedenti sono molto diversi tra loro. Lìberos era nato da pochi mesi come gruppo informale e si era appena costituito come associazione culturale. Il loro obiettivo era – ed è tuttora – quello di costruire una rete di stakeholder del libro che comprendesse tutta la filiera, dai lettori agli editori passando per distributori, librerie, biblioteche, etc; Lìberos si propone di promuovere la lettura come valore fondante per la coesione sociale, e di costruire progettualità sostenibili per evitare il collasso dell’editoria indipendente. L’enorme rete che hanno costruito ha una base fortissima in Sardegna, ma sta prendendo piede anche in altre regioni. Il team iniziale era composto da un rappresentante di ogni settore diverso della filiera.
Di Casa in Casa invece è la rete delle Case del Quartiere di Torino. Si tratta di una tipologia di centri socio-culturali assolutamente peculiari che hanno ridato vita a edifici dismessi, ospitando un numero incredibile di associazioni che lavorano nella piccola innovazione sociale e culturale di tutti i giorni: scuole di lingua per stranieri, cineforum, biblioteche autogestite, sale prove, GAS, palestre popolari, etc. Ognuna delle 9 case ha storie, progettualità, modelli organizzativi e tipologie di sostenibilità completamente diverse; quello che le unisce è la loro capacità di lavorare con i territori e di fungere da permutatori di coesione sociale.
Cosa vuole dire fare innovazione sociale? Prima o poi qualcuno dovrebbe prendersi la responsabilità di dirlo: in modo anche da definire chi sta fuori e chi sta dentro al perimetro di un lemma prezioso quanto inflazionato
Bertram: È ovviamente una domanda estremamente complessa. Il concetto ha avuto molte declinazioni diverse nel corso degli anni.
Diciamo che da un lato l’innovazione sociale è un fenomeno “normale”: ogni società mette in atto processi di sperimentazione e adattamento, perché non si può pensare alla riproduzione sociale come un semplice fenomeno di “copia e incolla”. Allo stesso tempo, negli ultimi anni quello che è sempre avvenuto “normalmente” ha iniziato ad essere l’oggetto di progettualità specifiche che cercano di accelerare, scalare, permutare il mutamento sociale con l’obiettivo (implicito o esplicito) di porre rimedio all’anomia ed alla tendenziale mancanza di coesione sociale delle società contemporanee. L’innovazione sociale è difficile da spiegare perché ha una natura costantemente sperimentale, protopica e situata: gli attori che la portano avanti sono ibridi, si muovono spesso oltre le etichette facilmente riconoscibili, operano tra l’alto e il basso. In qualche modo, è costruttivamente impossibile definire chi sta dentro e chi sta fuori.
Qual è il rapporto tra progetto editoriale e bando? In che maniera alimentate il network di innovatori e partecipanti coi contenuti editoriali?
Giacomo: Il progetto editoriale nasce quest’anno insieme all’associazione con l’idea di costruire una piattaforma che abbia al suo interno una proposta di contenuti capaci di generare riflessione e critica attorno al mondo dell’innovazione culturale. Più la riflessione proposta sarà in grado di cogliere gli ambiti e le necessità dell’innovazione più saremo in grado di stimolare gli innovatori e i progettisti attorno ai temi più urgenti e le cui risposte percorrono la strada delle nuove pratiche.
Cosa pensate della scena dell’innovazione sociale e della cultura innovativa in Italia?
Marco: È una situazione cui guardare con molta attenzione. In ambito sociale come in quello culturale c’è un certo fermento, la voglia e la determinazione di cambiare le cose. La cifra comune è l’impatto sociale di una progettualità trasformativa che mira alla partecipazione, alla condivisione e all’inclusione. Il lavoro da fare è distinguere criticamente le realtà di valore capaci di innovare con le pratiche e con i risultati da quelle più velletarie e fini a se stesse. Penso però che chi lavori seriamente inevitabilmente emerga, sulla media e lunga distanza, magari, ma in modo evidente.
In che modo eravate legati a Doppiozero e quando e come avete deciso di fare spin off?
Marco: cheFare nasce nel 2012 come progetto di doppiozero. Come abbiamo avuto modo di spiegare altre volte, a un certo punto si è avvertita molto forte l’esigenza di dare un segnale ai soggetti attivi nel settore culturale, un segnale possibilmente positivo. Ci sembrava che la retorica della crisi fosse soffocante, però intuivamo che tra un inno alla cultura come “bene comune” o come “petrolio d’Italia”, e l’ammonimento che “con la cultura non si mangia” ci fosse lo spazio per immaginare un’azione destabilizzante che fosse in grado di dare una scossa benefica a quanti non erano in grado di venire a capo di quello che stava succedendo e sta succedendo ancora, ossia la difficoltà di un intero settore, quello culturale, a reinventarsi oltre le logiche dei leggendari quanto ormai impossibili “finanziamenti a pioggia”. Ci siamo accorti che se fossimo riusciti a mettere in contatto l’ambiente tradizionale della cultura, quello dell’innovazione sociale e quello legato al non-profit si sarebbe potuta verificare una contaminazione reciproca molto creativa e positiva. Con queste premesse abbiamo organizzato la prima edizione del bando cheFare.
Da subito, provenendo da una realtà editoriale come doppiozero, ci è parso importante affiancare all’organizzazione del bando anche un momento di riflessione e approfondimento su temi e nodi con i quali la nostra proposta aveva molto a che fare come, per esempio, innovazione sociale, peer to peer, tecnologia, lavoro, pratiche collaborative, cultura digitale e abbiamo quindi cominciato a curare una rubrica dedicata a queste cose.
Abbiamo continuato così per i primi due anni ma con la fine del 2014 ci siamo accorti che la macchina che avevamo messo insieme necessitava di molto più spazio ed energia per farla funzionare come avrebbe potuto, ossia ci siamo accorti che non poteva più essere un progetto interno a una rivista di critica culturale ma aveva bisogno di uno tempo e spazio proprio. A quel punto lo spin-off è stata la cosa più naturale da fare e nel gennaio 2015 ci siamo costituiti come associazione culturale per continuare a produrre il bando (ora alla sua terza edizione), a fare informazione sui temi che ci stanno a cuore e realizzare tutta una serie di iniziative che abbiamo nel cassetto.
Non avete mai la sensazione che stanno, state, stiamo creando una nuova cricchetta autoreferenziale élitista ed esclusiva?
Marco: Inevitabilmente quando qualcosa si muove e succede solleva un’onda di entusiasmo per la novità e per le possibilità che comporta, questo fenomeno è il medesimo che genera anche un sottobosco di figure che pensano che sia il treno giusto su cui salire a prescindere dalle condizioni di viaggio o da dove porti.
Ciò detto, il rischio di cui parli c’è ma si combatte facendo esercizio di apertura, coltivando la capacità di dialogo con chi ha alle spalle percorsi differenti o si muove lungo traiettorie altre, senza paure, senza gelosie, senza pregiudizi.
Questo ovviamente ci porta alla questione più dirimente: dove vogliamo andare? E qui ognuno si risponde come vuole. Per cheFare l’innovazione è emancipazione sociale attraverso la cultura. Sì, lo so che detto così sembra quasi esagerato e può sembrare una provocazione ma noi preferiamo mirare alto, se andrà male quantomeno avremo fatto della buona informazione su una serie di temi di frontiera e dato visibilità e finanziato alcuni progetti validi, non mi pare poco.
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