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Cento anni: a Fiume! Con i Massoni e il Sangue Morlacco!

12 Settembre 2019

Oggi cento anni fa il 12 Settembre del millenovencentodiciannove 2.500 legionari seguirono D’Annunzio nell’impresa fiumana, una esperienza conosciuta nel nome ma non nei fatti nemmeno dalla Intellighenzia italiana perché finì sommersa dalla rapidissima rimozione senza processo del fascismo dalla storia recente italiana, confinata in un ambito di sospetto prodomo del ’22 nonostante si ammettesse la scontata rivalità tra Mussolini e il Vate. Rivalità che sentiva il primo e che il secondo ignorava: se il primo sosteneva di non aver inventato il Fascismo ma di averlo tratto dalla pancia degli italiani, il secondo non se ne curò mai immaginando, Lui l’Immaginifico, solo ciò che poteva calargli a pennello come una bianca divisa su misura dal colletto rigido o una sontuosa gualdrappa damascata da lasciar frusciare a terra all’annunciarsi del dolce profumo di una signora. Un maschilista, forse, ma nel pieno della emancipazione femminile bellica che lui non disdegnava e che non lo disdegnava.

Scattano in questi giorni libri e rievocazioni, alcune molte interessanti che hanno allietato l’estate gardesana di Salò, non per il suo decadente quanto funebre passato ma per il decadentismo poetico fiumano. A loro lascio il doveroso e documentato approccio scientifico, io tradisco pensando il “diciannovismo” di Nenni come a uno crogiuolo dove tutto mestava: le eredità risorgimentali con il contributo intellettuale e attivo della massoneria, con i suoi valori e i suoi errori, il socialismo come destino rivoluzionario intriso di epica leninista ma incapace di declinarla, il libertarismo, l’arditismo e la voglia di una società intera di uomini e donne di non tornare nelle case del ’15 nelle medesime condizioni, medesimi ruoli sociali, medesime miserie e medesime morali anteguerra perché l’idea della Vittoria Mutilata non era solo una rivendicazione di terre e conquiste ma una ansia sociale di cambiamento che non voleva sentirsi sconfitta e ricacciata nei focolari contadini.

E così Fiume divenne per tutta Europa una gigantesca Las Vegas della propria ansia di futuro, della propria libertà, della rottura della morale comune. È vero, fu un autentico bordello: lo fu per i comportamenti e le libertà sessuali appena conquistate (e poi cancellate da Dio Patria Famiglia, per ridere della presunta eredità), per surclassare la Casablanca del Rick’s Cafè dove alcool, amori, politica e atti di individuale eroismo si mescolavano al suono non di un pianoforte (che in realtà una delle amanti di D’Annunzio offriva tutti i giorni) ma al suono dei proclami in piazza, della apparizione sul balcone di quel piccolo uomo dal fisico minuto quanto orgogliosamente curato.

Era solo sesso e poesia, alcol e cocaina, assenzio e sangue Morlacco? Andatevi a leggere la Carta del Carnaro che un sindacalista massone e repubblicano scrisse e poi corretta dalla penna del Vate: dopo l’incipit dell’Habeas Corpus (rivoluzionaria fuori dal regno di Sua Maestà) “La Costituzione garantisce a tutti i cittadini l’esercizio delle fondamentali libertà di pensiero, di parola, di stampa, di riunione e di associazione. Tutti i culti religiosi sono ammessi; ma le opinioni religiose non possono essere invocate per sottrarsi all’adempimento dei doveri prescritti dalla legge. L’abuso delle libertà costituzionali per scopi illeciti e contrari alla convivenza civile può essere punito in base a leggi apposite, le quali però non potranno mai ledere il principio essenziale delle libertà stesse. La Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, l’istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia…”.

C’era Zanardelli dentro quelle parole, c’era il socialismo, c’era una idea non astratta ma immanente di Libertà che noi non comprendiamo, o dandola per scontata o non concedendole importanza perché urliamo “al voto!” o “democrazia” senza sapere cosa significhino; e lo sentiamo urlare contro gli accenti libertari di Fiume ma con gli accenti totalitari del Novembre del ’22.

Sì, probabilmente se fossi stato di quella generazione, se fossi stato un ufficialetto di complemento sopravvissuto fortunosamente alle trincee e a Cadorna, magari anche non mutilato nel fisico ma solo nell’animo come mio nonno, se fossi stato un giovane piccolo borghese come sono (o fui data l’età), figlio di contadini come in effetti ancora sono, sarei corso a Fiume. Mi sarei immerso nella bolgia, sarei finito disgustato e deluso, frustrato nella vita e nelle ambizioni. Se volete una lettura molto intelligente cliccate su questo splendido articolo di Silvano Danesi che rilegge dal punto di vista della storia della massoneria italiana la vicenda fiumana  Se invece vi lasciate cullare dal tiepido sole dell’autunno istriano allora pensate a Lui, alle donne ma non solo sue, all’azione come divertimento fisico e intellettuale, alla politica come invenzione anche narcisista e non carrierista, alla amicizia di Lenin che considerava il Vate l’unico rivoluzionario italiano e non i comunisti di Livorno. Lui, la Carta del Carnaro di Alceste De Ambris, gli ideali, la sregolatezza collettiva come dimensione rivoluzionaria. Le più belle donne d’Europa a ballare su un Titanic sorretto dalla poesia che non affondava mai. Noi oggi invece il Papeete, ceffe da spiaggia e il Mojito al posto dell’Assenzio: e mi vengono a dire che la storia ha sorti magnifiche e progressive…

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