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Capossela: “Vi aspetto allo Sponz Fest a Calitri, una settimana senza orologio”

10 Agosto 2017

Ha vinto il Premio Tenco 2017 per il contributo dato alla canzone d’autore mondiale ma anche il Premio Lunezia 2017 per “Le Canzoni della Cupa”, album partorito dalle immagini del suo ultimo romanzo, “Il Paese dei Coppoloni”. È Vinicio Capossela, nato ad Hannover, cresciuto in Emilia ma dalle origini irpine. Origini che hanno generato canzoni, musiche, romanzi. La Cupa è un sentiero di Calitri, in Alta Irpinia, ci passavano i muli di lì, una strada che non era solo duro lavoro, ma anche conoscenza e rispetto per la natura e voglia di riscatto per una vita migliore. Un sentiero, luogo di leggende, che sarà vissuto, attraversato durante Sponz Fest 2017, in programma dal 21 al 27 agosto, e che Marco Bennici ci pracconterà su queste pagine. Ma La Cupa è anche lo studio, la casa milanese di Vinicio. È lì che mi aspetta e mi apre la porta in compagnia del suo cane Crocco, «si chiama come il brigante italiano Carmine Crocco, capo indiscusso delle bande del Vulture», mi racconta. Sponz Fest, che lui ha ideato con un gruppo di collaboratori ormai eterogeneo, è arrivato alle quinta edizione. Ne abbiamo parlato un pò, davanti a una birra artigianale, la sua.

Quest’anno Sponz Fest cade nel centenario della Rivoluzione Russa e si propone di compiere un gesto rivoluzionario: sperimentare il rovesciamento del mondo. Cosa significa? Che edizione sarà?

Intanto partiamo dal titolo di questa edizione, che è “all’incontré’Я”, con la r rovesciata. Per tutte le edizioni che abbiamo fatto fino ad adesso abbiamo preso delle frasi che sono presenti nel dialetto di Calitri, il paese dove si svolge Sponz Fest, dietro questi modi di dire popolari c’è sempre moltissimo. Tre anni fa lo abbiamo chiamato “Mi sono sognato il treno”, che è un modo per dire quando ti metti in testa un qualcosa di irrealizzabile, però allo stesso tempo l’unico treno che passava di lì era una linea sospesa. L’anno scorso invece lo abbiamo intitolato “Chi tiene polvere spara” che in paese significa “chi ha qualcosa da dire lo dica, chi ha qualche mezzo lo usi!”, anche se è un mezzo povero come la polvere. “all’incontré’Я” è un grido di battaglia quando si balla, nel ballo della Quadriglia è l’invito a cambiar giro, senso di rotazione. La rivoluzione la compie anche la terra intorno al suo asse, quindi parliamo di rivoluzioni e mondi al rovescio e più che celebrare la rivoluzione si tratta di fare l’esercizio di guardare le cose dal loro contrario.

La ricorrenza è quindi solo un pretesto “narrativo”?

Nel ’17 si è svolta la più grande rivoluzione, ma non vi è nulla di così celebrativo se non a livello iconografico. La rivoluzione russa poi certo ha generato una serie di movimenti artistici straordinari, ma allo stesso tempo il 17 ha altre ricorrenze, come i cinquecento anni dalla rivoluzione luterana (riforma protestante,ndr), anche quella è stata una rivoluzione, e poi c’è il centenario della disfatta di Caporetto. Si tratta di un numero che come ricorrenza è questo insieme di cose, ma è soprattutto il fatto del mondo al contrario che caratterizza questa edizione di Sponz Fest. Noi cerchiamo di essere sempre molto legati a quel contesto di territorio (l’Alta Irpinia, ndr), a quella cultura popolare, e nella cultura popolare il mondo al rovescio è sempre stato un qualcosa di molto presente. Anche la stessa festa è una rivoluzione temporale, rispetto al tempo dell’utile in cui bisogna sempre lavorare e far funzionare le cose. La ricorrenza è certamente un pretesto, è l’occasione per fare l’esercizio di rovesciare le cose e guardarle da altri punti di vista.

Cosa vuol dire per te guardare il mondo al contrario?

Fare “esercizi inutili”, cantare al contrario, oppure occuparsi di contrarietà, il rovescio delle cose è un punto di vista che mi interessa da sempre, ma al di là di questo ognuno ci può mettere il suo. Un “festival” non risolve i problemi del mondo, ma può offrire l’occasione di fare degli esercizi e praticare comunità. Sponz ci dà proprio l’occasione di fare una cosa insieme, un’esperienza di comunità, non abbiamo infatti una struttura organizzata che ci permetterebbe di organizzarlo in altro modo. Siamo riusciti ad arrivare a cinque edizioni, che è un miracolo, grazie alla volontà, alla pazienza, alla perseveranza. Siamo in uno stato mobile ancora, non c’è niente di così strutturato, questo da un lato permette anche di fare le cose in una maniera meno rigida. Il termine stesso Sponz significa ammollarsi, si sponza la spugna, oppure il baccalà… il fatto di perdere rigidità di ruoli è importante. Questo non è neanche un vero Festival, si chiama Fest.

Cos’ha di importante questo Festival non Festival?

Dà, e ci diamo, l’occasione di usare le cose e fare caso che molto spesso l’abbandono, il vuoto possono essere delle risorse. Questi luoghi dell’Alta Irpinia è fondamentale che siano lo “scenario” del nostro “Festival”. L’idea è quella di praticare le cose, il territorio, camminarlo, narrarlo, è il basso continuo il paesaggio, che è molto importante. Poi c’è il vuoto, e al posto che riempirlo di immondizia lo si riempie di contenuti. Spesso i luoghi dell’interno del nostro Paese sono stati svuotati dall’emigrazione, dai terremoti, ci sono fondi che arrivano e magari ci si ristruttura un castello ma manca il portiere che te lo apre e usare le cose oggi è vitale. A Calitri, per esempio, c’è il sentiero della Cupa ed era arrivato un piccolo finanziamento con cui lo avevano recuperato. Il sentiero era importante nella geografia del paese finchè ci passavano i muli di lì, il posto della creatura della Cupa, nella Cupa dove non ci si vede bene è il territorio delle leggende, ho intitolato un mio disco “Canzoni della Cupa”. Vabbè, è stato ripulito una volta e poi sono ricresciuti i rovi. Facendo un’iniziativa lì sotto c’è l’occasione di ripulirlo. Abbiamo proposto un’opera di un’artista (Dem Demonio) di land art che è rimasta. In un posto bellissimo che appartiene al Comune, Legambiente aveva fatto un centro di educazione ambientale che nel giro di un anno è stato abbandonato, poi il vaccaro lo ha invaso. Magari invece facendo un concerto all’alba lo si ripulisce. La storia cambia naturalmente, quella che un tempo era la vita di un territorio si trova oggi ad essere completamente diversa. Il mondo legato alla terra di un tempo in quella forma non esiste più. La linea ferroviaria oggi non serve più a nessuno per com’era però ora la si stà ripulendo ed è ripristinata come treno turistico nei giorni di Sponz Fest.

Un’altra cosa molto interessante e importante dello Sponz è che non c’è solo la musica, o solo la letteratura, ma ci sono tante cose diverse. Le forme non sono definite ne rigide, sono tutte cose che hanno come obiettivo di non porre pubblico e artisti su due piani diversi. Ci sono diversi laboratori, anche per i bambini. E allora la scuola può divenire anche un momento divertente, no?!

Perché parte del programma si svolge di notte? C’è spesso la necessità di aspettare l’alba per poter partecipare ad alcuni momenti dello Sponz.

Tutto è nato per delle ragioni di limiti che ci avevano imposto. Il secondo anno un concerto che dovevamo fare coincideva con la festa di un patrono, e non sono stati disponibili a spostarla, allora abbiamo scelto di farlo all’alba, quand’era finito tutto. Da un limite può nascere una possibilità, e da quel momento lo abbiamo sempre iniziato all’alba. C’è però un fatto importante: durante lo Sponz Fest i tempi, gli orari, i luoghi richiedono una partecipazione e disponibilità diversa, perché fai esperienza di una cosa. È molto diverso ascoltare un concerto (anche lo stesso) in un campo sportivo o in un posto dove sorge il sole, arrivandoci a piedi, dovendo aspettare la mattina, è chiaro che quell’esperienza è completamente differente e non è fine a se stessa e vorrebbe essere tutta un’occasione di partecipazione.

Un’occasione che dura sette giorni.

È il paese dei balocchi, l’idea è quella di viversi una settimana senza guardare l’orologio, infatti seguiamo la luce. Slegarsi dal tempo orizzontale e dell’utile. E poi perché le feste serie, anche i matrimoni, una volta duravano una settimana, ci voleva un po’ di impegno.

Che bilancio puoi fare di questi cinque anni di Sponz Fest?

Esserci arrivati è un bel traguardo. Non è affatto semplice portare avanti un’iniziativa come la nostra. C’è un rapporto sempre da reinventarsi con le istituzioni, con le municipalità, con chi vive quei luoghi, ci sono moltissimi fraintendimenti quando si costruiscono iniziative così. Può essere faticoso. La cosa bella però, per me, è che moltissima gente anche da fuori comincia a chiedere di partecipare in maniera attiva, dai volontari, agli artisti. Qua non c’è nulla che avviene grazie al marketing. Il desiderio di viverlo come luogo di incontro e scambio è molto bello. Noi cerchiamo di mettere a disposizione una situazione in cui far circolare le cose. Tanto più che abbiamo continuamente dall’attualità stimoli a chiudere, ad alzare muri… Dopo l’episodio di Torino è nata una circolare del Ministero che irrigidisce in modo stupido tutto quello che è incontrarsi e mettere insieme gente. D’accordo la sicurezza è importantissima ma non a discapito intanto del buon senso, la stessa norma è applicata a piazze e a situazioni troppo diverse, e poi a discapito dell’uso dei luoghi. Ci si trova a confrontarsi con tutte queste cose, con la rigidità di oggi. Diventa tutto più “costoso, burocratizzato, transennato, festivalizzato”. Noi paghiamo tutto il terrore in cui siamo dispiegati in perdita progressiva di libertà.

Abbiamo inoltre costituito Sponziamoci, un’associazione per dare un minimo di struttura sul territorio. Michele Di Maio, il sindaco ha sposato molto questa iniziativa. Il gruppo è eterogeneo e anche chi viene da fuori ha iniziato a sentirlo proprio il territorio. Questo corre il rischio di condannarci a trascorrere tutti i mesi d’agosto, le estati, da qui ai prossimi anni così, ma noi abbiamo dato un termine, come i matrimoni, al settimo anno cesserà. Ci siamo dati una fine. Le cose devono avere una fine non sempre quando non si possono più fare, no?!

Territorio e comunità. Mi sembra che “lo stare insieme” sia fondativo di questo “Festival”.

Sponz Fest è sempre stato una cosa di gruppo, è nato da subito così. Il primo nome che volevamo dare all’iniziativa era Calixtrico, perché ci piacevano i Calexico, la frontiera, e quella terra dell’Irpinia ha proprio di suo una vocazione a essere luogo di frontiera, nel senso che ti mette addosso quello stato d’animo, con il suo spazio aperto, sono terre molto antiche. Ritrovarsi proprio in questo contesto di paesaggio era la nostra prima idea. La prima volta, nel 2013, siamo riusciti a fare un’edizione molto piccola, con tre cose, però ben fatta, con le associazioni del paese e gli abitanti che si sono subito messi a disposizione. Calitri ha una parte vecchia somigliante in un certo senso a Matera, è un piccolo miracolo, con case costruite una sull’altra su un costone di una collina tufacea, per cui ogni casa ha dietro una serie di grotte, non ci si può andare in macchina. Questo incredibile paese che ora è svuotato, perché è fuori dalla storia, vederlo pieno, anche a fermentazione spontanea, è emozionante.

Calitri, foto di Michele Landi

Quella zona dell’Irpinia cos’ha per te di speciale?

È il posto da dove vengono gli avi, è una specie di Itaca perduta. Non sono cresciuto lì, ci andavo da piccolo, ma per me rappresenta un po’ l’infanzia del mondo. Ho iniziato a vedere quei posti in modo diverso guardando i film di Emir Kusturica (regista, scrittore e musicista serbo, ndr) che finalmente quest’anno sarà con noi, chiudendo questa sorta di cerchio. Sono quei posti che quando sei piccolo li subisci e basta perché ti ci portano ma nel mio caso da grande invece c’è stata una vera e propria relazione. Io quei luoghi li ho vissuti moltissimo nel racconto, nel dialetto, e a me questo ha generato tutta una serie di cose, “Le canzoni della Cupa”, “Il paese dei Coppoloni”… Sicuramente però una cosa che mi è rimasta è questa: io la prima musica che ho ascoltato è stata quella degli sposalizi, non c’era niente da fare, ma ad agosto c’erano gli sposalizi, e c’era questa baldoria, un rito fondante della comunità, libero, l’opposto dei matrimoni di oggi. C’era questo elemento dionisiaco negli sposalizi. Quindi Sponz Fest si è subito collegato a questa idea di “far alzare la polvere da terra”. Era gente dura quella dell’Irpinia di quel tempo, ma quando c’era da divertirsi sapeva fare alzare davvero la polvere da terra. Questo spirito è stato la scintilla di partenza. Io poi sono cresciuta in Emilia, e questa faccenda si porta una componente molto emiliana, intanto per quello che è il mio braccio destro, Franco Bassi, fondatore del Circolo Fuori Orario, ex circolo Arci tra i più famosi d’Italia, e poi c’è questo mix degli aspetti ludico, ancestrale e di impegno.

Di questo “Festival” a cosa tieni in particolare?

Sponz è per chi ha voglia di venire in Irpinia per un’idea, il pubblico non lo fanno i nomi nei cartelloni, ma la voglia di trascorrere dei giorni vivendo quell’esperienza. Cerchiamo di lottare perché le cose non si separino dai luoghi. Tengo a quest’esperienza della terra, della luce, dello spazio, non del tutto omologata.

 

 

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