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Bersani e la robaccia di destra
Spiace leggere, nel recente resoconto di un intervento di Pierluigi Bersani a Campobasso, l’ipotesi di una futura alleanza tra il “suo” movimento Articolo Uno e i Cinque Stelle, definiti il partito di centro dei tempi moderni, quello dei moderati incazzati (cit.).
Spiace perché, se l’analisi elettorale è corretta (il M5S sta raccogliendo un consenso che altrimenti andrebbe a una robaccia di destra), è sbagliata quella politica: il partito di Grillo non può essere un argine contro la destra xenofoba e reazionaria, semplicemente perché proprio in una destra xenofoba e reazionaria si è ormai da tempo trasformato (tanto che qualcuno ormai ne vagheggia l’alleanza con i sovranisti nostrani, Lega e FdI).
E’ ben vero che, ai suoi esordi, il Movimento Cinque Stelle aveva inequivocabili tratti di sinistra: la centralità della “questione morale” nel rapporto col potere veniva fatta risalire a Berlinguer; l’utopia della democrazia diretta, in cui gli iscritti votano su tutto, era agli antipodi rispetto al modello di partito padronale imposto da Berlusconi; i meet-up e la militanza attiva sembravano a molti un’evoluzione delle sezioni del Pci; l’attenzione all’ambiente, la retorica antiliberista, la proposta del reddito di cittadinanza avevano un notevole appeal per gli elettori della metà campo anti-berlusconiana.
Al genio politico di Casaleggio (non sono affatto ironica) va però attribuita l’intuizione del trasversalismo, cioè di lasciare il M5S nell’indistinzione ideologica (“Un’idea non è di destra né di sinistra. È un’idea, buona o cattiva”) abbracciando invece la retorica populista della contrapposizione tra basso e alto, tra popolo e casta.
Dietro a questo schermo, la virata è stata forse poco percettibile, ma sostanziale. La questione morale si è trasformata in un giustizialismo gentista, per il quale chi è al potere è sempre corrotto e colpevole, mentre il popolo è sempre e solo la vittima innocente; la democrazia diretta è diventata eterodiretta, con un capo (Grillo) a decidere tutto e il suo cerchio magico, opaco e onnipresente, a propagarne il verbo e a espellere i non allineati; la militanza si è trasformata in una formidabile e spietata macchina della propaganda, che fa della Rete non lo strumento della partecipazione politica, ma il mezzo per diffondere una narrazione sempre più involuta e paranoica.
Quanto ai contenuti politici, pur nella relativa vaghezza (è difficile strappare a un Di Maio o a un Di Battista qualcosa di più della solita invettiva di maniera contro i politici che rubano), la deriva destrorsa è ormai evidente: l’ambientalismo si è per lo più ridotto a un (a volte sacrosanto) attivismo di stampo nimby, ma ha perso lo slancio verso la trasformazione “verde” dell’economia e della società; l’antiliberismo è collassato in una difesa aprioristica di tutte le “piccole caste” del Paese, da quella dei taxisti a quella dei Tredicine; il reddito di cittadinanza è diventato il mantra con il quale stroncare ogni serio dibattito sulla trasformazione dei rapporti di forza economici, che vengono demonizzati ma mai messi seriamente in discussione. Ancora più evidenti sono l’ambiguità di Grillo e dei suoi fedelissimi sulla questione lgbt, sullo ius soli, sull’immigrazione e l’impronta sovranista nella politica estera (dal no all’euro alla simpatia per Putin e Trump). Il M5S è insomma diventato il prototipo del perfetto partito di destra sociale, versione 2.0.
Il sintomo inconfondibile del cambiamento di rotta del Movimento è la fuoriuscita, sempre più consistente, di militanti della prima ora provenienti da una storia politica ambientalista e di sinistra, che si stanno organizzando in molte città in un “movimento alternativo” verso il quale i pasdaran del grillismo usano la classica retorica del tradimento; anche intellettuali di sinistra che in passato avevano guardato con favore al M5S iniziano a avanzare critiche e prendere le distanze, mano a mano che la coperta trasversalista si fa più corta e si scopre il vero orientamento politico della creatura di Grillo e Casaleggio.
Insomma, Bersani ha ragione quando rifiuta di appoggiare un rassemblement dei responsabili contro i populisti, cioè la solita “robetta di centrodestra” che sta governando l’Italia da più di cinque anni; ma sbaglia completamente a pensare di raccordare la nuova sinistra, che potrebbe nascere dalla crisi del Partito Democratico, a una versione edulcorata della robaccia di destra quale è attualmente il Movimento Cinque Stelle.
Paradossalmente, l’unica strada possibile è quella che Grillo ha intrapreso a suo tempo, rispondendo alla sfida sarcastica di Piero Fassino: farsi il proprio partito, ricominciando da zero, senza sudditanze verso nessuno dei protagonisti della scena politica attuale. Non può certo essere Bersani il capofila di questo tentativo, che richiede energia, entusiasmo, coraggio politico: tutte doti che l’ex segretario del Pd ha ormai consumato. Ma se agli elettori di sinistra verrà offerta solo la scelta tra allearsi con la robaccia di destra o con la robetta di centrodestra, saremo in molti a rifugiarci sul tetto, insieme al mitico tacchino.
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