Eventi
B come Biennale: Egregio Presidente Baratta…
Egregio Presidente Baratta mi farebbe molto piacere condividere con lei alcune riflessioni e una proposta:
Tempo (ritrovato?)
Venezia è l’unica città al mondo senza periferia. E già in questo è di una modernità e bellezza irraggiungibili. Ma nel caso non fosse l’unica al mondo (non sono un satellite) credo non ce ne siano altre che ti impongano, al tuo arrivo, un così pesante jet lag temporale.
Chiunque abbia avuto la fortuna di conoscere “personalmente“ Venezia, dietro l’icona, sa di cosa parlo: l’obbligatorietà vincolante di un ritmo largo. Frutto, nella sua lentezza, di un tempo apparentemente immobile. Personalmente tendo a superare questa singolare forma di jet lag non soltanto non opponendo alcuna resistenza a questo ritmo ma assecondandolo con gioia. Perché, in breve, è un percorso di riconoscimento del mio stesso ritmo interno, naturale, fisiologico generalmente inutilizzato. Più che un jet lag è una sorta di agnizione con me stesso. La domanda, come si dice, sorge spontanea: sono io ad esser così antico o è l’effetto della grande arte che, secondo me, si configura come tale solo quando riesce a riscrivere la percezione temporale di chi la frequenta? E nel caso fosse la seconda risposta, quella corretta, e non la mia presunta antichità (non esageriamo sono nato nel 1962 non del 962(?)) vuol forse dire che Venezia stessa è un enorme oggetto d’arte viva? Si. Una città museo come comunemente viene chiamata? No. Ma quali sono le combinazioni segrete di questa macchina del tempo e della bellezza così potenti da trasformare il modo di camminare, respirare, ascoltare, guardare ecc. ogni volta che ci si cade dentro? Ovviamente non ci sono risposte univoche ma solo una moltitudine di indizi intrecciati, difficilmente collocabili in un museo perché… vivi.
Provo ad elencarne tre fra i più sensibili per me: il suono, il teatro e quindi la visione. Venezia, turisti permettendo o anche grazie a loro, è città dell’ascolto. Attitudine, questa si, antica e in profonda decadenza. La morfologia della città, che del suono è cassa di risonanza, sembra esser stata pensata più da maestri liutai che da architetti. Non parlo ovviamente solo del labirinto di rifrazioni acustiche di suoni concreti come l’acqua, i passi e via dicendo ma dell’invenzione urbanistica, fra i tanti possibili esempi, del campiello come palcoscenico ideale dell’incontro e quindi del grande teatro delle voci, dei corpi, delle idee e della visione… di una cultura umanistica.
Venezia, nel suo intreccio architettonico fra arti e vita, è forse quindi un gigantesco, galleggiante e sicuramente molto ma molto ante litteram: dispositivo transdisciplinare o il prototipo di una città futura finalmente a misura d’uomo? E se invece Venezia stessa fosse una enorme installazione della Biennale a quale disciplina apparterrebbe? Arti visive? Musica? Teatro? Architettura? Danza? Cinema? Sarebbe forse una nuova disciplina summa di tutte queste discipline? E nel caso… come si chiamerebbe questa “super“ disciplina? Multi-…? Inter-…? Trans-…?
Transdisciplinare
“Se la multidisciplinarità e l’interdisciplinarità rinforzano il dialogo tra le due culture
-scientifica e umanistica-, la transdisciplinarità ci permette di immaginare la loro
aperta unificazione.”
Il manifesto della transdisciplinarità (1996)
B. Nicolescu- fisico quantistico
Sono molto grato all’invenzione del termine transdisciplinare e del suo significato. Perché ci pone davanti a una ipotesi di riconciliazione. Se applichiamo alle arti questa idea di aperta unificazione fra cultura scientifica e cultura umanistica, la dovremmo infatti chiamare non unificazione ma ri-unificazione (il ‘900 non è stato forse il secolo delle fratture fra le arti e la cultura umanistica grazie alla riproduzione meccanica?) o rinascita. O con una parola qualsiasi dell’inizio.
…Crisi o Crasi?
Mi ha colpito molto, recentemente, una come sempre lucidissima intuizione di Gillo Dorfles sul presente dell’arte visiva che credo possa essere tranquillamente mutuata per tutte le cosiddette discipline artistiche arte acustica in primis: “isole linguistiche chiuse dentro ad uno specifico idioma, utilizzato sovente non come sapere condiviso ma come forma di potere“. Se penso alle musiche mi sembra che questo arcipelago sia veramente debordante (credo che wikipedia segnali più di 500 generi dal barocco al medieval metal [?!]) e sia suddiviso in due macro tendenze, che non mi pare siano più le categorie novecentesche dell’alto e del basso ma siano da una parte la rimozione tout court del “secolo breve“ con nostalgie di un ‘800 idealizzato e i conseguenti tentativi di restauro e, dall’altra, un eccesso di specializzazioni gergali di cui sopra che più che generare rinascite mi sembra, ovviamente con le dovute e per fortuna eccezioni, producano ricicli.
La domanda, come si dice in questi casi, sorge spontanea: ma se le prepotenti e meravigliose crisi linguistiche del ‘900 fossero la radice di un vero e proprio cambio di prospettiva che sta iniziando a maturare solo adesso? L’arte acustica e l’arte visiva stanno ancora declinando in mille rivoli le proprie crisi o è iniziata fra di loro una sorta di crasi ?
Maestri
Caro Presidente, non so se succede anche a Lei ma, per quello che mi riguarda, cercare delle rocce a cui aggrapparmi fa parte della mia personale tecnica/terapia di sopravvivenza in questa società liquida. E le rocce non possono che essere inevitabilmente le domande e a volte le risposte dei Maestri veri e non dei presunti tali. Qualche anno fa parlando con una cara amica della mia ricerca fra suono e immagine, e più precisamente dell’idea che la fisionomia stessa del compositore musicale si stia trasformando in compositore acustico-visuale, mi suggerì di leggere “Arnold Schoenberg Wassily Kandinsky Musica e Pittura“. Celebre epistolario fra Schoenberg e Kandinsky, che non conoscevo, e di cui mi preme condividere una intuizione/riflessione del Maestro viennese straordinariamente anticipatrice:
“Da tempo avevo in mente una forma che ritenevo in realtà, l’unica con la quale un musicista potesse esprimersi in campo teatrale. L’ho definita… far musica con i mezzi della scena.(…)In realtà, i suoni, a osservarli con chiarezza e imparzialità, non sono altro che un tipo particolare di vibrazioni dell’aria e, come tali, colpiscono l’organo sensoriale interessato, ossia l’orecchio. Collegandoli, però, fra loro in un modo particolare, essi suscitano certe sensazioni artistiche e, se mi consente, anche spirituali. Ora, poiché questa capacità non è affatto insista nel singolo suono, dovrebbe essere anche possibile, a determinate condizioni, provocare tali effetti con qualche altro materiale: bisognerebbe trattare questi materiali al pari dei suoni; riuscire, senza negare il loro significato di materiale, a fonderli in forme e figurazioni, prescindendo da quel significato, dopo averli misurati, come si fa con i suoni, secondo il tempo, l’altezza, l’ampiezza, l’intensità e molti altri parametri; essere in grado di metterli in contatto gli uni con gli altri, rispondendo a leggi più profonde di quanto non lo siano le leggi del materiale, ossia in base alle leggi di un mondo che fu edificato dal suo creatore tenendo conto della misura e del numero.”
Arnold Schoenberg– Note di regia per “La mano felice“
… il figlio Audiovisivo o il figlio Transdisciplinare? Una proposta
Arrivando finalmente al “dunque“ la mia proposta diventa una domanda: perché non suggerire una nuova sezione-officina che rifletta, si occupi e promuova la fusione e l’intreccio delle arti acustiche e di quelle visive in modo transdisciplinare? Si potrebbe obiettare che nella sezione Musica così come in quella delle Arti Visive alcuni incroci in questa direzione esistono già da molti anni, ed è vero. Ma l’aspetto dirimente di questa diversa ipotesi transdisciplinare sarebbe il suo NON esser musica con immagini o viceversa immagini con musica ma un soggetto terzo, figlio di queste due discipline e in quanto oggetto d’arte svincolato dalla necessità di veicolare un prodotto. Non quindi un figlio audiovisivo, non ci sarebbe nulla di particolarmente interessante, il cinema in primis è un audiovisivo per non parlare di tutto ciò che oggi consideriamo comunicazione dalle news in poi, ma un figlio transdisciplinare. Ovvero teso a creazioni d’arte acustica-visuale autonome e realizzate o da singoli compositori transdisciplinari o da singoli artisti visivi transdisciplinari. Le cosiddette nuove tecnologie lo permettono, consentendo ormai una scrittura quasi sincronica fra suono e immagine e di conseguenza nuove fisionomie autorali, nuove professioni che stanno crescendo e si stanno definendo in questa direzione. Perché entrambe le discipline, come sostenevano i Maestri qui sopra citati nel primo ‘900, rispondono a coordinate per molti aspetti sovrapponibili.
Credo sarebbe denso di significato per una Istituzione così importante e innovatrice come la Biennale, intercettare e anticipare questa nuova modalità e fisionomia del comporre dandogli una cittadinanza. E scrivo a Lei non soltanto per la stima che ripongo nella sua curiosità e nelle sue competenze ma anche perché, come dicevo all’inizio di questa riflessione, l’approccio transdisciplinare mi sembra esser così prossimo e organico allo spirito stesso delle isole acustiche che ospitano la vostra Istituzione dal 1893.
La ringrazio per l’attenzione
Andrea Liberovici
tendenzialmente compositore transdisciplinare
per approfondire:
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