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Amare o odiare Sanremo?

10 Febbraio 2017

Amare o odiare gli italiani? Amare o odiare Sanremo? E’ la stessa domanda, in verità. Sanremo ci mette a dura prova. E’ uno spartiacque nella percezione dello spirito pubblico, del carattere nazionale. C’è chi lo ama e chi lo detesta il festival con la stessa divaricante passione.

Il canto è una espressione tutta nostra della cultura popolare. Paese dove non è penetrato il libro e l’ “esperienza Gutenberg” vi  ha avuto scarsa diffusione, l’Italia ha dato il suo genio nel Melodramma, soprattutto nell’epoca dello “stupido” Ottocento in cui altrove trionfava il romanzo. Non il libro, ma il libretto d’opera, non la “prosa del mondo”, ma il gorgheggio con l’ugola all’olio di oliva, non  la scrittura ma la cultura orale.

L’ascolto della musica “all’italiana” è uno dei modi tipicamente nazionale di esperire il fatto musicale. Com’è questo ascolto? Assolutamente simpatetico ed empatico, ossia non mediato da atteggiamenti mentali di tipo culturale. Fu Stendhal il primo a notarlo. Lo racconta in “Roma, Napoli, Firenze”. Notò che tutti gli spettatori alla Scala non stavano attenti allo svolgersi dell’azione drammatica che si svolgeva in scena. Ognuno faceva quello che voleva: chiacchierava, mangiava “pezzi duri” (gelati), amoreggiava. Poi, all’improvviso, all’appressarsi dell’aria – che tutti presagivano nell’aria (è il caso di dire), lasciavano le loro “occupazioni” e nel più totale e improvviso silenzio gustavano l’aria o la cavatina che fosse.

Considerazioni analoghe ebbe a fare quell’eccentrica signorina vittoriana che studiò la vita musicale italiana del ‘700 sotto falso nome maschile di Vernon Lee (al secolo si chiamava Violet Paget, 1856-1935). Sulla scia del viaggiatore inglese Charles Burney, la Paget ebbe a studiare il particolare rapporto empatico degli italiani con la musica. Osservò che la musica dei francesi era una festa per gli occhi e un inferno per gli orecchi, mentre i tedeschi trasformavano un piacere in dovere ed eccoli tutti compunti e seriosi davanti alla rappresentazione musicale. E gli italiani? Non sospendevano la vita per godere della musica. No, la musica viveva con loro, era un fatto naturale della vita: potevano dedicarsi a qualsiasi occupazione, ed ecco che al momento giusto prendevano in mano uno strumento e lo suonavano d’impeto. Da queste sue osservazioni di natura antropologica la Violet Paget trasse poi saggi di estetica (“The Beautiful: An Introduction to Psychological Aesthetics”) oltre che il suo volume di studi “La vita musicale nell’Italia del Settecento” (“Studies of the Eighteenth Century in Italy”). La sua estetica poggia proprio sul principio dell’Einfühlung ossia quell’empatia che le sembrò contraddistinguesse gli italiani nell’esperire il fatto estetico e musicale.
Questo ascolto all’italiana, certamente, non è proprio un gran complimento: poggia sul principio che gli italiani, non avendo adeguate conoscenze culturali (musicali), facciano affidamento sui dati del senso e dell’immediatezza; come anche sullo stereotipo dell’italiano che entra d’emblée in sintonia con lo strumento (magari il mandolino). Ma se cogliesse almeno in parte il nostro modo di ascoltare musica e di farla, sarebbe da non prendere almeno in considerazione?

Come dirà Mario Praz, raccogliendo le confidenze della Violet Paget, si potrebbe dire che gli italiani non “udivano” la musica, ma la “intraudivano”: era come se fossero in un’altra stanza, a fare tutt’altro, mentre nella stanza accanto si suonava il piano.

Io ho tenuto la tivù rigorosamente accesa su Sanremo. Fa famiglia e gioia di vivere. Resto deliziato dai commenti da tinello sulle mise delle donne, sulle sparate da palco (quella del catanese che non ha mai fatto un giorno di ferie mi ha fatto scompisciare dal ridere!!!!) E le canzoni? Le l’ho intraudite le canzoni. Aspetto qualche giorno per risentirle, e per cantarle a squarciagola se meritano di esserlo.

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Nota del giorno dopo

A Sanremo ha vinto una supercazzola toscana. Io che mi sono formato nella prima fanciullezza nella Toscana felice, tra le letture di Ferdinando Paolieri e Piero Bargellini, conoscevo certamente questo tratto grullesco dello spirito tosco magnificato da “Amici miei”. Adesso il grullismo toscano ha annesso una nuova provincia canora oltre a quella cinematografica al suo impero. L’offensiva politica invece è stata respinta per eccesso di lallazione renziana, benché io l’avessi sostenuta, seppur come extrema ratio, e anche un tantino controvoglia, e che forse continuerò a sostenere visto lo sfacelo che ci circonda. Siamo alla disperazione delle supercazzole, ma come reagire se non con il nonsensical dell’Occidentalis karma?

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