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8 maggio1945: resa della Germania, ma non cessavano i crimini contro l’umanità
“Poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”
Essere o non essere non è solo del dubbio amletico, ma la possibilità di continuare a esistere o estinguersi, questo è quanto l’orologio dell’apocalisse, creato dagli scienziati del Bullettin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago nel 1947, sembra volerci ricordare. Monito al fatto che la nostra esistenza non si svolge in un mondo stabile e che l’ oggi potrebbe essere semplicemente un passato senza futuro, l’orologio è il simbolo dell’urgenza della problematica legata alla presenza di ordigni nucleari capaci di mettere fine all’esistenza umana. Le sue lancette hanno segnato pochi istanti alla mezzanotte, designando perciò come imminente la fine del mondo, durante la crisi dei missili di Cuba, quando i Sovietici, in reazione all’ installazione di missili nucleari statunitensi in Italia ed in Turchia, pongono un base missilistica a Cuba. Quattro furono, invece, i minuti alla mezzanotte quando nel 1981 gli Stati Uniti, dopo l’invasione dell’Afghanistan da parte dell‘ URSS, boicottarono i giochi olimpici e Reagan iniziò una politica di riarmo con la fabbricazione di una bomba a neutrone. Solo cinque, quando nel 2007 il test nucleare effettuato dalla Corea del Nord e il timore che anche l’Iran potesse dotarsi della bomba, fece pensare ad una nuova guerra atomica
Se l’ondata di distruzione abbattutasi su Hiroshima e Nagasaki è una delle pagine più orrende della nostra storia, è giusto ricordare quanto siano ancora attuali i pericoli che l’ intero genere umano corre considerando che sono 23000 le testate nucleari ufficialmente dichiarate.
Sebbene alcuni impianti di produzione e siti di esperimenti nucleari sono stati chiusi e il Trattato di non Proliferazione conta oggi l’adesione di 190 Stati, gli arsenali nucleari sono tuttora pieni e si lavora al loro mantenimento e miglioramento, motivo per cui saremo sempre in pericolo se non si giungerà ad una totale bonifica degli stessi.
Dopo l’ attacco terroristico alle Torri Gemelle, inoltre, si è diffusa la tendenza a sviluppare armi nucleari di piccole dimensioni che i terroristi possono usare alla stregua di armi convenzionali. Conviviamo, insomma, con una spada di Damocle sulla testa sottovalutando un pericolo concreto.
La storia della ricerca nucleare e della realizzazione della bomba atomica è costituita da un intreccio di eventi che coinvolse protagonisti dalla mente brillante, da segreti e dinieghi, scambi di informazione tra gli scienziati di Stati Uniti , Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia.
Fu qui, al Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma, che lavoravano scienziati illustri come Fermi, Rasetti, Segrè, Pontecorvo. Furono queste e altre menti brillanti da entrambi i lati della cortina di ferro a avvertire per primi le implicazioni catastrofiche che le scoperte sulla fissione dell’uranio della Meitner e quelle successive sulla reazione a catena avrebbero avuto se usate per fini bellici dalla Germania nazista. Furono loro a svolgere una parte significativa nel dare continuo incremento alla rincorsa alle armi nucleari per tutti i quaranta anni della Guerra Fredda.
La lettera che nel 1939 Einstein, facendosi portavoce dei timori avvertiti dai suoi colleghi, invia a Roosvelt sulla necessità di impegnarsi nella ricerca bellica, segnò la più grande mobilitazione di scienziati al servizio della guerra nonché la creazione di laboratori segreti nota con il nome di progetto Manhattan.
I geni della fisica che in qualche modo parteciparono alla creazione della bomba atomica furono risucchiati da meccanismi che portarono morte e ignoranza e non vita e progresso, contravvenendo l’adagio socratico che vuole un sapere inseparabile dalla virtù.
Sicuramente non ci fu virtù nella decisione di Truman di sganciare la bomba atomica su Hiroshima. Ma la storia si sa, a volte ha bisogno di giustificazioni, vere o presunte, per rendere plausibili agli occhi del mondo le proprie azioni . Fu così che Truman, venuto meno la supposta minaccia da parte di una Germania ormai arresasi agli alleati, bombarda Hiroshima chiamando in causa una rapida conclusione della guerra, mentre in realtà era preoccupato di evitare l’intervento dell’ URSS che già dopo la conferenza di Postdam aveva avanzato rivendicazioni sulla spartizione del Giappone
La lettera che Einstein aveva mandato a Roosvelt il 25 Marzo 1945 nel tentativo di dissuaderlo dall’uso del terribile ordigno, rimase inevasa sulla scrivania del presidente quando questi morì. Quando apprese la notizia della terribile tragedia abbattutasi su Hiroshima, Einstein si pentì di aver scritto la lettera del 1939 e nel 55 redasse, insieme a Bertand Russel, il manifesto Russel -Einstein, primo documento di denuncia sulla minaccia delle armi nucleari e prima tra le iniziative che trasformarono uomini di scienza in attivisti politici.
La tragedia di Hiroshima e Nagasaki agì su molti di essi come presa di coscienza delle loro responsabilità civili che li condusse a farsi promotori del disarmo e a impedire la corsa agli armamenti atomici anche attraverso il coinvolgimento dell’opinione pubblica. Comunicare e informare i cittadini non esperti fornendo la comprensione dei fatti relativi all’uso dell’energia atomica e alle sue implicazioni, divenne imperativo categorico. Così, otto anni dopo aver scritto la famosa lettera a Roosvelt, Einsten scrive all’uomo comune. Crede, infatti, che la comprensione e la mobilitazione sia l’unica difesa possibile e parafrasando Gandhi, scriverà nella sua lettera: “Il potere dello spirito umano è più forte delle armi nucleari” .
Lavorare al progetto Manhattan fu un’ esperienza traumatica per alcun scienziati, soprattutto quando si resero conto che anche la pura ricerca può trovare applicazione a volte mostruose e dovettero, perciò, fare i conti con la propria coscienza. Fu questo il caso di Jozef Rotblat, uno dei promotori del disarmo e premio Nobel per la pace nel1995. Sfuggito alla sorte di altri ebrei polacchi a cui non riuscì, invece, a sottrarsi la moglie, iniziò a lavorare all’ordigno a Los Alamos, in Messico, per il progetto Manhattan con la finalità di prevenire l’uso che Hitler ne avrebbe fatto qualora anche i Nazisti lo avessero realizzato. Preso da scrupoli morali, se ne allontanò nel 44 quando le agenzie di spionaggio confermarono che i tedeschi avevano interrotto il loro programma atomico e che probabilmente, quindi, il vero scopo della bomba era quello di soggiogare l’Unione Sovietica. Chi fu preso da un rimorso tardivo fu Oppenheimer che, sentendosi responsabile per quanto aveva reso possibile a Hiroshima e Nagasaki, parla a Truman di scienza peccaminosa e di scienziati che hanno le mani sporche di sangue. Chi non avverte il senso di responsabilità sociale, ma è favorevole all’uso dell’atomica per contrastare la minaccia nazista, fu Enrico Fermi. Uomo chiave del progetto Manhattan e fermo sostenitore di una scienza libera ed irresponsabile, la sua posizione opposta a quella profondamente etica di Rasetti porterà alla rottura del loro sodalizio.
L’ orrore suscitato non solo dall’elevato numero di perdite in termini di vita umana, ma dal cerchio della morte che avrebbe continuato a uccidere negli anni a venire, è divenuto soggetto di diversi film da “The Day After” a “Wargames”, da “I Ragazzi di via Panisperna” e “L’ombra di mille soli” a “Hiroshima mon amour”. Nello specifico, in “Il dottor Stranamore”, ovvero come imparai a non preoccuparmi e a amare la bomba, Kubrick racconta in piena Guerra Fredda e attraverso la lente del black humor l’assurdità dell’ “ordigno di fine mondo”. Nella figura del dottor Stranamore è riconoscibile Teller, irriducibile sostenitore dell’atomica nonché padre della bomba H.
Tiziano Terzani, rifacendosi al pensiero di Rotblat sulla impossibilità di cancellare la conoscenza della costruzione delle armi nucleari dalla memoria umana, afferma: “una tecnologia che esiste, che si può praticamente trovare su internet, non la togli più di mezzo. Si può anche sognare che i cinque sei grandi paesi, tra cui l’America, la Russia, la Cina, rinuncino alle armi nucleari, però qualche terrorista se la farà comunque. Come si può far dimenticare una tecnologia una volta che è stata inventata? Sai, se a un uomo gli fai vedere un ponte, anche se poi lo togli di mezzo non è che non attraversa più il fiume”
A enfatizzare i rischi di una tecnologia che corre più velocemente della consapevolezza, fu lo stesso Svevo che profeticamente nel 1923 in “La coscienza di Zeno” scriveva: “quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutto gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati come innocui giocattoli”
È evidente, quindi, che l’unica arma efficacia per sventare il pericolo è imparare a convivere senza ricorrere alla guerra. L’ antico adagio “si vis pacem, para bellum” deve essere riscritto adottando l’idea che la pace si realizza preparando la pace, unica ancora di sopravvivenza nel terzo millennio.Nessuno violenza, infatti, ha messo fine alla violenza, la catena di vendette non si spezza rispondendo all’offesa con una dalla portata superiore, si innesca invece una nuova catena dell’orrore.
Le attuali dinamiche belliche che non coinvolgono più soltanto soldati, ma mietono ingenti vittime tra la popolazione civile, ne sono, purtroppo, un tragico esempio. Non occorre andare troppo lontano con la memoria, a quando cioè nella guerra del Vietnam gli Stati Uniti sganciarono tonnellate di Naplam, per ricordare quanto sia ancora attuale l’ uso di armi di distruzione di massa. Le armi chimiche sono tuttora utilizzate nei conflitti armati, basti pensare alla strage di Damasco, nel vicino 2013, che si è vista bombardata con gas sarin lo stesso utilizzato contro i curdi nel nord dell’Iraq nel 1988
Dinanzi a un mondo in perpetua guerra sembra anacronistico parlare di non violenza. Non violenza, però, non vuol dire abdicare alla lotta, significa, invece, impegnarsi nel compito arduo di creare nuovi strumenti di lotta, perché risulta più semplice addestrare a ammazzare che educare alla non violenza .
Se, come afferma Rotblat, il fine ultimo della scienza è il miglioramento della condizione umana, trovare strumenti di lotta alternativi significa rimuovere situazioni che generano povertà, sfruttamento, ingiustizia e di conseguenza odio, rabbia, terrore, ignoranza e facile manipolazione .
Il concetto di sicurezza umana, inoltre, non può più solamente essere legato a quello di deterrenza nucleare, basato a sua volta sul concetto di “distruzione reciproca garantita” e creatore di un clima di terrore in cui nessuno dei due nemici può permettersi di far scoppiare una guerra nucleare. Esso è invece strettamente vincolato a quello di disarmo nucleare .
Un’ idea, questa, fondante del trattato di non proliferazione sottoscritto da 187 stati appartenenti all’ ONU nel 1968 e da cui hanno preso le mosse i principali trattati per la limitazione degli armamenti nucleari, non ultimi gli accordi firmati dalle due superpotenze nucleari nel 1991 (START1, Strategic Arms Reduction Treaty) e nel 2010 (NEW START)
Si tratta in effetti di realizzare un cambiamento del punto di vista, dando priorità a interessi riguardanti l’intero genere umano su quelli di gruppi nazionali e politici, sostituendo la cultura della reazione e dell’aggressione a una cultura di prevenzione in cui si cercano soluzioni a problemi prima che questi possano esacerbare esplodendo in conflitti.
Abbracciare il credo di Gandhi diventando il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, implica una responsabilità di ciascuno, dell’uomo comune non solo di chi detiene il potere, perché il pericolo dell’olocausto riguarda noi tutti. Sensibilizzare l’opinione pubblica affinché si esiga la messa al bando della produzione di armi nucleari e il totale disarmo è, pertanto, un passo necessario per trasformare i rapporti ostili tra gli Stati in reciproca fiducia.
In quest’ ottica, un importante contributo è stato dato dalla mostra itinerante “Senzatomica, “Per usare la storia come fonte di memoria attiva al cambiamento, trasformare lo spirito umano per un mondo libero dalle armi nucleari”, ospitata a Napoli a Castel Sant’Elmo fino al 24 Aprile. In coerenza con l’impegno per la pace che caratterizza la Soka Gakkai (dal giapponese: Società per la creazione di valore, organizzazione laica buddista) e col desiderio del secondo presidente, Josei Toda, di estirpare dalla terra questa minaccia, “Senzatomica” è una campagna rivolta ai cittadini italiani affinché prendano consapevolezza della perdurante minaccia nucleare, rifiutino il paradosso della sicurezza basata sulla reciproca minaccia di distruzione, osservino l’economia mondiale distolta dalla cura del soddisfacimento dei bisogni primari degli esseri umani. Il sottotitolo della mostra è un invito alla trasformazione del proprio comportamento nei conflitti e mira a creare nei visitatori (a Napoli più di 27.300 di cui oltre 11.000 studenti) la consapevolezza che la trasformazione è possibile attraverso la presa di coscienza del proprio fondamentale contributo
In tempi di scenari globalizzati in cui movimenti di popoli e ripercussioni di alterati equilibri di potere confermano che non si può considerare la sicurezza prerogativa del proprio orticello privato, bisogna coltivare un senso di lealtà verso l’umanità tutta. Lealtà che non può non tener conto della condivisione e del rispetto di valori in primis e della facoltà di ogni Stato di partecipare a questioni di carattere economico, sociale, culturale godendo di quella libertà che, come affermava Roosvelt, non può esistere senza sicurezza economica e indipendenza
La famosa lettera di Kipling al figlio, “Se”, diviene nel discorso pronunciato da Rotblat durante la cerimonia per il conferimento del Nobel, un monito che serve da guida all’intera umanità, figlia di un mondo che la comunicazione globale ha reso più piccolo, ma non più vicino.
“La ricerca di un mondo libero dalla guerra ha uno scopo fondamentale: la sopravvivenza, ma se nel corso dell’impresa impareremo come assicurarci la sopravvivenza per mezzo dell’amore, invece che con la paura, con la gentilezza invece che con la costrizione; se impareremo a combinare l’utile e il dilettevole, l’opportuno e il caritatevole, il pratico e il bello, questo sarà un ulteriore premio per aver intrapreso questa missione”.
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