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21 marzo, Giornata Mondiale della Poesia. BUTTATELA VIA, LA POESIA

20 Marzo 2018

Il poeta morto è molto amato. Non vi insegue con il suo ultimo libro, non vi perseguita sui social con i link delle prossime presentazioni. Meglio se scrive cose brevi. Meglio se riscoperto o scoperto da poco, così non vi sentite ignoranti di qualcosa che proprio non vi interessa coltivare. Avete ragione. Vi hanno fatto odiare la poesia fin da piccoli, facendovi memorizzare quelle per la festa della mamma. Eppure, una volta memorizzata, la poesia – ci voleva che fosse decente – rivelava il proprio ritmo, anche se la scuola non educava a discernere gli elementi. Questo quando la poesia era il ruggire di Ungaretti in bianco e nero a tutto schermo, anni sessanta. Secolo scorso. Quando si riteneva che la poesia non fosse, anche lei, una questione politica.

A fine millennio, la poesia ha rischiato di essere ascoltata. Penso ai poeti operai, definizione sociologica che li escludeva dall’Olimpo poetico. Penso ai poeti contadini che recitavano a memoria, morti già da qualche decennio. La scuola della necessità di poesia è venuta dai cantautori che l’hanno mediata, ma sono stati solo momenti, perché la musica ancora andava a nozze solo con la lingua inglese. Però, a cavallo del Duemila, la poesia ha rischiato davvero di essere ascoltata. Quella delle donne, ad esempio, ma come se fossero una massa indistinta (messe nel mucchio, nella seconda delle tre sezioni: poesia, poesia delle donne, poesia dei giovani), quando invece ciascuna aveva troppi e differenti padri e pochissime o nulle madri.

Ora, proprio mentre stava per essere ascoltata, mentre stava per trovare il proprio posto al sole nel declino generale della prosa, del giornalismo, della comunicazione postale e di altre forme di scrittura, la poesia è stata sommersa dall’entusiasmo istituzionale degli appuntamenti fissi internazionali. Forma sottile di censura, la politica dell’assordare: le voci si sono perse nell’uragano del versificare coatto, mondano domenicale o giovanilista di una slam poetry privata dell’unità di tempo luogo azione propria delle etnie afroamericane, imbolsita in foglietti tremanti tra le mani e comitive di amici trascinati a votare. Per non parlare dei concorsi, e dei voti di scambio nei concorsi. E però: quante e quanti entrano oggi nella stanza di Emily Dickinson e ne escono cambiati! Forse non è stato poi così male proporre eventi stagionali di poesia ad un popolo mondiale malato di celebrazioni guerresche.

La speranza, almeno di qualcuno, era forse che la dilagante proposta primaverile poetica equilibrasse la smodata presunzione del pensiero razionale, insegnasse all’umanità a guardare con il cuore. Infatti, la GMP (Giornata Mondiale della Poesia) istituita dall’Unesco che si celebra ogni 21 marzo ha legittimato a trar di tasca o borsa il componimento che sarebbe rimasto “nel cassetto”, ha dato voce a poeti/e inascoltati, ha sacralizzato spazi dimenticati e riempito aule illustri. Per il resto dell’anno ci prende un horror vacui che riempiamo di scadenze con vasta gamma di modalità comprese tra i due poli ideali: la sola lettura, che fa riecheggiare la parola nel corpo mistico di chi legge, e il matrimonio con altre arti, la musica soprattutto, che trasporta la poesia anche in orecchie che non la amano. Più spesso le modalità di fruizione proposte sono:

A.      La Presentazione – All’ opera poetica pubblicata serve autorevole presentazione specificamente da parte di: 1.accademico/a, 2.organizzatore/trice eventi, 3.editore/trice, ecc. Così il/la poeta resterà in silenzio finché si parla di lui/lei, quindi quando interpellato/a esploderà in alcune liriche oppure s’impossesserà da subito del microfono togliendo la scena ai presentatori, una sessione di questo tipo dura mediamente un’ora e mezza, ma se ne son viste di implacabili durare anche tre o quattro ore in assetto presidenziale (platea più cattedra, di solito in sala di riguardo). Ma, se c’è insegnante – dalle elementari all’università – che non abbia ucciso in classe l’amore per la poesia, basterà un incontro giusto a scuola per generare nuove poete, nuovi poeti.

B.      Il Reading – Intraducibile, “lettura” appiattisce. Si può svolgere all’aperto in piazza, in un centro sociale o nel più storico dei palazzi, meglio se in molti/e partecipanti e su scelta tematica condivisa in alcune occasioni latu sensu politica (per la GMP, tema base: la Pace), ora usa intervallare con musica. Il problema è che appena letto ci si imbosca in bar senza ascoltare chi legge dopo di noi e questo non è bello, perché, spesso mancando il pubblico, vien meno anche l’ascolto minimo per cui val la pena di continuare a scrivere. Inoltre prevale la legge che i poeti leggono gratis (il che, per quanto non piaccia, resta garanzia di vocazione), mentre invece i musicisti vanno pagati, il che santifica inesorabilmente il disvalore della parola. Eppure, a volte basta un piccolo raduno di poeti per dare una svolta alla S/storia. Lo insegnano le Grandi Rivoluzioni.

C.      Il Festival – Manovre che assomigliano alla composizione di una lista elettorale precedono questo evento mirabile, propedeutico al quale è la discussione su chi sarà pagato, chi rimborsato e chi va già bene che lo chiamiamo. Questo perché mancano luoghi fisici o virtuali dove discutere criticamente (ma la critica sta rinascendo nei blog) per stabilire qualche criterio di lettura, meglio che di merito. Intanto fiumi di poesia o supposta tale scorrono senza che alcun li abbia né osannati né affossati, che sarebbe comunque indizio di vitalità. È soprattutto nel Festival che si insinua da una parte l’ingerenza dell’associazionismo sotto sotto partitico (i “nostri” poeti) o di falange e dall’altra si incrudelisce la pratica fratricida delle correnti poetiche dove il genere può più dell’estetica: quelle esclusivamente maschili, quelle femminili, quelle miste mosse da un indescrivibile pot-pourri di meccaniche relazionali (vincono le fidanzate dei poeti, meglio se morti, appunto).

Pare che per gustare la poesia come a Medellin, in Colombia, dove convergono moltitudini attente e assetate di Parola, ci vogliano condizioni estreme: le STRAGI, la GUERRA, le DITTATURE.

E allora buttatela via, voi, la POESIA!

 

 

 

 

 

 

 

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