Cultura

“E se domani non ho da mangiare?”: la Fao scopre la grande paura

18 Novembre 2014

Non è l’eterno scontro tra numeri ed emozioni, tra calcolo e sentimento. Non lo è perché questo scontro non c’è. Ad introdurre questa rivoluzione filosofica è la FAO, Food and Agriculture Organization,  l’organizzazione delle Nazioni Unite che da oggi è riunita a Roma per la Seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione e che combatte la fame nel mondo: con un nuovo standard globale per misurare l’insicurezza alimentare, per la prima volta si inseriscono le paure e le preoccupazioni umane in un calcolo statistico, chiedendo direttamente alle persone coinvolte di riportare le proprie esperienze.

“Alcuni sostengono che chiedere informazioni direttamente alla persona coinvolta non generi dati affidabili, ed è vero nel caso si trattasse di chiedere opinioni. Ma noi chiediamo di riportare dei fatti, e lo stress psicologico di un individuo, la sua paura o apprensione,  è un dato reale che determina una perdita di benessere, non è un’opinione soggettiva” spiega a Gli Stati Generali Carlo Cafiero, statistico ed economista a capo del progetto Voices of the Hungry della FAO che nel 2014  ha introdotto un nuovo standard di misura valido su scala globale, basato sulla Food Insecurity Experience Scale (FIES), i cui primi risultati saranno pubblicati a partire dal 2015.

“Noi cerchiamo di individuare l’insicurezza alimentare prima che diventi fame cronica. In questo senso la preoccupazione iniziale per il cibo è un early warning, un primo allarme” spiega Cafiero. Secondo la ricerca etnografica americana di Radimer, Olsen e Campbell, l’insicurezza alimentare si mostra inizialmente con la preoccupazione e la paura di non riuscire a procurarsi abbastanza cibo, seguite poi dai cambiamenti di dieta e di abitudini alimentari per far durare più a lungo le proprie risorse alimentari disponibili. Solo dopo arriva la riduzione effettiva del cibo, fino alla sotto-nutrizione e alla fame.

Andando ad intercettare la preoccupazione iniziale per il cibo, la FAO ritiene di riuscire a individuare l’insicurezza alimentare anche dove è meno severa e dove la malnutrizione e la fame sono solo in fase embrionale, e a monitorare meglio l’evolversi del fenomeno nel caso già sussista. “La tempestività è uno dei grandi vantaggi di questo nuovo metodo, soprattutto nell’ottica di un’informazione che mira a contribuire a migliorare le politiche dei Paesi” spiega Cafiero. Uno degli scopi principali del sistema di monitoraggio messo in piedi dalla FAO è infatti quello di avere uno strumento per guidare le politiche per combattere l’insicurezza alimentare anche prima che questa si tramuti in malnutrizione e fame.

Con pochi dati, otto domande, la FIES permette di ottenere una stima attendibile della percentuale della popolazione che soffre di grave o moderata insicurezza alimentare, ossia che si trova in quella situazione in cui le persone non hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano le loro necessità e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana.

“Negli ultimi 12 mesi c’è stato un momento in cui hai avuto paura di non avere cibo per mancanza di  soldi o altre risorse?”. Questa è una delle otto domande che va a intercettare quella paura iniziale e che viene posta direttamente alle persone. Seguono domande che vanno a scandagliare la presenza di esperienze via, via più gravi. L’analisi delle risposte attraverso metodi statistici consolidati permette di ottenere, per la prima volta, una vera e propria misura della gravità della situazione individuale.

Si ha così un dato comparabile, ottenibile con continuità anno dopo anno grazie ai costi contenuti dell’indagine a campione, e un dato puntuale che esplora gli eventuali problemi di discriminazione all’interno delle famiglie perché non si parla più con gli households, i capi famiglia, come si è fatto in passato, ma direttamente con le singole persone. “Per la prima volta si ha uno standard globale per la misura della gravità dell’insicurezza alimentare delle persone intervistandole direttamente. Una misura individuale, non solo a livello familiare. E’ meno costoso e più preciso di qualsiasi altro metodo proposto finora” afferma Cafiero.

Gli indici finora utilizzati a livello globale non erano sempre comparabili, prendevano in considerazione dati aggregati, a volte poco dettagliati e tempestivi, spesso soggetti a distorsioni, che in molti casi non hanno permesso di prevedere situazioni di crisi come quella dei prezzi dei generi alimentari degli anni ’90 che ha avuto un impatto devastante sull’accesso al cibo. Non prendevano in analisi il self-reporting, ossia l’autoanalisi degli individui, perché considerato un dato soggettivo, e avevano bisogno di molti dati, rilevati in maniera a volte discontinua anche a causa dei costi necessari per raccoglierli.

Quando Papa Francesco scriveva al direttore generale della FAO, José Graziano da Silva, che “coloro che soffrono dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione sono persone e non numeri” in una lettera pubblicata il 17 ottobre dal giornale Avvenire, lo staff della FAO lavorava da oltre due anni sulla FIES e sviluppava in maniera pratica quello che il Papa affermava in maniera solo teorica.

Attraverso la rilevazione dei dati condotta dalla Gallup World Poll (GWP), la divisione statistica della FAO è già in possesso dei dati da 44 Paesi in cui campioni rappresentativi della popolazione hanno risposto alle otto domande della FIES, ed entro metà gennaio si avranno i dati relativi alle popolazioni di 150 Stati. Si ha la sensazione di essere così un po’ più vicini ad avere un quadro chiaro della fame nel mondo e del suo evolversi, e di avere quindi, finalmente, gli strumenti necessari per poter intervenire.

 

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