Cinema
We Are Who We Are
Potrebbe essere un azzardo recensire una serie dopo le sole prime due puntate, ma l’esordio televisivo di Luca Guadagnino è stato folgorante come ogni suo film…
Partendo dai ricordi d’infanzia dell’attrice Amy Adams, nata in Italia da padre militare di stanza a Vicenza, Paolo Giordano, Francesca Maneri e Sean Conway hanno sviluppato una sceneggiatura che compie un viaggio sulla fluidità di genere nella Generazione Z, dando vita a quella che ho già soprannominato la versione autoriale di Euphoria.
Il regista di Call Me By Your Name sceglie come ambientazione una base dell’esercito USA a Chioggia, una sorta di non luogo che ha caratteristiche simili e diverse da qualsiasi altro macrosistema occidentale quando hai sedici anni e, al di là di ogni definizione stretta, sei più o meno consapevolmente alla ricerca della tua identità.
In questo satellite della madrepatria perso nella provincia veneta, persino i supermercati sono uguali a quelli delle altre basi sparse nel mondo, come se avere le stesse corsie che contengono la stessa roba, posizionata esattamente allo stesso posto alleviasse il senso di smarrimento degli abitanti.
Gli adulti si aggrappano con le unghie e coi denti ai valori fondanti che hanno reso l’America la nazione sovrana per antonomasia, guardando Trump nel tubo catodico come al Presidente che, se eletto ” [will] Make America Great Again”. Ma restano sempre sullo sfondo: la lente d’ingrandimento è puntata unicamente sui giovani, bramosi di vita, di scoperta, di sfide.
Capitolo 1: Fraser. Bipolare, solitario, figlio di due madri, legge Wild Boys di Burroghs, citando i passaggi di quei deliri orgiastici ad un amico/a, fidanzato/a al dilà dell’Oceano. Veste con la tipica ricercatezza eccentrica della New York da cui proviene: la t-shirt con cui esordisce sullo schermo per cui viene soprannominato “maglietta” dagli altri ragazzi ed il gilet militare a fiori con le bermuda leopardate hanno tutta l’aria di provenire dal Dover Street Market, senza contare la stampa di Laurie Anderson sotto la giacca dei Rolling Stones. Il suo protagonismo è una continua presenza/assenza sulla scena, mentre passa attraverso spaccati di realtà senza apparentemente esserne sfiorato.
Capitolo2: Caitlin, afroamericana, popolare tra i coetanei e ribelle in famiglia, nel rapporto conflittuale col fratello maggiore, nell’incomunicabilità con la madre e nell’amore complice per il padre, come nel più classico degli schemi.
la mia è un’angosciosa brama d’amore. la terra non gravita? la materia non attira desiderando la materia? così il mio corpo con chiunque io veda
Ben consapevole della sua capacità attrattiva, mentre il poster di Serena Williams appeso in camera le ricorda ogni giorno che Strong Is Beautiful, quando si allontana dalla base, si infila un cappello da baseball e si fa chiamare Harper…
Le premesse sono più che interessanti oltre ai già innumerevoli spunti di riflessione, il tutto rifinito dall’estetica tipica di Guadagnino che pennella di eleganza e pulizia i corpi, gli ambienti, il sole abbagliante di un pomeriggio italiano tra mare e campagna.
Per chi non l’avesse riconosciuta, il colonnello, madre di Fraser, ha il volto di Chloë Sevigny, musa ed icona del cinema e della moda di fine anni ’90 che in un articolo comparso nel 1994 sul New Yorker, lo scrittore Jay McInerney definì “la ragazza più interessante al mondo”.
Io sono l’amore
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