Cinema
Vedi “The Founder” e ti dirò chi sei
“Non posso entrare a stomaco vuoto, sennò a vedere tutti quegli hamburger mi viene fame”. Con questo spirito siamo andati a vedere The Founder un paio di sere fa. Chiaramente il McDonald’s non l’abbiamo preso in considerazione nemmeno un attimo, optando piuttosto per un pezzo di focaccia alle cime di rapa, una scelta che spoetizzava subito il mood American Dream per porci in un’atmosfera tipo Un americano a Roma o al massimo My name is Tanino. Ma tant’è, mentre la birra buttava giù a forza la focaccia, ci affrettavamo per non entrare a film iniziato.
The Founder, dunque. Un impero, forse l’Impero economico per eccellenza, fondato da un mediocre agente di commercio dopo che ha passato la soglia dei 50 anni. È il grande sogno americano che si avvera in un film interpretato da un incisivo Michael Keaton che, dopo Birdman-Batman, si confronta nuovamente con un protagonista che rinasce quando le aspettative di successo sembrano essere ormai alle spalle. L’arco di trasformazione dei personaggi da lui interpretati ultimamente fa sicuramente pensare alla carriera di Keaton attore che si risveglia dal sopore hollywoodiano e si impone nuovamente come big name dopo anni e anni fuori dai riflettori.
Performance e dettagli tecnici a parte però, quello che tocca del film è la sua valenza “filosofale”: chiedete un’impressione a un manipolo di spettatori e avrete storie diverse, letture diverse a seconda del ventaglio di valori che si accorgono di avere durante la visione di The Founder. Chiedete cosa ne pensano di Ray Kroc, “founder” di McDonald’s: squalo opportunista, fondatore di una compagnia che rappresenta tutto ciò che c’è di sbagliato nel capitalismo o self made man che nonostante le avversità, l’età e gli insuccessi persevera finché non ottiene quello che vuole? Rispondete a questa domanda e scoprirete, in fondo, come vi fa sentire il capitalismo, al di là delle razionalizzazioni, i preconcetti e le retoriche radical-chic. Chiaramente la differenza la fa anche la vostra posizione lavorativa e se nella vita siete degli imprenditori. Ma se, come me, dopo essere passati attraverso tutti gli sbattimenti per fondare una startup (giuro l’ho fatto, nel mio caso un marketplace per studi fotografici e location ) c’è qualcosa che nel capitalismo non vi torna, beh, allora una risposta l’avete già.
Chiaramente l’ambiente culturale di riferimento fa la differenza e difficilmente chi è cresciuto in Italia potrà condividere gli stessi valori di chi viene da un mondo protestante dove l’etica calvinista la fa da padrone. Non posso non pensare al testamento del recentemente scomparso Caprotti, magnate di Esselunga e dunque un po’ Ray Kroc de noatri. Riferendosi alla sua azienda scrive che “è troppo pesante possederla in Italia perché questo paese cattolico non tollera il successo”.
Tutt’altra storia oltreoceano. Ma se nel mondo protestante il successo è un valore allora non ha (quasi) importanza come lo raggiungi anche perché – gioco forza – il tuo successo esiste solo a condizione dell’insuccesso di altri: i tuoi concorrenti, che affoghi, o i tuoi clienti che in qualche modo inganni. È uno spietato mondo lupo mangia lupo quello di Ray Kroc o, per usare parole sue, ratto mangia ratto.
Questo duro e crudele pilastro alla base del migliore dei mondi possibili è dunque inevitabile per avere quanto di buono il capitalismo ha portato e cioè benessere, vaccini, ospedali, ristoranti? Non lo so, ma se nel cuore di McDonald’s ci sono ancora i valori del suo fondatore, tra cui quel “ratto mangia ratto”, allora quello che vedo quando osservo famiglie o gente in sovrappeso consumare felici i loro Big Mac è un’immagine che al confronto Kafka mi fa un baffo.
Usciamo dal cinema e parliamo proprio di questo. No, non di Kafka, ma della storia. Per qualcuno è la storia di un eroe dei nostri giorni, per altri quella di uno spietato opportunista diventato simbolo del sogno americano. La focaccia alle cime di rapa è bella che andata. Per fortuna l’Italia, ben lungi dall’essere la terra delle opportunità, offre molte più opzioni gastronomiche rispetto a un sacchettino con un hamburger che odora di unto. Magra consolazione, ma l’importante è crederci. Per noi, come per Keaton, “the best is yet to come”.
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