Cinema
Un uomo e una donna
Pomeriggio tardi del venerdì. Lo spaziotempo più bello della settimana. In tutta la sala siamo una manciata, noi quinta fila, in mezzo. Ci piace questo cinema perché è sulla testa di un centro commerciale, il parcheggio è grande e sempre semivuoto, e dulcis sono le poltrone ruffiane: tastino che distende, postura su misura.
Past Lives. Celine Song, al debutto, 36 anni: una ragazza. Romantico. Ma Coreano. E pensato a New York.
Penelope ha il mestruo e tiene la bottiglietta d’acqua appoggiata alla tempia.
Vorrei prendermi io il tuo mal di testa, dico, mentre ci sono i trailer a volume assordante.
Ma papo, non è niente di che. Sto già meglio così comoda. Meglio il cinema, che dormire, alla fine.
Non c’è competizione: il sogno a occhi aperti, forever.
La regia è elementare. Inquadrature su loro due, quasi sempre strette. Qualche panoramica, per dirci dove siamo, qualche dettaglio del paesaggio urbano, simbolico, fotografico. Brevi, i dialoghi, solo l’utile. Sentimento, e risentimento. Volti, espressioni, sguardi che parlano. Gli altri esseri umani ombre, di passaggio.
Un uomo e una donna, è il binario. Il film francese della mia infanzia, mi ricorda. Ognuno ha le sue deviazioni.
Nell’intervallo, con i 5 minuti che gocciolano in basso a sinistra sullo schermo, c’è l’omino con la bancarella portatile. Penelope sa che detesto i popcorn al cinema, qui barattoloni che spumeggiano e la gnagnera delle mandibole, e quindi si compra i Mikado, più discreti. O forse saranno gli intensi lineamenti asiatici sullo schermo (lo so, li vediamo somiglianti, tutti, ma non in questo film) a farglieli preferire.
L’amore si cementa nei primi dodici anni di vita. Bambino e inesorabile. Per altri dodici resta sospeso dalla lontananza. Si riaccende nei monitor portatili. Si disillude per altri dodici anni. Saggezza orientali che ipotizzano scosse emotive prese in vite passate, un gioco a rimando col destino. Per esperienza molto personal, un tuchelin credo a questo solenne sostantivo. Poi c’è il culo, altro sostantivo, ancora meglio.
Necessario, il triangolo: «…una dimostrazione dell’impossibilità di qualunque combinazione amorosa al di fuori della coppia.» dice François Truffaut del suo Jules e Jim. Oui, je suis Maurice. Entrambi amano profondo, lampante, la stessa donna, eppure con totale e sofferta discrezione. Uomini maiuscoli, per me.
E Lei. Sono un razzista estetico, non mi fanno sangue le asiatiche, ma col passare dei minuti si accendeva e quel suo modo di guardare e di sorridere mi ha fatto capitolare.
Un gran finale. Che ti rimane addosso.
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