Cinema
“Tre piani”: Nanni Moretti devasta il romanzo di Eshkol Nevo
Ieri, con due amiche, ho visto “Tre piani”, di Nanni Moretti. Tutti e tre abbiamo letto il romanzo omonimo di Eshkol Nevo, da cui è tratto il film. Il confronto, dunque, tra la visione e la lettura è stato inevitabile. A una narrazione letteraria dalla costruzione superbamente schematica il regista cerca inutilmente di alternare fotogrammi in sequenza che ne sciupano il costrutto psicologico e la complessità avvolgente. Viene così svilita, nel film, la vertigine stessa dell’abisso, la vera essenza del romanzo, rappresentata con maestria dallo scrittore israeliano, che dispone il suo lavoro sui tre aspetti freudiani della personalità: Es, Io e Super-io, a cui corrispondono tre piani di un condominio, rivelatore di altrettante storie, i cui punti di intersezione non apportano modifiche alle rispettive trame. Tre sono anche gli artifici adottati per raccontarle, variando la maniera di esporle: una conversazione, una lettera, i messaggi di una segreteria telefonica. Indubbiamente, un romanzo articolato, difficile, estremamente delicato nella sua complicazione. Mi rendo conto che non era facile trarne un film senza rompere il cristallo dell’impianto narrativo del libro e rappresentarne sotto traccia la sostanza: la voragine psichica dei protagonisti e le variabili pericolose e intimistiche di una vita monotona, ingannevolmente rassicurante.
Sorge addirittura il dubbio che Nanni Moretti abbia fatto una lettura forzata, non alla sua portata, e, pertanto, non abbia compreso fino in fondo il romanzo. Diversamente, non si spiega come mai sia riuscito nell’impresa di mancarne il tema.
Potrà mai rappresentare un’attenuante, per il regista romano, il fatto che “Tre piani” sia la sua prima sceneggiatura non originale? Via, per questa sorta di esordio ci si aspettava di più. Molto di più. Si aggiunga che la recitazione del suo personaggio (Vittorio) risulta essere buffa in un contesto che è tragico. Insomma, fa ridere laddove si dovrebbe avvertire solo tensione. Credo fermamente che lui abbia bisogno di essere doppiato. Il film è diretto male. Anzi, malissimo! I protagonisti sono privi di sfumature dolorose, non dimostrano l’introspezione necessaria per sostenere le storie che pervadono la loro interiorità. Moretti ha devastato un fine romanzo, facendone un film anonimo e finanche banale, non sapendo andare oltre la cronaca dei fatti, narrati magistralmente nelle pagine. Omessi i flashback della trama letteraria, alienandone nella trasposizione filmica ogni significativa emotività, ha mandato avanti quella cinematografica ricorrendo per ben due volte all’ellissi temporale macroscopica. E, sullo schermo, dunque, viene semplicisticamente replicata la scritta: “Dopo cinque anni”. Soluzione grossolana. Troppo grossolana! Nel film di Moretti svanisce, come per infausto sortilegio, l’intera acutezza del romanzo di Nevo. Nessuna riflessione del cineasta arricchisce l’accaduto del racconto e, quel che è peggio, le scene danno conto di una cronaca ordinaria, non di un prospetto di analisi specifica, come in quelle belle pagine.
P.S.: Le impressioni delle due amiche, ben disposte nei riguardi della filmografia di Moretti, non si discostano molto dalle mie.
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