Cinema

Tre Piani

23 Settembre 2021

Nel tornare dietro ( e davanti) la macchina da presa dopo cinque lunghi anni di silenzio, Nanni Moretti si cimenta per la prima volta nella sua carriera in un soggetto non suo e quindi in una sceneggiatura non originale, adattamento dell’omonimo libro di Eshkol Nevo.

In questa esperienza del tutto nuova per il regista, sta l’inizio faticoso ed affaticato della pellicola, in cui i personaggi si muovono come imbalsamati, dove le azioni sembrano procedere in maniera meccanica, con l’ostinata pretesa da parte di Moretti di tradurre letteralmente in immagini la carta stampata, mentre lo spettatore fatica a ritrovare la firma inconfondibile di Nanni.

Tre Piani

Le pagine dello scrittore israeliano, infatti, sono semplici solo in apparenza: ogni capitolo è la storia di una delle tre famiglie che abitano nel piccolo condominio di un quartiere residenziale e fin qui la struttura potrebbe prestarsi perfettamente alla trasposizione cinematografica, con l’unica difficoltà del trasferire la scena da Tel Aviv a Roma e del riordinare la cadenza temporale fatta molto spesso di flashback, sogni e ricordi.

Ogni nucleo però rappresenta le sfere della personalità freudiana ed è il modo in cui la narrazione si fa flusso di coscienza, confessione, o seduta psicoterapeutica, esplorando l’ Es, l’Io ed il Super Io dal primo al terzo piano a rendere impervia la strada delle immagini, dei dialoghi da film e dello sviluppo di un intreccio che, se svuotato di quella fondamentale introspezione, risulterebbe banalmente melodrammatico.

Finalmente, da metà pellicola, Nanni riesce ad emanciparsi dalle pagine di Nevo, anche col supporto delle buone interpretazioni di Riccardo Scamarcio e Margherita Buy, che emergono sul resto di un cast non all’altezza del compito. Riflettiamo sulla responsabilità delle nostre scelte, sul il concetto di giustizia, di colpa, sul ruolo di genitori e, soprattutto, sulla brutale lezione che, non sempre consapevolmente questi impartiscono ai figli…

Ma soprattutto, emerge una solitudine atavica degli individui, una forte contrapposizione tra uomini e donne e quell’indole femminile nell’annullarsi e nel riporre in un cassetto bisogni, desideri, paure e felicità, per sostenere, assecondare ed accogliere la fragilità maschile che si cela dietro il bisogno fisico.

Questa tensione costante si scioglie in lacrime per la sequenza del tango, una danza liberatoria ed intensa che mi ha fatto tornare alla mente Caro Diario e il sogno di saper ballare bene in quella scena memorabile del 1993…così l’energia torna a fluire aprendosi a nuove possibilità: il ciclo della vita.

ciao Nanni, mi eri mancato!

Voto 3/5

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