Cinema
“Ti mangio il cuore”: una tragedia classica in bianco e nero
“Ti mangio il cuore”, di Pippo Mezzapesa è, tra i film usciti dal Festival di Venezia che fin qui ho visto, senza alcun dubbio quello che mi ha preso di più. Girato in bianco e nero per scandire le vicende anacronistiche di una guerra intestina tra due famiglie mafiose del Gargano, una terra dai fonemi fortemente distintivi e dalle tradizioni che ne decretano l’egemonia culturale, il film ha il pregio di imbastire una tragedia classica in piena regola, allontanandosi decisamente dalla banalità di stampo gomorresco.
Favoloso: tra galline, porci, pecore e vacche, processioni, statue di madonne portate a spalla (rigorosamente dai mafiosi) e paesaggi lunari (come le saline di Margherita di Savoia), prende forma una passione fatidica, di memoria shakespeariana, che oltre a evidenziare l’irrazionalità dei sensi e l’intempestività dell’amore, ripristina il codice di violenza in uso tra le due famiglie contendenti.
Un “Romeo e Giulietta” in salsa bucolica e mafiosa? No, decisamente no! La pellicola in argomento ha un non so che di impensabile: è come se all’interno di un documentario sulle consuetudini agresti di una terra a vocazione contadina irrompesse la tragedia, senza, tuttavia, distruggerne totalmente la poesia.
Peccato che l’interpretazione di uno dei protagonisti (vedendo il film ve ne accorgerete facilmente) risulti non del tutto appropriata. Per il resto, interpretazioni intense e magistrali, con una superba Elodie nelle vesti ancestrali di “Marilena”, per non far mancare alla tragedia il tormento, la sofferenza e il sacrificio della donna volitiva e appassionata.
L’autore fotografa i contrasti della sua magnifica terra puntando i riflettori sulla Sacra Corona Unita, inquadrandola attraverso il racconto di un amore viscerale, tanto passionale quanto profondamente sbagliato. Agli inizi degli anni ’60 i Malatesta sono stati quasi tutti assassinati dagli esponenti dei Camporeale, tranne Michele: un ragazzo che si era nascosto nel porcile. Questi, giura vendetta sul volto sfigurato del padre, e nel corso degli anni la ottiene, arrivando nel nuovo millennio da padrone assoluto della sua terra. La famiglia rivale, però, non è del tutto sparita, e a fare le veci del capo latitante, Santo Camporeale, è la moglie Marilena, madre di due figli e costretta a una vita di rinunce. Il giovane Andrea Malatesta, figlio del boss Michele, attratto irrimediabilmente dalla donna della famiglia rivale, non ha paura di avvicinarla e corteggiarla, accendendo in lei la stessa passione. La turbolenta e pericolosa relazione dei due diventa, così, il motivo trainante del racconto, che vede nella metamorfosi di Andrea il suo culmine drammatico.
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