Cinema
The Neon Demon, il lato oscuro della bellezza
L’aspirante modella Jesse si trasferisce a Los Angeles per intraprendere una carriera da sogno. È giovane e bellissima, ma anche del tutto ingenua e poco avvezza al clima di arrivismo e spietatezza con cui i giovani talenti vengono divorati nella città degli eccessi.
Nicolas Winding Refn dipinge una città quasi del tutto inesistente, che sopravvive e respira negli studi asettici di fotografi e pseudo artisti che non hanno scrupoli nell’azzannarsi per la fama, arrivando fino a “fagocitare” coloro che reputano come concorrenti alla vittoria finale. Qual è il fine della bellezza se non quello di meravigliare ed irradiare della propria luce un mondo destinato al grigiore? Le luci, quelle al neon, diventano candele attorno a cui si replicano riti orgiastici di devozione pagana al mito della purezza, un’immagine candida e solare come quella di Elle Fanning.
Sin dall’inizio si intravede una logica del racconto basata sull’allegoria dello specchio e della luce. Una giovane donna coperta di sangue viene ritratta per la prima volta da un fotografo inesperto ed innamorato di lei. Una truccatrice (Ruby) la osserva in un intricato gioco di prospettive e chiaro scuri e finisce per affondare il suo sguardo nel corpo fragile e pallido di Jesse. La disposizione degli oggetti, degli sguardi e dei colori è al limite dell’ossessione. A Ruby, vedremo, piace il sangue, è ossessionata dalla bellezza della vita, ma riesce a raggiungere l’estasi solo con la freddezza della morte, a cui può sempre sentirsi vicina grazie al suo secondo lavoro come truccatrice di cadaveri. Il sangue per lei è la massima espressione dell’orgasmo, la sublimazione dell’idea del piacere.
La bellezza non è tutto, è l’unica cosa.
In questo gioco di allegorie, tutto diventa interpretabile e multiforme. Il “demone del neon”, che ad un primo livello indica il mondo della moda e il suo rituale di arrivismo e voracità ad una visione speculare diventa il “neon del demone”, la luminosità che Jesse emana, senza nemmeno accorgersene, dal proprio corpo.
La forma triangolare
Il triangolo a forma di neon, viene ripreso nel gioco di sguardi che presto intercorrerà tra Jesse, Sarah e Gigi (altre due modelle), mentre Ruby rimarrà sempre ad avere una prospettiva diretta con la protagonista, cercando di aiutarla, ma allo stesso tempo coinvolgerla in un jet set fatto di notti senza regole e gente senza alcun ritegno, personaggi di un ambiente chiuso e nonostante le luci, sporco, malato e tristemente sadico.
Nonostante chi scrive deve ancora capire il perché dell’esistenza di un personaggio inutile come quello interpretato da Keanu Revees (gestore del motel in cui alloggia Jesse), è possibile ritrovare, nello scorrere delle scene in cui a farla da padrone è la virtù, la bellezza e l’ingegno femminile, una precisa sovrapposizione di immagini di animali che allegoricamente disegnano una strada diretta verso l’inferno. Come nella commedia di Dante, circa.
Lo splendore della bellezza infinita
Jesse, in tutto questo, è la vergine che si manifesta come purissima, inesperta, cosparsa di oro da un fotografo che la sceglierà in mezzo a tante come sua ispirazione, bellissima e fragile allo stesso tempo. Una bellezza che con il trucco e le luci dei set diventa tanto artificiale quanto inarrivabile, agli occhi di colleghe ed addetti ai lavori. Cosa potrebbe andare male con un personaggio del genere? Dire che sarà la città ad avere la meglio su di lei sarebbe come generalizzare e decisamente sminuire il racconto di Refn. Qui in gioco c’è un decadentismo di fondo, con personaggi velleitari come il fotografo che ritrae Jesse per la prima volta, Dean, un ragazzo pulito che rifiuterà di avere a che fare con la moda ma che al tempo stesso si innamorerà prima di tutti della ragazza (o della sua immagine) che tenterà una insperata scalata al successo.
The Neon Demon, che nelle scene finali offre un crescendo di voluttuosità talvolta insostenibile, è un film estremamente cerebrale, che esplora gli abissi della mente umana, attratta dalla luce, dai riflessi, dalla propria immagine, dalla ferinità intrinseca di un animale che può pensare e fare male. Persino uccidere.
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