Cinema
The Holdover: quelli che restano
Siamo negli anni settanta, al Barton, un esclusivo collegio del New England. É la vigilia del Natale, e i ragazzi si preparano allegramente ad andare in vacanza. Non tutti, però. Qualcuno come Angus ( Dominic Sessa) – un quindicenne intelligentissimo, inquieto e ribelle- non ha una casa dove trascorrere le feste, perché la madre é in luna di miele col nuovo marito. Tocca quindi al professor Paul Hunham, che comunque a sua volta non saprebbe dove andare, restare in istituto per occuparsi di lui. Ecco dunque chi sono gli holdovers del titolo: quelli che rimangono, gli scartati. A far parte della minuscola schiera c’è anche Mary ( Da’ Vine Joy Randolph), l’addetta alla mensa, che sopporta con dignitoso e composto strazio il lutto reticente per l’unico figlio, morto in Vietnam a neanche vent’anni. Un terzetto unito dalla solitudine e dalle diverse infelicità, all’interno del quale – prevedibilmente – si scateneranno drammatici scontri, svelamenti reciproci e autentici sentimenti che cambieranno le loro vite.
Molti critici cinematografici e semplici spettatori hanno confrontato questo film con “L’ attimo fuggente”, ambientato nel 1960, che trattava lo stesso tema del rapporto di un professore con un allievo giovane e inquieto. L’accostamento è molto pertinente ed é per me l’occasione di muovere qualche appunto all’apprezzamento quasi incondizionato che quel film ha ricevuto a suo tempo da stampa e pubblico, e anche da chi lo cita oggi. Certo Peter Weir é un bravo regista e Robin Wlliams é stato un interprete emozionante e commovente; ma il suo modo di insegnare non privo di equivoci. Il professore Keating, docente di letteratura, incita i suoi allievi a ribellarsi e a saltare sui banchi, senza tener conto del contesto reale e soprattutto del dato di realtà che il prezzo più alto, di una rivoluzione con pochi strumenti è contenuti vaghi, lo pagheranno i ragazzi. Difatti il titolo originale del film é “Dead Poets Society”, la setta dei poeti estinti. Il modo in cui il professor Keating tenta di stimolare la libertà di pensiero e la creatività consiste nello strappare le pagine dei libri di testo e buttarle nel cestino. Il suo criterio didattico è lasciarsi guidare dai sentimenti e non guardare alla vita in modo razionale. Sono d’accordo che i libri non vanno considerati testi sacri o feticci, ma prima bisognerebbe leggerli e fare qualche valutazione; nè vedo perché dovremmo scegliere tra scienza e poesia. Così, seppure tutti siamo convinti che l’arte non vuole padroni, é pur vero che talora le creazioni più belle sbocciano proprio dall”osservanza delle regole: da quelle della metrica a quelle delle forme culturali del tempo imposte dai committenti. Il suo entusiasmo trascinante, gratificante per lui che si fa chiamare dai discepoli “capitano mio capitano”, ha sicuramente presa sui ragazzi, ma a farne le spese sono i ragazzi stessi ed in particolare il sensibile Neil, che vorrebbe seguire l’onda artistica del professore, ma ha un padre tiranno che per “correggerlo” lo iscrive di prepotenza a un’accademia militare; e l’unica vendetta e via di fuga che egli riesce a escogitare è suicidarsi.
Molto diverso è nel film, The Holdovers, il professore Hunham, che non ha niente del “capitano”. Paul Giammatti veste i panni stropicciati dell’insegnante di lettere antiche, temporando con una note sottile di ironia la corda patetica. Rigido e goffo, quasi cieco ad un occhio, ha anche una strana malattia che conferisce al sudore uno sgradevole odore di pesce. Inabile alla vita, non é mai uscito dal micro-ambiente della Barton, prima come alunno e poi come insegnante. Angus, in un momento di rabbia, gli dice: ” Qui la odiano tutti. Ma questo lo sa, vero?” In effetti lo sa e per darsi un tono fa citazioni in greco e in latino, che quasi nessuno capisce. E ogni tanto allude ad una sua dotta monografia che non ha mai avuto il coraggio di cominciare.
Eppure è un ottimo insegnante, colto, devoto; severo e incorruttibile perché dotato di un’etica professionale che non gli consente di promuovere un ragazzo svogliato e ignorante solo perché è il figlio di un senatore che elargisce donazioni all’istituto. É odiato, infatti, anche dal preside, un suo ex alunno che ha fatto una rapida carriera grazie a doti mondane. Anche il suo rigore é holdover, in un’altra accezione di senso di questa complessa parola: quello del retaggio di ” antichi valori”.
Così senza retorica, in tono sommesso, il film mostra le crepe del sogno americano, la subdola iniquità sociale della struttura dell’educazione e dell’insegnamento. La promozione da una scuola come la Barton è infatti necessaria per accedere agli studi superiori universitari, che in automatico esentato dal servizio militare. Mentre il figlio di Mary, che era bravissimo e studioso, già ammesso al college prescelto, aveva dovuto rupinunciare anche perché la mamma, come tanti della comunità mal integrati dei neri, non aveva i soldi necessari, ed é stato così costretto a partire per il fronte.
Credo che anche gli autori di The Holdovers avessero in mente L’attimo fuggente, perché anche Angus rischia di finire in un aborrita accademia militare; ma a salvarlo sarà proprio il professore, che per ottenere tale risultato saprà rinunciare con coraggio paradossale ai suoi principi.
Chissà se in questo momento conflittuale e confuso tra insegnanti, allievi e genitori nel nostro paese alla ricerca di modelli plausibili, si apprezzeranno i contenuti ideali e umani, antieroici del professor Hunham rispetto a quelli romanzati del professor Keating.
E chissà se gli spettatori apprezzeranno l’accurata forma narrativa da ” falso d’epoca” del film: senza il ritmo forzato del montaggio, senza i dialoghi frammentati ed elusivi, e soprattutto senza i continui flash back che spezzano l’azione dello stile attuale. Perfino la fotografia, con le sfumature del vecchio technicolor e le dissolvenza ricostruisce un passato per il quale, peraltro, non dobbiamo nutrire nessuna nostalgia.
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