Cinema
“Sono tornato”: Mussolini, I forgive you
Martha Nussbaum in un articolato saggio, Rabbia e perdono, celebra il valore del perdono come virtù politica e sottolinea l’urgente necessità di arrivare a comportamenti che privilegino il sostegno alla fiducia e alla riconciliazione.
Se questi principi sono indiscutibilmente giusti nelle relazioni personali, non sempre, tuttavia, possono essere applicati ai contesti collettivi: ci sono ambiti, infatti, in cui l’usurpazione alla morale di espressioni e parole ispirate alla pratica della riconciliazione, non solo non può essere praticata , ma forse è proprio sconsigliabile persino ipotizzarla.
C’è una scena emblematica del film Sono tornato, in cui Mussolini redivivo partecipa alla trasmissione di una cinica conduttrice televisiva che cavalca, in nome dell’audience, il diffuso sentimento di nostalgia per il capo carismatico ritenuto capace di risolvere la crisi dilagante: ebbene, come a “C’è posta per te”, un’anziana donna chiamata a confrontarsi col duce, pronuncia la fatidica frase assolutoria: Mussolini, I forgive you.
In tutto il film di Miniero, in effetti, si mostra chiaramente – non con compiacimento, tuttavia – proprio questo dato: la paura del futuro, le contrapposizioni violente, l’aumento della criminalità, la disoccupazione, il razzismo raccontano un’Italia pronta a perdonare.
Del resto, ormai, per la maggior parte dei nostri connazionali il fascismo è una cosa lontana, non è un pericolo, è solo un capitolo dei manuali di storia, ha perso la consistenza plastica della realtà: l’ignoranza genera oblio.
E il gesto criminale palesemente di matrice fascista – come quello di Traini a Macerata – viene ridimensionato come il gesto folle di uno squilibrato, l’atto isolato di un estremista fanatico, il frutto, certo distorto, di una crisi sociale esasperata da un’immigrazione fuori controllo: alibi autogiustificativi di una classe politica che strizza l’occhio anche alla destra radicale … per non perdere voti in vista del 4 marzo. E la forza del perdono inconsciamente si fa strada.
Il Paese ritratto da Miniero non ha memoria storica: è un Paese ignorante, che non legge e non studia, che si curva irrimediabilmente su smartphone sempre più sostitutivi della vita reale, che invidia a Mussolini la forza persuasiva e l’aura seduttiva. Il film ritrae un’Italia che non possiede parametri di valutazione culturali per saper prendere le distanze dagli orrori del passato e condannarli. Anzi rimpiange nostalgicamente quel passato di irreggimentata disiplina, ne auspica il ritorno, perché sente che la democrazia, questa democrazia, è un cadavere in putrefazione.
Il perdono come frutto dell’oblio connota – nella lettura fornita da Sono tornato – la nostra languente società.
Il regista, certo, si affanna a condannare le leggi razziali e le varie efferatezze del regime fascista, ma la struttura del docu-film – che soprattutto nella sua prima parte propone interviste a gente comune – sembra dimostrare, invece, che viviamo in un Paese schiacciato dal caos, in cui prevale il bisogno dell’uomo forte: passa in secondo piano il prezzo dell’ordine e della stabilità. I giovani, in particolare, non sanno che questo è il fascismo: un sentimento, un impulso, un atteggiamento, qualcosa che Mussolini non ha inventato, ma, come lui stesso amava notare, ha semplicemente tratto dall’inconscio degli italiani.
E la paura di una marcia antifascista a Macerata dimostra chiaramente che lo spirito del fascio non è riconducibile al fenomeno isolato o marginale, anzi ha proseliti, è diffuso, piace a molti: purtroppo c’è gente pronta a perdonare il passato e a dire in coro: Mussolini, I forgive you!
La cultura del perdono politico è davvero espressione di una matura democrazia?
Negli ultimi tempi – osserva Gustavo Zagrebelsky in Fare democrazia – è prevalso un luogo comune dell’ideologia democratica: che sia necessario e sufficiente diffondere i diritti di partecipazione, affinché lo spirito democratico si radichi. Invece, non basta l’estensione dei diritti a fare una democrazia: occorrono l’educazione a esercitarli e la consapevolezza di quanto sia facile perderli.
Se lasciamo che la memoria storica evapori, consegneremo un Paese al perdono.
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