Cinema
Seven Seconds, la serie di Netflix che ha raccontato lo scontro razziale di oggi
Seven Seconds è una serie tv di una sola stagione che potete trovare su Netflix. Perché merita di essere rivista, soprattutto oggi? Bene, prima di tutto perché con qualche anno di anticipo ha reso benissimo l’idea di quello che è successo quest’anno dopo l’omicidio di George Floyd. Si parla di polizia, dell’uccisione di un cittadino di colore e di tanta gente arrabbiata che prende di mira i commissariati di polizia.
Siamo a Jersey City, parte delle strade meno trafficate sono in mano agli spacciatori riuniti nella gang dei Five Kings, è inverno, fa freddo, nevica in una giornata particolarmente uggiosa e la strada che taglia il parco è deserta. Peter Jablonski sta andando in ospedale dove hanno ricoverato la moglie per via di alcuni problemi con il parto. Un botto e poi il suv che stava guidando perde il controllo sul manto stradale ghiacciato. Peter scende e capisce di aver colpito qualcuno quando vede sotto al proprio mezzo una bicicletta. Di lì a poco arriveranno i suoi colleghi della narcotici e lo aiuteranno a sbarazzarsi della bicicletta; lui, poco convinto e ancora sotto shock, riparte verso l’ospedale, dove sconvolto assiste la moglie durante un’ecografia.
Mentre passano le ore si perdono le tracce di Brenton Butler, solo 4 persone, 4 poliziotti, sanno che il giovane di colore è stato vittima dell’incidente con Jablonski. Nessuno si è degnato di aiutarlo dopo che l’urto lo aveva sbalzato al di fuori di una collinetta di neve. Ha resistito 12 ore prima che un uomo, a passeggio con il cane, lo trovasse. Brenton si trova a lottare tra la vita e la morte, mentre tutti i coinvolti nell’incidente e nell’insabbiamento delle prove tentano di riprendere le proprie attività quotidiane.
Nelle ore del ricovero veniamo a conoscere meglio la famiglia Butler, molto dinamica all’interno della comunità afroamericana della zona. Incontriamo ottimi interpreti dei genitori di Brenton: Latrice e Isaiah, ma soprattutto incontriamo quelli che saranno i principali protagonisti delle indagini sul caso: K.J Harper (interpretato dalla bravissima Claire-Hope Ashitey) e Joe “Fish” Rinaldi (Michael Mosley).
K.J. è una sostituto procuratore molto indecisa, giovane donna di colore, proveniente da una buona famiglia, sembra avere scarsa stima di sé e troppo spesso si abbandona a serate ad alta gradazione alcolica nei locali di seconda mano della città. Fish è un detective problematico, vive con 6 cani, ha un’ex moglie e una figlia che hanno poca stima di lui che, anche al lavoro, è spesso oggetto di risate di sottecchi. Saranno loro due, con le loro improbabili storie alle spalle ad indagare su un caso che, con il passare dei giorni, diventa sempre più allargato fino ad arrivare ad una dimensione che ben presto acquista i connotati dello scontro razziale. Brenton Butler è stato deliberatamente lasciato 12 ore nella neve senza che nessuno lo aiutasse, pochi indizi, un gabbiano bianco di cartapesta che appare sulle foto della scena del crimine e poi viene ritrovato misteriosamente sul letto d’ospedale dell’adolescente. Chi è stato e perché ha portato quella “prova” sfidando i controlli e gli occhi dei parenti?
Fish e K.J. si possono basare su una discutibile testimonianza e noi scopriamo qualcosa di più su come in realtà agisce la narcotici del distretto, dei suoi rapporti con i Five Kings nei quali militava anche lo zio di Brenton prima di arruolarsi nell’esercito e partire per l’Afghanistan. Giorno dopo giorno la tensione sale, soprattutto quando tutti coloro che hanno insabbiato la vicenda vengono messi alle strette. Conosceremo comitati, gente in strada con i cartelli “Black Lives Matter“, saremo spettatori di scontri con le forze dell’ordine, in una città che inizia a dividersi anche i legami che c’erano all’interno della famiglia di Butler vanno sgretolandosi diventando un dramma nel dramma.
Fish e K.J. sono l’unica speranza di una intera comunità nera che cerca la verità mentre mancano prove, testimonianze, vi è una solida omertà tra colleghi e la polizia si difende con uno degli avvocati più esperti sulla piazza. Fish ha un certo intuito che lo porta a scovare vari collegamenti, aiuta la collega a mettere insieme le prove per la ricostruzione dell’accaduto, mentre Latrice, la madre di Brenton, svolge le proprie indagini parallele e scopre prima di tutti chi ha colpito il proprio figlio e come ha tentato di dimenticare l’accaduto. Tutto accade mentre veniamo a conoscere meglio le contraddizioni di una società intrinsecamente fuori controllo ma dagli ingranaggi ben oliati, in cui è molto facile sparare o acquistare droga per strada.
Perché il titolo Seven Seconds? Sarà K.J. a svelarlo nelle ultime scene della serie. Sette secondi che comunque sia hanno un valore universale, dettati dal ritmo della coscienza, del controllo e dell’umanità. In Seven Seconds rivediamo esattamente le stesse scene andate in “onda” qualche settimana fa, dove i media svolgono un ruolo importante e a volte possono mettere a rischio il valore delle indagini o delle prove. Netflix ha deciso di non continuare a produrre la serie, la prima ed ultima stagione ha in effetti una propria struttura che non apre molto a stagioni alternative e seguenti. I personaggi, dettagliati psicologicamente, agiscono in un mondo forse troppo streotipato ma, abbiamo visto, reale. E se raccontare la cronaca di uno scontro tra due “mondi” faceva parte del progetto, allora possiamo dire che Veena Sud (la showrunner della serie) ci è riuscita.
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